L’ecologia come paradigma. Intervista a Manlio Iofrida
- 03 Settembre 2015

L’ecologia come paradigma. Intervista a Manlio Iofrida

Scritto da Andrea Baldazzini, Paolo Missiroli, Gregorio Zanacchi Nuti

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Il 2015 è un anno importante per la problematica ecologica. Molteplici eventi, dall’enciclica di Papa Francesco alla conferenza sul clima prevista a Parigi per dicembre, sono sintomo di come questa tematica si trovi ormai al centro dell’attenzione. Una molteplicità di interpretazioni si affacciano sulla scena: alcune caratterizzate da romantici tentativi  di ritorno alla natura vergine, altre, vicine al liberalismo neo conservatore, pensano l’ecologia come una serie di limiti negoziabili, perfettamente coerenti con il sistema capitalistico. Per chiarire quale possa essere una valida lettura del termine ecologia, abbiamo intervistato il professor Manlio Iofrida, docente di Storia della Filosofia all’Università di Bologna. Nel corso della sua carriera accademica il prof. Iofrida si è occupato a fondo del pensiero fenomenologico, specialmente di ambito francese. Da questo ed altri percorsi di ricerca ha sviluppato un particolare interesse verso la tematica ecologica, che propone di pensare come paradigma filosofico ed anche politico.


Innanzitutto volevamo chiederle una chiarificazione, perché su questi temi si è sempre un po’ vaghi. Potrebbe fornirci la sua visione del rapporto tra filosofia ed ecologia?

È vero che in questo campo è necessario fare un po’ di chiarezza, l’argomento è infatti diffusissimo e inflazionato. Volendo seguire la storia del concetto, l’ecologia è una disciplina scientifica nata nel diciannovesimo secolo grazie ad Haeckel. Concepire l’ecologia come principalmente legata a prospettive scientiste è però particolarmente criticabile: è già implicita nel concetto stesso di scienza una separazione tra soggetto e oggetto, distinzione che nell’ecologia è di per sé problematica. Questa considerazione può sembrare scontata, ma si dimostra invece importante perché, quando ci si riferisce all’ecologia come scienza, si tende a concepirla come se dovesse identificare problemi oggettivi, ignorando che da una disciplina scientifica non si può ricavare nessuna indicazione di carattere etico o politico. È qui che mi sembra particolarmente importante rivendicare il ruolo della filosofia. Nonostante oggi la disciplina stia attraversando, sia in Italia che a livello internazionale, un momento di debolezza , è importante riconfermarne l’importanza perché è proprio la filosofia a poter fondare un sapere capace di mettere in relazione un discorso scientifico con uno politico e uno critico.

Per impostare in maniera corretta una discussione dei problemi ecologici è di estrema importanza la definizione del rapporto natura-cultura, su cui la scienza non ci può dare una risposta. Un altro contributo molto importante per capire cosa si debba intendere come ecologia e ambiente viene dalla teoria dei sistemi. Quest’ultima è un insieme di concezioni scientifiche e filosofiche profondamente ambiguo, perché, a seconda della lettura che se ne da, si può giungere ad una visione positivistica o ad una prospettiva come quella di Edgar Morin, genuinamente filosofica e capace di inquadrare l’ecologia correttamente. Per concludere, mi sembra sia fondamentale il riferimento da un lato a Merleau Ponty, la cui riflessione sull’idea di natura è uno dei contributi filosofici più recenti sulla questione, e dall’altro a Gregory Batheson, scienziato molto particolare nel cui pensiero è presente tutta una serie di tematiche scientifiche collegate a spunti religiosi e teologici. L’idea di fondo del pensiero di Merleau Ponty è che la natura sia un elemento mai completamente culturalizzabile; non possiamo intendere come natura una sostanza con una sua autonomia, a cui dobbiamo tornare. Ci sono molti equivoci roussoviani sulle tematiche ecologiche e mi pare importante ricordare Merleau Ponty, per il quale non si tratta di recuperare origini pure o una presunta verginità, ma invece di pensare una natura intesa come relazione.

Come seconda domanda volevamo chiederLe di chiarire la differenza tra l’ecologia e l’ambientalismo, spesso usati a torto come sinonimi.

Il punto fondamentale della distinzione tra ecologia e ambientalismo è intendere l’ecologia non come qualcosa di definito, con uno statuto tecnico di interventi localizzati come diceva Popper, ma come qualcosa con un significato sistemico. Riallaccerei questa questione a quella del rapporto moderno-postmoderno, perché il moderno si caratterizza proprio per l’introduzione di un paradigma meccanico, antisistemico per sua stessa natura. L’idea che tutto possa essere generato dalla semplice somma delle parti, mantiene implicita una certa indifferenza e intolleranza nei confronti dell’idea di limite. Al contrario, un sistema è qualcosa su cui non si può agire analiticamente, e in cui si deve tenere conto della totalità delle parti. Mediante questa visione si mette in crisi il paradigma moderno: questo significa introdurre l’ecologia come disciplina che metta in discussione la concezione di assenza di limite costitutiva della modernità. Nell’ecologia limite significa inclusione, appartenenza. Questo è il punto fondamentale della concezione di Merleau Ponty, l’idea di non essere separati da un qualcosa di esterno a noi ma fare parte di un tutto che mi include.

In merito alla questione dell’ecologia, lei si distacca quindi dalla posizione di Paolo Rossi; il quale considerava la tendenza ecologista del postmoderno pericolosamente vicina a posizioni antimoderne.

Sì, si tratta di tutta un’altra prospettiva. Rossi è un patriarca del moderno, ha scritto un famoso libro, I Filosofi e le Macchine, in cui si teorizza proprio il paradigma della non inclusione, l’assenza di limite di cui si parlava prima. In un certo senso, anche l’ecologia può essere posta nell’alveo del postmoderno, se letta come contestazione della modernità. Ciononostante, il postmoderno come tale è storicamente un’altra cosa: Lyotard lo aveva presentato come collegato ad un specie di delirio tecnologico, un elogio dell’informatizzazione che con l’ecologia non ha niente a che fare. Latour aveva impostato un discorso molto più valido sul perché non possiamo dirci moderni, ponendo il problema di una modernità che oscurava tutta una metà della realtà, quella relazionale tra natura e cultura.

Un’idea del genere mette in crisi da un lato tutto il paradigma del capitalismo, e dall’altro il tema del produttivismo, che è invece patrimonio di buona parte delle forze politiche di sinistra. Spesso queste ultime hanno fatto loro la tematica ecologica, anche se poi declinata in termini vaghi e superficiali. Simili comportamenti sono indicativi di come il problema ecologico sia considerato al massimo un sintomo di contraddizioni strutturali.

Sono completamente d’accordo. La stessa filosofia marxista pensava che il massimo sviluppo delle forze produttive avrebbe garantito la possibilità della libertà comunista. Da questo punto di vista si tratta di fare un salto di paradigma per la cultura di sinistra, cioè introdurre un elemento che non c’è o che era solo secondario o marginalizzato.

Ovviamente non c’è mai stata una problematizzazione di questo aspetto all’interno della tradizione marxista. É però vero che pensatori come Marcuse, peraltro molto netto su questo tema e sull’inclusione del movimento ecologista all’interno della lotta contro la società repressiva, sono sempre stati in qualche modo sensibili a queste tematiche. Ho l’impressione che un recupero di questi teorici potrebbe alleggerire il salto di paradigma di cui si parlava, recuperando determinati temi di Marx e aprendosi ad una prospettiva ecologista.

Sono d’accordo. Non a caso infatti lei cita degli eretici. Ad esempio sono dell’opinione che Marcuse oggi sia molto attuale ed andrebbe riletto. Si potrebbe parlare anche di Podolinski, che ha avuto dei rapporti con Marx ed Engels ma non è riuscito a farsi ascoltare.

Recentemente è stato tradotto in italiano il libro di Naomi Klein Una rivoluzione ci salverà, in cui il rapporto tra capitalismo e salvaguardia dell’ambiente naturale, nonché la sua sostenibilità, viene affermato come contraddittorio. Lei è d’accordo con questa posizione? Se sì, pensa che questo punto possa essere uno dei temi su cui ricostruire un’analisi ed una critica del sistema capitalistico?

Il tema mi sembra importante e quindi ben venga anche il libro di Naomi Klein, che ha contribuito a sollevarlo. Devo dire però che l’argomentazione non va molto al di là di una formulazione di desideri; non ci trovo un approfondimento filosofico-concettuale o anche politico.
Circa la contraddizione tra capitalismo ed ecologia, vorrei piuttosto far notare come sia molto più teoricamente attrezzato il pensiero di Papa Francesco. L’enciclica Laudato si’, appena pubblicata, ha una caratteristica che mi ha impressionato: non si tratta di un’enciclica sull’ecologia, ma di un’enciclica contro il capitalismo. Si prendono le mosse dai problemi dell’ambiente, per poi affermare che l’ecologia va intesa in un senso molto più ampio; infine, sono posti insistentemente i problemi sociali, come quello della disuguaglianza. Non si tratta ovviamente di un anti-capitalismo in generale, ma è senz’altro una critica sistematica del capitalismo neoliberista.
Circa questo aspetto, sottolineerei che molti dei contenuti di quest’enciclica sono validi: oltre a ciò a cui ho accennato, si può considerare anche il tema del lavoro inteso sopratutto come materiale, altro punto forte dell’enciclica che va contro il postmoderno e tutta una serie di concezioni abolizioniste del lavoro che oggi vanno tanto di moda, sopratutto nella sinistra. Inoltre, il problema ecologico è prospettato sotto molteplici punti di vista: ad esempio si include nell’ecologia la questione delle differenze culturali. Tutto ciò ha un notevole spessore: difendere la natura significa difendere gli elementi di diversità, e la diversità è anche quella culturale. C’è uno stretto nesso tra un discorso ecologico e la protezione dei beni culturali e della varietà delle culture; in questo senso bisogna collegarsi anche al pensiero antropologico, che è un altro riferimento importante per l’ecologia. Questo sia perché molte delle popolazioni studiate dagli antropologi hanno un rapporto con la natura diverso da quello occidentale, sia perché queste stesse culture sono un valore che tende ad essere omogeneizzato; e qui ci ricolleghiamo al discorso sul capitalismo globalizzante che tende a distruggere ogni differenza, sia in campo biologico che in campo culturale.

Per tornare all’enciclica occorre sottolineare che, per quanto possiamo essere d’accordo con tutte queste cose, si tratta comunque del pensiero di un Papa, legato ad un discorso di carattere etico, all’esistenza di un dio creatore. Insomma, mi colpisce che l’unico che faccia un ragionamento così esaustivo sull’ecologia sia il Papa. Mi sembra che questa sia per noi laici una bella sfida: è chiaro che starebbe alla filosofia colmare questo vuoto.

Ecco, tornando alla filosofia, mi pare che il concetto di Creato come inteso dai cattolici metta un po’ in difficoltà un paradigma ecologico per come ne parlava lei prima. Questo concetto pone l’uomo un gradino sopra il resto del mondo e delle creature: non si rischia di avere come punto di riferimento sull’ecologia un libro importante come quello di Papa Francesco, ma comunque legato a un paradigma antropocentrico?

Mica tanto, sa? L’innovazione che il Papa compie è proprio cercare di separare la tradizione cristiana da questa concezione prometeica. Ovviamente mantiene il concetto di Creato, associandolo però all’idea che tutte le creature abbiano pari dignità.

Riguardante il tema del lavoro, mi è parso di capire che all’interno dell’enciclica c’è il rilancio di un’idea di lavoro moderna, piuttosto che una concezione del lavoro postmoderna più legata alla produzione di testi e di contenuti. Lei però non pensa che sia piuttosto il lavoro moderno ad essere in conflitto con una prospettiva ecologista, piuttosto che quello postmoderno?

In effetti, l’idea di un lavoro più dolce, meno possessivo e meno dominatore, è presente all’interno del postmoderno; invece la positività del concetto di lavoro moderno è un certo rapporto con la materialità, che rappresenta il limite. Pensare al lavoro non come una schiavizzazione dell’oggetto ma come a un dialogo, è coerente alla prospettiva ecologica. Questo elemento è presente, ad esempio, nell’idea di lavoro di Hegel.

Nel corso dell’intervista, ha accennato spesso al pensiero di Merleau Ponty. Secondo lei il suo concetto di natura ha oggi una sua attualità? Se sì, in che termini?

Bisogna senz’altro tenere conto che Merleau Ponty vive e scrive in un periodo in cui i problemi ecologici non erano considerati tali, in un momento di crescita fortissima e di massimo sviluppo delle forze produttive e capitaliste.
Da un certo punto di vista questo rende ancora più interessante il suo pensiero, perché non c’è mai nessun riferimento a questioni oggettive (esaurimento scorte, ozono). Il problema ecologico viene posto a livello generale, filosofico; la natura viene considerata elemento non culturalizzabile, rappresentante qualcosa che sta come limite. É molto interessante impostare in questo modo la questione, perché toglie subito tutti i pericoli di roussovismo che invece sono tutt’oggi diffusi nel senso comune e rendono il dibattito sull’ecologia molto arretrato sotto ogni punto di vista. Sottolineerei come tutto il pensiero di Merleau Ponty sia caratterizzato da una posizione non dualistica, vicina a determinate tematiche proprie delle culture orientali. Ricordo anche, in riferimento al pensiero antropologico, l’opera di Descola, grande antropologo autore di Par delà nature e culture, opera per cui Merleau Ponty è un punto di riferimento molto importante. Descola nel suo libro mostra che l’idea di natura che noi abbiamo, quella di una natura oggettiva che sta di fronte ad un soggetto, è un idea tipicamente occidentale, e che la maggior parte delle culture ha una concezione di tipo non dualistico.

Scritto da
Andrea Baldazzini

Ricercatore Senior presso AICCON, centro di ricerca dell’Università di Bologna dedicato alla promozione della cultura della cooperazione e del non profit, dove si occupa di imprenditoria sociale, innovazione e trasformazioni dei sistemi di welfare territoriale. Svolge inoltre attività di formazione e consulenza per organizzazioni di terzo settore e pubbliche amministrazioni. Per «Pandora Rivista» è membro della Redazione.

Scritto da
Paolo Missiroli

Dottore di ricerca in Filosofia presso la Scuola Normale Superiore di Pisa e l’Université Paris Nanterre. È docente a contratto di Filosofia teoretica presso l’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia e cultore della materia presso il Dipartimento di Filosofia dell’Alma Mater Studiorum – Università di Bologna, dove collabora con la cattedra di Storia della filosofia francese contemporanea. Membro del comitato editoriale dell’“Almanacco di Filosofia e Politica” e del gruppo di ricerca “Officine Filosofiche”, studioso del pensiero filosofico francese contemporaneo, in particolare di Merleau-Ponty e della filosofia francese degli anni Trenta, si interessa di Antropocene, del rapporto uomo-mondo, dell’ecologia e di una sua possibile declinazione in termini politici.

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