Il diritto positivo ad un minimo di cure. Una questione di responsabilità morale?
- 26 Ottobre 2015

Il diritto positivo ad un minimo di cure. Una questione di responsabilità morale?

Scritto da Anna Montana

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Bisognerebbe considerare se è bene ribadire un diritto alla salute che passi attraverso un diritto ad un minimo di cure mediche. Personalmente ne sento l’esigenza. La posta in gioco riguarda un diritto non negativo, dunque non si tratta di evitare l’invasione in una sfera considerata privata ed inviolabile. Promuovere la salute racchiude un aspetto sia negativo (assenza di condizioni di rischio) sia un aspetto positivo (benessere psico-fisico). A livello di politica sanitaria le leggi tendono a muoversi su entrambi gli aspetti, dunque esse mireranno a promuovere la salute negativa ed a permettere ed incentivare la salute positiva della popolazione di riferimento. Parlare di “pubblico” all’interno dell’espressione “salute pubblica” può apparire un poco controverso, pertanto vi dedicherei qualche riga di chiarificazione. È bene ricordare che i livelli di salute dei singoli cittadini incidono direttamente sul livello di salute di una popolazione, la quale si potrà prefiggere determinati obiettivi a seconda del proprio stato di benessere. Dunque le questioni sanitarie sono da valutare a livello sociale e non singolo. Prendere in considerazione questa prospettiva significa intendere la salute come un bene pubblico da salvaguardare attraverso la promozione della stessa e la prevenzione di malattie. Gli interventi di promozione della salute possono essere dei più svariati, meglio prendere in considerazione quelli che hanno avuto un consenso largamente diffuso. Interventi preventivi: vaccinazioni, screening (es. livelli di glucosio nel sangue). Interventi protettivi: interventi di carattere ambientale, interventi volti a difendere il paziente dal peggioramento di una patologia. Interventi sulle scelte personali: campagne di educazione e di sensibilizzazione riguardo conseguenze di comportamenti individuali a rischio per il singolo e conseguentemente per l’intera popolazione.
Queste tipologie di interventi possono essere messe sotto accusa di paternalismo, a minor o maggior ragione, nei sistemi di salute pubblica. Ammesso che non esiste un consenso consolidato sulla definizione del termine “paternalismo”, diverrà difficoltoso inserire il termine all’interno del dibattito della salute pubblica senza rischiare di cadere in fallacie di vario tipo.
Alcune politiche sanitarie sono giustificate prendendo in considerazione la responsabilità che il singolo dovrebbe avere verso il proprio stato di salute in quanto questo si ripercuote sugli altri individui. La malattia ha sempre un costo sociale. Si tocca l’argomento economico (nessun sistema sanitario può funzionare se produce, direttamente od indirettamente, il problema che si prefigge di risolvere), l’argomento distributivo (chiedersi se persone che hanno avuto atteggiamenti differenti nei riguardi della propria salute, talvolta giudicati non responsabili, debbano essere messe sullo stesso piano) e l’argomento basato sulla reciprocità (non bisognerebbe sovrautilizzare il servizio, dunque il sistema sanitario garantisce diritti solo se vi sono precisi obblighi da rispettare da parte dei cittadini). Il libertario coerente si opporrebbe a qualsiasi forma di intervento. I difensori del paternalismo debole e del paternalismo moderato accetterebbero interventi basandosi sull’argomento dell’autonomia del singolo, il quale può in tal modo valutare ed indirizzare le proprie scelte verso mezzi appropriati per i fini prescelti. In qualsiasi modo si preferisce intendere la tipologia di questi interventi (che non ho opportunamente sviluppato in questa sede) pare inevitabile fare riferimento al diritto positivo e dunque all’intervento di un potere pubblico.
L’intervento pubblico limita la libertà individuale. È stato osservato da Norberto Bobbio(1909 – 2004) che qualsiasi incremento di diritti positivi limita i diritti negativi. Se si pensa al modello dell’assistenza sanitaria pubblica, essa esige una disponibilità di risorse finanziarie che devono essere ottenute da diverse forme di tassazione. È evidente che il sistema di tassazione viola alcuni diritti negativi e si intromette nella sfera privata dei cittadini. Qui si propone una (seppur minima) analisi in termini di diritto morale ad un minimo di cure alla luce di alcune delle considerazioni esposte sopra. Al giorno d’oggi, le revisioni riguardo questi temi sono quasi d’obbligo e questo perché non solo è cambiato il modo di curarsi, ma le tecnologie attuali e quelle in evoluzione si spingono sempre più verso sfere un tempo definite “intoccabili” (come il modo di nascere ed il modo di morire).
La cura innovativa e per certi versi più problematica che verrà presa in considerazione da Eugenio Lecaldano (1940) per quanto riguarda la sfera micro-allocativa riguarderà il trapianto degli organi. Noi disponiamo dei nostri organi allo stesso modo in cui ci definiamo proprietari di un altro bene? Non vi è legge che possa legiferare a tal riguardo ed a ben vedere, aggiungerei. Eugenio Lecaldano pone l’accento sulla responsabilità morale e sulla sua capacità di dare delle risposte (anche non risolutive).
Il liberalismo anarchico di Robert Edwin Nozick (1938 – 2002) riteneva che lo Stato doveva disinteressarsi della salute dei cittadini e che questa doveva esser messa in mano al sistema economico. Tradotto in termini contemporanei si creerebbe un sistema di assicurazioni private che valutano la salute su statistiche legate esclusivamente al rapporto costi-benefici, una considerazione insufficiente soprattutto se si pensa ai nuovi problemi posti dall’ingegneria genetica e dalla bioetica in generale.
Seguendo la divisione di Norman Daniels (1942) vi sono questioni micro-allocative e macro-allocative da prendere in considerazione quando si affrontano questioni di etica sanitaria. Rientrano nella prima classificazione problemi che riguardano le decisioni individuali (Si deve dare priorità ai giovani od agli anziani per quanto riguarda il trapianto degli organi?) e nella seconda classificazione il livello non più individuale, bensì quello sociale (Quale tipo di intervento bisogna includere nella sanità pubblica, se è presente?). Le decisioni che ricadono sulle questioni macro-allocative riguardano da vicino i politici che discorrono su come distribuire le risorse presenti nelle varie reti di ospedali. Non si tratta di toccare il tema della giustizia in sanità, perché questo non può essere risolto basandosi sui due livelli presi in considerazione da N. Daniels, ma di differenziare le sfere al fine di rendere più fruibile la lettura del problema. Sulla questione micro-allocativa ci si potrebbe soffermare sull’equa distribuzione degli organi da trapiantare fra i pazienti. Prima bisogna chiedersi se si è proprietari dei propri organi. Rispondendo positivamente ad una domanda del genere, risulterebbe facile comprendere come molte persone sostengono e definiscono lecito il commercio degli organi. Richard Posner, economista e giudice federale statunitense nato a New York l’11 Gennaio 1939, estese le regole del mercato al corpo umano ed a tutto ciò che potesse riguardarne le componenti. Non pare sia la soluzione che si va cercando. In Italia, la situazione appare controversa: non si permette il commercio degli organi all’interno del territorio, ma lo Stato italiano deve provvedere a donare soldi ai paesi che accolgono pazienti italiani bisognosi di organi, sopperendo così alla mancanza di organi disponibili sul territorio italiano. Ma il nostro corpo è un bene pubblico oppure è un bene personale? John Locke (1632 – 1704) portava a sostenere che è difficile, se non impossibile, istituire una contrattazione fra se stessi ed il proprio corpo. Per quanto riguarda il cadavere da cui si possono prelevare organi, secondo Eugenio Lecaldano, è bene che sia considerato disponibile per gli espianti. In un caso di necessità e di etica il più possibile laica, il privare un bisognoso per soddisfare una preferenza espressa dal morto quando era in vita o di altre persone che ne fanno le veci, pare non preferibile. Inoltre la nostra adesione ad una societàal momento della nascita non è preceduta da un esplicito consenso, si tratterebbe piuttosto di un “silenzio assenso” (tralasciando le varie forme di “cambio di società” che vanno affrontate su di un altro livello). Dunque perché chiedere al momento della morte un qualcosa di più di quanto ci è stato chiesto al momento della nascita? Si dovrebbe porre la questione non in termini di “dono”, in quanto non può costituire una soluzione al problema, bensì in termini di “obbligo” verso la società e verso il prossimo, con la possibilità di salvare vite altrui. A livello macro-allocativo ci si può domandare quali cure è accettabile includere nel minimo decente di cure. In questo caso se vale il modello di solidarietà si fa valere un unico principio morale e, come nel caso delle questioni micro-allocative, non è sufficiente risolvere la questione con il principio del “dono” o della “solidarietà”. Nemmeno il modello contrattualista e quello utilitarista può essere preso in considerazione perché si finirebbe con lo stilare una graduatoria delle diverse cure che da una parte non prende in considerazione la minoranza della popolazione e dall’altra prende in considerazione solo i bisogni della società senza badare ad ulteriori questioni di gestione pubblica. Ed in questa sede, ossia al livello macro-allocativo, si prenderà in considerazione l’evoluzione nel campo
della genetica, ossia ci si chiederà se è necessario garantire un minimo genetico decente. In altri tempi una domanda del genere non si sarebbe potuta porre o semplicemente si sarebbe risposto con una negazione senza sviluppare posizioni antagoniste. Al giorno d’oggi è bene chiedersi fino a che punto la salute può essere considerata un qualcosa di totalmente esente dagli interventi sociali e da questi indipendente. Le recenti tecnologie in campo biomedico lo testimoniano. La salute non è più affidata interamente al caso, ne viene di conseguenza che l’istituzione pubblica è tenuta a garantire quel minimo genetico decente per evitare gravi patologie, tralasciando superstizioni di vario genere. Le nostre scelte in campo sanitario riguardano non più solo il presente, bensì anche le generazioni future. È buona cosa chiedersi se è eticamente accettabile tenersi fuori dalla ricerca nel campo delle cellule staminali o nel campo dell’ingegneria genetica.
Ogni persona dovrebbe ricevere l’opportunità di progredire nel modo che a lei risulterebbe migliore, dunque dovremmo garantirle quel minimo di cure che possa consentirle l’avanzamento di tale percorso. Tutto questo deve essere affrontato alla luce delle nuove problematiche messe in campo, dunque affrontando con nuovi argomenti e portando costantemente in revisione le dinamiche interne della sanità pubblica.


Bibliografia
– Boniolo Giovanni, Maugeri Paolo, Etica alle frontiere della biomedicina. Per una cittadinanza
consapevole. Mondadori Università, 2014.
– Lecaldano Eugenio, Bioetica. Le scelte morali. Laterza, 2009.


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Scritto da
Anna Montana

Ha frequentato l'Università degli Studi di Milano laureandosi con la cattedra di Storia della Filosofia con una tesi dal titolo " Van Gogh disputato: la tesi di Heidegger e la replica di Meyer Schapiro".

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