Storia delle acciaierie di Piombino: il Ciclo Integrale
- 25 Settembre 2017

Storia delle acciaierie di Piombino: il Ciclo Integrale

Scritto da Enrico Cerrini

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Non è facile scrivere la storia di una grande fabbrica perché esistono tante storie quanti sono i punti di vista da cui la osserviamo. La fabbrica è infatti un sistema complesso che interessa la produzione, le dinamiche societarie, le mansioni operaie, le relazioni sindacali e quelle con il luogo che la ospita, sia inteso come società che come ecosistema. Scrivere di una fabbrica importante per il territorio nazionale come continuano ad essere le acciaierie di Piombino è quindi un compito mastodontico che comporta anni di studi e ricerca. Molto più umilmente la serie di articoli che ha inizio con questo contributo si prefigge di abbozzare alcuni elementi della storia dello stabilimento siderurgico, prendendo spunto e valorizzando quanto già scritto da Pier Luigi Panciatici in “La siderurgia a Piombino. Uno stabilimento e una città”, pubblicato da una casa editrice locale nella prima metà degli anni Novanta. Per un attore esterno allo stabilimento è essenziale comprendere i metodi di produzione dell’acciaio prima di avventurarsi nelle tematiche più prettamente storico-economiche. Il primo capitolo è quindi dedicato a ciò che ha sempre caratterizzato la fabbrica piombinese, ovvero la produzione a ciclo integrale.


Il Ciclo Integrale

Ecco la terra in permanente rivoluzione
ridotta imbelle sterile igienica
una unità di produzione
unità di produzione
tecnica d’acciaio
scienza armata cemento
Tabula Rasa Elettrificata
Giovanni Lindo Ferretti

da “Tabula Rasa Elettrificata (T.R.E.)” (1998)

L’attività siderurgica piombinese ha origini millenarie, quando il popolo etrusco comprese il valore del territorio come centro di lavorazione dei minerali ferrosi provenienti dall’isola d’Elba. Gli antichi forni fusori sono osservabili nell’incantevole cornice del golfo di Baratti, il quale ha rivelato una necropoli di grande valore archeologico sepolta sotto le scorie della lavorazione del ferro.

Il 1860 è l’anno di fondazione della moderna siderurgia piombinese, quando venne istituita la Magona d’Italia, la prima fabbrica italiana ad adottare la tecnologia Bessemer per ottenere l’acciaio dalla ghisa. Quell’esperienza ebbe vita breve, ma una costola societaria fondò la Ferriera Perseveranza nel 1865. La nuova fabbrica fu ampliata tramite l’introduzione di impianti come il forno Martin-Siemens, la cokeria e l’altoforno alimentato a coke, fino a trasformarsi nel primo stabilimento a ciclo integrale italiano nel 1909.

Il ciclo integrale fu favorito dalla facilità di reperimento delle materie prime che caratterizzava il territorio di Piombino grazie alla vicinanza dei traffici marittimi, delle miniere elbane e delle cave di calcare di Monte Calvi. Come dice la parola stessa, il ciclo integrale è infatti un processo produttivo atto a trasformare le materie prime come il carbone, il calcare e i minerali nel prodotto finale. La trasformazione si basa su due processi importanti, il primo è la riduzione chimica degli ossidi di ferro contenuti nel minerale in modo da produrre la ghisa, mentre il secondo è l’affinazione che permette di trasformare la ghisa in acciaio diminuendo la proporzione di carbonio contenuta nel metallo.

Gli anni che vanno dal 1865 al 1909 separano il percorso intrapreso dalla fabbrica piombinese rispetto alle acciaierie bresciane, dove al ciclo integrale furono preferiti i forni elettrici. In questo caso, l’acciaio è prodotto dal rottame attraverso un semplice processo di fusione. L’introduzione dei forni elettrici fu facilitata dalla reperibilità del rottame nell’area, data l’importante presenza di officine meccaniche. I forni elettrici possono essere utilizzati in fabbriche di medie dimensioni caratterizzate da costi di attivazione e di gestione minori rispetto al ciclo integrale, ma producono metalli di qualità più basse perché le impurezze del rottame si trasferiscono nel prodotto finale.

 

Riduzione

Nella fase di riduzione, la cokeria e l’altoforno si affermano come protagonisti. La cokeria è un impianto composto da forni costituti da una serie di celle in cui il carbone fossile si trasforma in carbone coke. Per essere utilizzato in altoforno, il carbone fossile deve infatti diventare poroso perdendo gran parte dello zolfo e delle altre componenti volatili. Per ottenere questo risultato, il carbone viene chiuso ermeticamente nelle celle alla temperatura di circa 1.300 gradi celsius per circa 15 ore.

L’altoforno è il luogo dove avviene il processo di trasformazione dal minerale alla ghisa, lega di ferro e carbonio il cui secondo elemento è presente con un tenore che oscilla dal 2,06 al 4%. Il minerale ferroso, insieme al calcare, al carbone coke appena prodotto e ai materiali che facilitano la fusione, accede attraverso un nastro trasportatore alla bocca dell’altoforno. La bocca è ubicata nel  punto più alto dell’impianto, mentre aria surriscaldata viene insufflata dal basso. Durante la discesa del materiale lungo l’altoforno hanno luogo le reazioni chimiche tra i materiali e i gas ottenuti dalla combustione del coke contenenti monossido di carbonio. Tali reazioni riducono il ferro contenuto nei minerali separandolo dall’ossigeno. La fusione viene completata nella parte più bassa dell’impianto, dove la temperatura raggiunge i 2.000 gradi. Qui si forma la ghisa, che gocciola nel proprio crogiolo, mentre la scoria dell’altoforno, la cosiddetta loppa, gocciola in un’apposita siviera.

Il processo di approvigionamento dell’altoforno non può essere interrotto e deve essere costantemente seguito da tecnici specialisti chiamati ad evitare il bloccaggio dei materiali al suo interno, che comporterebbe il raffreddamento degli stessi.

Tre prodotti escono dall’altoforno. I gas sprigionati sono immagazzinati nei ricuperatori Cowper e riutilizzati come combustibile. La loppa viene prima trattata da forti getti d’acqua che ne favoriscono la granulazione, poi spedita nei cementifici dove, opportunamente mescolata con il gesso, forma il cemento d’altoforno, semilavorato che viene unito al clinker per produrre il cemento finale. La ghisa può essere immediatamente immessa sul mercato o trasformata in acciaio tramite il processo di affinazione che avviene in acciaieria.

Figura 1: Schema di un centro siderurgico a ciclo integrale, fasi della produzione

Ciclo itegrale

Fonte: Wikipedia. Legenda: 1. Minerale di ferro 2. Fondente 3. Carrelli trasportatori 4. Bocca di carico 5. Strato di Coke e fondente 6. Strato di Fondente e minerali di ferro 7. Flusso di aria calda a circa 1200 °C 8. Rimozione delle scorie 9. Crogiolo per la colata della ghisa 10. Siviera per le scorie 11. Colata in siviera 12. Contenitore per la separazione delle particelle solide 13. Ricuperatori 14. Ciminiera 15. Condotto per l’aria calda inviata all’altoforno 16. Carbone in polvere 17. Cokeria 18. Coke 19. Uscita dei fumi dall’altoforno. 

 

Affinazione

Per trasformare la ghisa in acciaio diminuendo la quota di carbonio contenuta nel metallo al di sotto del 2,06%, la fabbrica piombinese ha utilizzato i forni Martin Siemens fino a che non sono stati soppiantati dal processo LD che permetteva di ottenere una migliore qualità a prezzi inferiori. L’altra tecnologia ottocentesca, il convertitore Bessemer, non fu mai usata nello stabilimento a ciclo integrale, ma solo all’interno della Magona d’Italia. Oltre a diminuire le quantità di carbonio, l’acciaieria elimina le impurità contenute nella ghisa grezza, espulse sotto forma di gas o di scorie.

Il convertitore Bessemer è stato brevettato intorno al 1850 e consiste in un recipiente a forma di pera alto tra i 4 e i 6 metri, dotato di un’apertura che funge sia da carico che da scarico. Nella parte inferiore si trova una camera in cui viene pompata l’aria che innesca la reazione tra l’ossigeno e il carbonio. La reazione impiega circa venti minuti a consumare il carbonio in eccesso nella ghisa. Durante la stessa reazione, parte dello zolfo e del fosforo contenuti nella ghisa si trasmettono all’acciaio e ne abbassano la qualità.

Il forno Martin-Siemens ha rimpiazzato il processo Bessemer nella seconda metà del XIX secolo perché ha il vantaggio di ottenere l’acciaio con un processo lungo circa 8 ore, quindi più lento, più facilmente controllabile e in grado di garantire una produzione di migliore qualità. Nel forno Martin-Siemens, il gas combustibile e l’aria entrano separatamente in due distinte camere, dove i due fluidi si riscaldano. Successivamente, si incontrano nel laboratorio dove reagiscono bruciando, raggiungendo una temperatura di circa 1.800 gradi che permette di purificare la ghisa e liberarla dal carbonio.

Il processo LD è invece una tecnologia nata in Austria intorno al 1950 ed è ancora oggi il metodo più utilizzato per l’affinazione. Il processo LD ebbe un’immediata diffusione perché permetteva di abbassare i costi degli impianti e i tempi di forgiatura, aumentando la produttività grazie all’utilizzo dell’ossigeno puro anziché dell’aria. In questo caso, la ghisa liquida viene versata in un contenitore chiamato siviera in cui è possibile purificarla, ad esempio provocando una reazione chimica tramite il solfuro di magnesio finalizzata ad abbassare le quantità di zolfo. In seguito, la ghisa viene trasferita nel convertitore vero e proprio, dove continua a bruciare grazie alle reazioni chimiche innescate precedentemente. Qui si insuffla ossigeno puro al 99% che brucia il carbonio in eccesso facendo salire la temperatura a 1.700 gradi. Il processo di affinazione impiega circa 20 minuti prima che l’acciaio, ormai contenente un tenore di carbonio minore dell’1%, venga riportato in siviera.

Quando è stata introdotta la fabbricazione degli acciai speciali negli anni ’80 del XX secolo, si è dovuto prevedere un ulteriore passaggio tra l’affinazione e la laminazione del metallo. Gli acciai speciali, caratterizzati da componenti chimiche leggermente diverse rispetto all’acciaio tradizionale, hanno infatti bisogno di essere integrati con altri minerali. Di conseguenza, l’acciaio appena prodotto viene trasferito nel forno LF dove viene trattato con aggiunta di ferro leghe.

 

Laminazione

L’acciaio liquido esce dalla siviera e passa allo stato solido per essere lavorato nei laminatoi a caldo. La trasformazione dello stato del metallo avviene durante il colaggio, metodo che consisteva nel versamento dell’acciaio liquido in lingottiere di ghisa fino agli anni ’60 del XX secolo. Il moderno sistema della colata continua prevede invece che il metallo fuso, spinto dalla forza gravitazionale, attraversi dall’alto vero il basso una lingottiera in rame di forma curva, raffreddata esternamente da un sistema di circolazione dell’acqua.

Il raffreddamento forma una crosta sulla superficie dell’acciaio che scorre nella lingottiera, mentre la parte interna rimane liquida e scende fino ad entrare in una camera dove viene investita da spruzzi d’acqua. Il completamento del processo di solidificazione avviene quando la lingottiera da curva diventa orizzontale. Qui il metallo colato viene tagliato mediante una fiamma ad ossigeno e lasciato raffreddare completamente per effetto dell’aria.

Il processo di colata continua produce tre tipi di semilavorati, che si differenziano per forma e dimensione: le billette, i blumi e le bramme. Le bramme sono l’unico semilavorato che può essere direttamente commercializzato senza ricorrere alla lavorazione in laminatoio. Queste hanno una sezione rettangolare piatta e sono destinate in particolare alla fabbricazione di lamiere per la carpenteria navale e per la carrozzeria degli autoveicoli.

Attraverso la laminazione a caldo, i blumi e le billette si trasformano in prodotti finiti. L’acciaio solido viene introdotto in laminatoi chiamati treni, dove il semilavorato, riscaldato fino a 1.000 gradi, viene stretto tra due cilindri che ruotano in senso opposto l’uno rispetto all’altro. Ogni treno è contraddistinto da diverse scanalature dei cilindri, le quali fanno assumere ai semilavorati le forme corrispondenti ai diversi prodotti finali.

I tondi sono uno dei prodotti finiti distribuiti dalla fabbrica piombinese. Questi sono barre aventi un diametro che oscilla tra i 38 e i 200 mm e destinate alla produzione di semiassi, ingranaggi, perni, etc. I tondi con dimensione superiore a 100 mm sono frutto della trasformazione dei blumi che avviene nel treno barre sezioni grandi, mentre quelli che hanno dimensione inferiore sono il risultato della lavorazione delle billette per mezzo del treno barre sezioni medio piccole. Le billette che transitano nel treno vergella sono trasformate in fili d’acciaio, chiamati anche rotoli di vergella, utilizzati dall’industria manifatturiera come componenti meccanici non soggetti ad elevate sollecitazioni. Il treno più importante è sicuramente il treno rotaie, dove i blumi si trasformano in rotaie lunghe 108 metri adatte all’alta velocità. Queste ultime, una volta prodotte, vengono raddrizzate e controllate sia superficialmente che internamente.

I prodotti così elaborati, successivamente a tutti i necessari controlli, sono stoccati nei magazzini per essere spediti alle imprese che li richiedono. Il processo descritto si è interrotto ad aprile 2014, quando l’ultimo altoforno piombinese, il cosiddetto Afo4, ha cessato l’attività ed è transitato in un uno stato che non esclude la ripresa della produzione in un prossimo futuro. Al momento, si attende ancora la sorte finale di uno dei simboli della città.

Scritto da
Enrico Cerrini

Ha studiato Scienze Economiche all’Università di Pisa e all’Università di Graz e ha conseguito il dottorato in Economia Politica all'Università di Siena.

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