Recensione a: Kai-Fu Lee, AI superpowers. China, Silicon Valley and the New World Order, Houghton Mifflin Harcourt Publishing Company, Boston 2019, pp. 272, dollari 28 (scheda libro)
Scritto da Giacomo Bottos
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Kai-Fu Lee è di certo una delle persone che – con una trentennale carriera trascorsa tra la Silicon Valley e la Cina, prima in Apple, Microsoft e Google, dove ha guidato per anni la divisione cinese del gruppo, e poi come venture capitalist a capo di Sinovation Ventures – conoscono a fondo il settore tecnologico e le sue tendenze. Già i suoi studi negli Stati Uniti lo avevano portato ad occuparsi di intelligenza artificiale, con una pionieristica tesi sul riconoscimento vocale.
Alle prospettive future del settore è dedicato il suo recente libro AI superpowers. China, Silicon Valley and the New World Order. La tesi centrale può essere espressa facilmente: l’ecosistema tecnologico cinese è meglio attrezzato per trarre vantaggio dai prossimi sviluppi del settore ed è probabilmente destinato a superare quello statunitense. Ad ogni modo si prefigura un duopolio globale in un campo il cui sviluppo è destinato a sconvolgere le nostre società.
Le tecnologie coinvolte tendono infatti a funzionare secondo le logica del winner-take-it-all che, coniugata agli ingenti investimenti e all’alto tasso di competenze necessario, dovrebbe naturalmente portare ad un forte accentramento e concentrazione. Concentrazione in un ristretto numero di paesi che avranno un ruolo guida, da un lato, e in un ristretto numero di imprese protagoniste della trasformazione, dall’altro. Le conseguenze in termini di ulteriore polarizzazione e aumento delle disuguaglianze sono facilmente intuibili.
Ma quale natura avrà il cambiamento al quale stiamo per andare incontro? Per Kai-Fu Lee non dobbiamo aspettarci radicali salti tecnologici o grandi scoperte: non è in vista la singolarità o l’intelligenza artificiale generale. L’evoluzione della ricerca sull’intelligenza artificiale segue storicamente un andamento oscillatorio, nel quale a fasi di grande entusiasmo, interesse e disponibilità di finanziamenti, seguono fasi di riflusso. Le tecnologie di cui si discute ora non sono di invenzione recente. Il paradigma al centro degli attuali successi è quello, già acquisito e consolidato, del deep learning. Ma, a fare la differenza rispetto al passato, sono due elementi che sono disponibili in quantità sempre maggiore e con un costo sempre più basso: la potenza di calcolo e i dati. Questo rende possibile inaugurare un’età in cui queste tecnologie vengono implementate in maniera diffusa e pervasiva ai più diversi ambiti. Su questa corsa all’applicazione verterà la prossima ondata di entusiasmo per l’intelligenza artificiale e su di essa verterà anche la competizione tra Cina e Stati Uniti, intesi come sistemi economici, politici e culturali.
Come accennato, ad essere cruciale nel delineare le traiettorie future sarà la disponibilità di dati, unita ad altri tre fattori: l’ecosistema imprenditoriale, la disponibilità di competenze diffuse e le politiche governative. Su questi assi si gioca la partita tra Stati Uniti e Cina. Per dare un quadro della situazione dei rispetti settori tecnologici, Kai-Fu Lee ricostruisce con efficacia l’evoluzione a cui la Cina è andata incontro negli ultimi vent’anni, anche a partire dalla sua esperienza diretta di responsabile di Google in Cina e fondatore del fondo Sinovation. Se la situazione agli inizi degli anni Duemila era di un divario abissale, oggi non solo questo gap è stato colmato, ma si è creato un mercato e un settore tecnologico con caratteristiche autonome e peculiari, che opera secondo principi e metodi differenti, per rispondere a bisogni dettati dal contesto locale. C’è anche una profonda differenza culturale rispetto agli Stati Uniti, ben descritta da Kai-Fu Lee.
Il modello della Silicon Valley incorpora infatti una serie di valori, quali il perfezionismo, il mito della creatività e dell’originalità individuale, un certo idealismo per il quale l’impresa risponde non solo al mercato ma anche ad una “missione”, l’avversione al coordinamento statale. Il contesto cinese è invece caotico, in rapidissima mutazione, più pragmatico e immediatamente orientato ai cambiamenti del mercato, più incline ad accettare un’incisiva azione pubblica di orientamento e sostanzialmente privo di “scrupoli”. A questo proposito si insiste molto sulla pratica di copiare i concorrenti – esteri e cinesi – altamente stigmatizzata in Occidente, ma decisiva per permettere quel processo di catching up a cui si accennava, che ha poi portato allo sviluppo di un ecosistema tecnologico con caratteristiche cinesi. L’estrema competizione ha portato alla nascita di una nuova generazione di imprenditori estremamente agguerrita. Decisivo, inoltre, è il ruolo delle peculiarità e delle preferenze locali nel definire una traiettoria alternativa per l’Internet cinese (e nel determinare il fallimento del tentativo delle piattaforme statunitensi di insediarsi in Cina). Ad esempio, lo sviluppo precoce di strumenti O2O (online to offline) con la disponibilità di ogni genere di servizi accessibili tramite smartphone e la rapidissima diffusione di strumenti di pagamento digitale (attraverso l’onnipresente applicazione WeChat) unita alla minore sensibilità al tema della privacy rispetto ai contesti occidentali, nonché al decisivo dato demografico, ha portato ad un enorme disponibilità di dati, fattore, come si è detto, decisivo. A questo si unisce l’azione governativa che da alcuni anni ha indicato nello sviluppo dell’intelligenza artificiale un obiettivo prioritario e strategico. Quello che la Cina sta vivendo viene definito “momento Sputnik”, in analogia alla febbre per la “corsa allo spazio” che pervase la società americana dopo il lancio sovietico dello Sputnik. L’analogo per la Cina fu la vittoria di AlphaGo, l’intelligenza artificiale sviluppata da Google, contro il campione mondiale del tradizionale gioco del Go.
L’imponente sforzo collettivo nel campo dell’intelligenza artificiale porta ad un tendenziale vantaggio cinese in due dei quattro vettori di sviluppo dell’IA che l’Autore descrive: l’IA di internet e l’IA “percettiva” (basata sulla diffusione di sensori e dell’“Internet delle cose”), mentre la superiorità statunitense dovrebbe mantenersi nell’IA nel campo del business (in quanto può contare su un’abitudine più consolidata all’archiviazione e alla classificazione dei dati da parte delle imprese). Una sostanziale parità è intravista per quanto riguarda il settore più avanzato dell’IA autonoma.
Su un piano più generale Kai-Fu Lee ritiene che l’impatto di questi cambiamenti sul mondo del lavoro sarà molto forte, per quanto asimmetrico rispetto ai diversi settori e lavori. In alcuni ambiti la probabilità di sostituzione sarà molto elevata, in altri il supporto dell’intelligenza artificiale sarà probabilmente combinato ad un apporto umano. Quello che sembra chiaro è che la spinta verso la polarizzazione del mercato del lavoro e l’incremento delle disuguaglianze aumenterà ulteriormente, creando una polarizzazione ancora più netta tra le imprese, i paesi e i lavoratori direttamente coinvolti in questa trasformazione tecnologica e quelli che da essa saranno esclusi. Non solo, la potenziale sostituzione di molti lavori manuali e a basso costo priverà i paesi meno sviluppati di una delle principali armi su cui essi potevano contare per iniziare una traiettoria di sviluppo.
Nel quadro generalmente pessimistico tratteggiato, il capitolo finale è dedicato invece ad alcune riflessioni e proposte per una positiva convivenza con l’intelligenza artificiale, che porti ad un maggiore sviluppo delle doti e delle qualità propriamente umane. Vengono analizzate criticamente alcune delle proposte generalmente avanzate, come quella del reddito universale di base (Universal Basic Income). In questa proposta, proveniente dalla Silicon Valley, si mescolano secondo l’Autore una genuina preoccupazione per le conseguenze dei cambiamenti innescati e una paura per i possibili disordini sociali che un cambiamento del genere potrebbe portare. Inoltre, la proposta di attribuire un reddito non risolve la questione del vuoto che il lavoro, da sempre inteso come fonte di senso, potrebbe lasciare nelle nostre società. Per questo viene avanzata una proposta alternativa di stipendio di investimento sociale, erogato per attività di cura, servizi alla comunità e formazione, tale da incentivare le attività socialmente utili e a impatto sociale positivo. Più in generale si suggerisce come la rivoluzione dell’intelligenza artificiale dovrà innescare un generale ripensamento su ciò che è importante e sul significato dell’esistenza umana. Questo dovrà avvenire in parallelo ad una nuova dislocazione dei compiti che permetta di attribuire ai nuovi sistemi lo svolgimento di attività automatizzabili, lasciando all’essere umano il recupero degli aspetti più prettamente emotivi, creativi, relazionali e ideativi.
Nel complesso la lettura di AI superpowers risulta molto stimolante, da un lato perché restituisce un’immagine significativa delle dinamiche recenti di sviluppo dell’Internet cinese, utile per avere una prospettiva diversa che aiuti a comprendere i recenti conflitti sul piano geopolitico. Dall’altro rappresenta un invito alla riflessione sulle prospettive, sui problemi e sulle incognite di un settore strategico come l’intelligenza artificiale. Nell’affrontare queste problematiche il libro mostra quanto si tratti di processi che sono già in atto e che si radicano in elementi che fanno già parte della nostra realtà. Al tempo stesso il potenziale di cambiamento che essi potranno esprimere è ben lungi dall’essersi pienamente manifestato e, per quanto ciò accadrà gradualmente, gli effetti non saranno meno rilevanti. Essi agiranno contemporaneamente su molti piani: economico, sociale, geopolitico, esistenziale. Al tempo stesso, sembra dirci Kai-Fu Lee, non c’è un’unica via per affrontare questi cambiamenti. Se però si vuole provare a inciderli e indirizzarli la via è stretta e il tempo a disposizione è poco.