Trump’s Strategy: il caotico disegno del presidente
- 23 Febbraio 2017

Trump’s Strategy: il caotico disegno del presidente

Scritto da Tiziano Usan

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Il mondo secondo Donald Trump

Durante la sua corsa alla presidenza, così come durante il suo discorso inaugurale, Trump non ha mai nascosto la sua opinione disfattista e disincantata dell’America. Nella retorica del presidente infatti, gli Stati Uniti sarebbero un paese la cui economia è vittima (anziché beneficiaria) della globalizzazione e il cui stile di vita è costantemente minacciato da un eccesso di multiculturalismo. Un paese esposto alla costante minaccia del terrorismo jihadista e zavorrato da alleati ingrati che approfittano della protezione americana senza dare nulla in cambio. Questo quadro lugubre degli Stati Uniti come un paese che, utilizzando le parole di Trump stesso: «non vince più» ci permette di scorgere il primo elemento di una Grande Strategia ovvero la “visione del mondo” di Donald Trump.

In questa visione, tre elementi ricorrenti vengono designati dal nuovo presidente come minacce fondamentali alla sicurezza e agli interessi Americani.

Il primo è senza alcun dubbio rappresenta dal cosiddetto “Islam radicale”, che Trump e molti nella sua amministrazione sembrano individuare come una minaccia all’esistenza stessa degli Stati Uniti, in una sorta di scontro di civiltà alla Huntington, che deve essere sradicata dalla faccia della terra. A differenza delle amministrazioni precedenti, ciò che contraddistingue l’approccio di Trump e del suo team è il fatto che l’origine della minaccia non viene identificata nei soli gruppi terroristici sunniti di stampo jihadista come lo Stato Islamico, bensì nella stessa religione islamica. In questa visione l’Iran sciita, così come l’ISIS, vengono rappresentati come facce diverse dello stesso problema in quanto esponenti di una ideologia-religione considerata dall’amministrazione come incompatibile con i valori americani. Trump e il suo team hanno seguito questa logica fino ad affermare che nemmeno i cittadini americani di fede musulmana o i rifugiati e gli immigrati provenienti da paesi a maggioranza islamica possono essere considerati sicuri; i primi (cittadini americani) rappresenterebbero infatti una sorta di quinta colonna radicalizzabile mentre i secondi (rifugiati o immigrati) un potenziale cavallo di troia tramite il quale infiltrare terroristi sul suolo americano.

La seconda minaccia fondamentale individuata da Trump riguarda l’economia. Il neo-eletto presidente e la sua squadra si sono ripetutamente scagliati contro quelli che considerano disastrosi accordi commerciali, tacciati di penalizzare l’economia e il mercato del lavoro statunitensi attraverso delocalizzazioni, abbassamento dei salari e perdita di competitività. Bersagli favoriti di questa guerra ai “bad treaties” sono stati soprattutto i grandi accordi di libero scambio come il North Atlantic Free Trade Agreement (NAFTA), che Trump ha più volte promesso di ridiscutere, e il Trans Pacific Partnership (TPP), braccio economico del riorientamento strategico verso l’Asia–Pacifico dell’amministrazione Obama.

Trattati a parte, quando si tratta di economia, la Cina è certamente il nemico pubblico numero uno nella visione di Trump e del suo team. Pechino è stata accusata da Trump (spesso su basi incerte o addirittura inesistenti) di ogni genere di pratica commerciale non competitiva: dal dumping alla manipolazione della moneta, dal furto di proprietà intellettuale al mancato adempimento degli obblighi dettati dall’organizzazione mondiale del commercio (WTO). Questa rappresentazione della Cina come un avversario strategico contro il quale sarebbe già in corso una vera e propria “guerra commerciale” sembra essere largamente condivisa da tutti i principali elementi nominati dal presidente per ricoprire posizioni chiave nel commercio e nella sicurezza nazionale, secondo i quali la competizione con la Cina rappresenterebbe “la più importante sfida del ventunesimo secolo”. Quest’ottica di aperta e aspra rivalità è fortemente in contrasto con gli sforzi dell’amministrazione uscente di fare della Cina un partner strategico per affrontare problemi transazionali come il cambiamento climatico.

Infine, secondo la visione del mondo promossa da Trump, un altro problema essenziale riguarda il ruolo degli Stati Uniti nell’ordine mondiale. Durante la campagna elettorale e la difficile fase di transizione, il neo presidente si è ripetutamente scagliato contro gli impegni internazionali degli Stati Uniti, descritti come ipertrofici ed eccessivamente onerosi, i cui beneficiari dovrebbero, utilizzando le parole del presidente: «pagare il conto o iniziare a difendersi da soli». In quest’ottica la NATO è dipinta come un apparato obsoleto mentre gli alleati asiatici come Giappone e Corea del Sud approfitterebbero della protezione statunitense arricchendosi alle spalle dell’America. (segue)

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Scritto da
Tiziano Usan

Classe '92. Laureato triennale in Relazioni internazionali e Diplomatiche, e laureando magistrale in studi strategici presso l'Università di Bologna. Si interessa principalmente di strategia e geopolitica, con un focus sul continente Asiatico e sulla Cina in particolare.

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