Algoritmi urbani. Intervista a Raffaele Laudani
- 12 Giugno 2023

Algoritmi urbani. Intervista a Raffaele Laudani

Scritto da Otello Palmini, Giacomo Bottos

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La tecnologia digitale è divenuta negli ultimi anni un tema inaggirabile per lo sviluppo urbano e una sfida costante per il governo della città. Dal paradigma smart city, alla sua crisi, fino alle sfide lanciate dalle nuove applicazioni dell’intelligenza artificiale assistiamo al dispiegarsi di una relazione sempre più articolata tra innovazione tecnologica e gestione politica nei contesti urbani. Abbiamo affrontate queste tematiche con Raffaele Laudani, Assessore del Comune di Bologna con deleghe a Urbanistica e edilizia privata, patrimonio, progetto “Città della Conoscenza e memoria democratica”, rapporti con l’Università e i centri di ricerca e Professore ordinario di Storia delle dottrine politiche all’Università di Bologna.


La città, intesa come scala urbana di analisi e di azione, subisce gli effetti di flussi e forze che per genesi e struttura ne sopravanzano la dimensione: pensiamo ad esempio ai gradi flussi di capitale sempre più globalizzati e alle articolate dinamiche di produzione e gestione dell’innovazione tecnologica. Da una parte, quindi, la città si configura come il punto di caduta di fenomeni che non sono decidibili e analizzabili entro la sua scala, ma dall’altra essa è anche il primo punto di incontro e di attrito tra questi fenomeni e l’esperienza quotidiana dei cittadini e delle cittadine. Potrebbe tratteggiare il ruolo che la scala urbana gioca secondo lei oggi nella riflessione politica contemporanea?

Raffaele Laudani: Il rapporto tra spazio e politica è decisivo: in questo ambito siamo di fronte a trasformazioni molto rilevanti che, se non messe a fuoco adeguatamente, rischiano di rendere meno efficace l’azione politica specialmente su scala urbana. Le questioni principali a mio avviso sono due. In primo luogo, la dimensione urbana è quella in cui le grandi trasformazioni globali si fanno tangibili nella vita quotidiana delle persone. La sfida climatica e ambientale, la riduzione delle disuguaglianze, la tutela della salute e le nuove frontiere della cittadinanza trovano qui la loro concretizzazione. Allo stesso tempo, le città sono certamente il luogo di transito dei grandi flussi tecnologico-finanziari. Si tratta di fenomeni che sembrano superare di molto la possibilità di azione municipale. Tuttavia, lo spazio urbano è anche il luogo della sedimentazione effettiva delle competenze, delle intelligenze, delle infrastrutture che possono dare una risposta a queste sfide e fronteggiare questi flussi. Queste dinamiche stanno determinando un mutamento del ruolo delle città, che non possono più essere considerate mere “amministrazioni locali”. Le città sono ormai veri e propri attori politici. C’è poi un’altra dimensione di tipo spaziale: oggi la dimensione locale, regionale, nazionale, continentale e globale operano sullo spazio urbano simultaneamente. Si pensi ad esempio all’impatto delle piattaforme digitali sulle nostre città. La loro influenza pervade il tessuto urbano ad ogni livello fino a quello di prossimità, modificandone i rapporti in positivo – si pensi al ruolo di infrastruttura delle relazioni sociali che i rider o le piattaforme come Meet o Teams hanno svolto durante la pandemia – e in negativo – gentrificazione, pressione abitativa e turistificazione, isolamento, precarizzazione del lavoro. Occorre dunque intervenire su questa dimensione della prossimità attraverso una logica che metta in relazione la città con lo Stato nazionale e il contesto europeo. Questi ultimi devono dotarsi di strumenti legislativi che aiutino le realtà urbane a far fronte a queste sfide. Diventa quindi decisivo il tema delle alleanze tra città capaci di promuovere modifiche legislative che contribuiscano alla gestione di questi fenomeni globali. Questa simultaneità dei piani muta profondamente le forme di politicizzazione delle città. Lo spazio politico della modernità ha subito una forte ridefinizione e le città devono giocare un ruolo decisivo nell’architettura di una geometria politica basata sulla simultaneità dei piani spaziali. La consapevolezza di questi mutamenti deve diventare parte integrante dell’azione politica ma anche del racconto della città. In questo senso, recentemente nell’Innovazione Urbana Lab, lo spazio a Palazzo D’Accursio dedicato al racconto delle trasformazioni urbane, abbiamo centrato il racconto della città attuale sui flussi che la attraversano. La città come poteva essere concepita un tempo, chiusa tra le sue mura, è ora immediatamente in relazione con una pluralità di flussi che fa saltare i piani spaziali. Questo è il cambiamento con cui un nuovo municipalismo deve misurarsi.

 

La relazione tra città e tecnologia digitale è stata informata, negli ultimi venti anni, dall’emergere del paradigma smart city. La riflessione, accademica e non solo, su questo tema ha messo in luce il rischio di una prospettiva tecnocentrica e post-politica, in cui alla soggettività e alla parzialità del politico viene sostituita l’analisi oggettiva e imparziale degli strumenti tecnologici. Nel caso dei progetti in atto a Bologna lei parla invece di “politicizzare” l’algoritmo. Potrebbe dirci, al di là dei progetti specifici che successivamente prenderemo in considerazione, come e perché è necessario prendere le distanze da quel paradigma smart city e pensare un quadro teorico alternativo per la relazione tra tecnologia e politica?

Raffaele Laudani: Accademicamente sono nato come studioso di Herbert Marcuse, che teorizzava la distinzione tra tecnica e tecnologia e il superamento della dicotomia rigida tra tecnica come dominio e tecnica come neutralità dei processi. Secondo Marcuse la tecnica riguarda gli strumenti messi a disposizione dalla società sulla base dello sviluppo tecnico-scientifico in un determinato momento storico; la tecnologia, invece, è il modo in cui questi strumenti vengono organizzati. La tecnologia presuppone un orizzonte di senso. Sebbene in ambito scientifico e teorico il paradigma della smart city, in cui la tecnica guida il progresso della società, sia ormai sostanzialmente superato, questa retorica è ben presente all’interno dei processi di finanziamento legati alla digitalizzazione delle città. Questo si lega ad una impostazione neoliberista in cui il progresso tecnologico e sociale è subordinato alla capacità del sistema delle imprese di innovare. Noi stiamo mettendo in discussione questo modello di governance pur volendo puntare molto sull’innovazione digitale. Oggi intorno a scienza e ricerca si giocano molte delle linee di frattura tra processi realmente democratici e processi autoritari. Anche in questo caso la pandemia ha insegnato: attorno alla dicotomia scientismo/anti-scientismo si sono venute a creare delle linee di frattura. Pur non avendo dubbi sulla posizione da prendere, dobbiamo orientare il ragionamento su scienza e ricerca verso una democratizzazione reale della società e per farlo è necessario superare uno scientismo acritico. E proprio in questa direzione si muove uno dei principali progetti dell’amministrazione, quello di dare vita non a una “Città della Scienza” ma una “Città della Conoscenza”. Un progetto in cui scienza e ricerca sono intese anche come terreno di conflitto democratico, per cui queste perderebbero di senso se non fossero in grado di dare risposta ai bisogni concreti della società e di dialogare con le sue esperienze. La città è il luogo in cui i processi tecnologici devono essere orientati a dare risposta alle sfide globali, nel senso dell’abilitazione di nuove possibilità per la cittadinanza. “Città della Conoscenza” è il tentativo di smontare la narrazione mitologica della smart city e di far diventare la conoscenza il centro di un progetto politico progressista e democratico. Quindi politicizzare l’algoritmo significa porre esplicitamente dei valori politici alla base delle logiche strategiche di sviluppo della città. È in questo senso che occorre ridefinire il rapporto tra tecnologia e politica nel contesto urbano.

 

Dati e piattaforme sono due dei termini maggiormente associati al discorso sulle smart city. I dati sono considerati allo stesso tempo come strumenti imprescindibili per il governo efficace della città ma anche come nuova fonte di valore e quindi come obiettivo delle piattaforme capitalistiche, come AirBnB o Uber, che abbiamo imparato a conoscere nelle nostre città. È possibile declinare diversamente questi due termini nel contesto di una concezione alternativa del rapporto tra città e tecnologia?

Raffaele Laudani: Questo tema è legato al processo di politicizzazione dell’algoritmo di cui si diceva. Le piattaforme, come sappiamo, non sono neutre e gli esiti da esse prodotti sono spesso guidati da algoritmi che incorporano scelte di valore. Anche le città possono intendersi come piattaforme ma allora occorre agire nel senso della politicizzazione dell’algoritmo che le gestisce. Come le piattaforme capitalistiche, le città connettono i cittadini e le cittadine, li abilitano e attraggono investimenti, talenti e intelligenze. Bologna può sicuramente ambire a essere una piattaforma europea della conoscenza, capace di connettere gli attori – centri di ricerca pubblici e privati, abitanti e comunità che vivono la città – e di abilitarli, attraendo nuovi investimenti e intelligenze capaci di lavorare in questa direzione. Ogni città ha bisogno di un “algoritmo”, di una struttura di obiettivi, criteri e valori che orientino la politica che si vuole portare avanti. Tuttavia, se è vero che la città può essere concepita come una piattaforma, essa è anche attraversata da piattaforme private che funzionano secondo una logica estrattiva – ovvero estraggono valore privato dal general intellect, dalle interazioni sociali che innervano il tessuto urbano. Una città che voglia dirsi progressista deve invertire questa logica. Deve estrarre valore pubblico dalle interazioni sociali, pubbliche e private. Ciò significa anche promuovere una politica centrata sulla governance democratica dei dati. È questa la logica che sta anche alla base dell’architettura progettuale del Gemello Digitale di Bologna, che non si limiterà ad essere uno strumento al servizio delle politiche pubbliche ma dispiegherà anche una strategia di governo dei dati della città. Il Comune di Bologna sta sviluppando il progetto insieme a Università di Bologna, CINECA e Fondazione Bruno Kessler, con l’obiettivo di rendere il Gemello Digitale un progetto pilota nazionale. Coerentemente con la logica delle alleanze già menzionata, l’iniziativa sta venendo sviluppata in una dimensione europea di alleanza politica con città come Barcellona. È infatti prevista una collaborazione tra i due centri di supercalcolo (CINECA e Barcelona Supercomputing Center), nonché tra l’Università di Bologna e l’Universitat Politècnica de Catalunya. In parallelo esiste anche una relazione con la città di Amburgo che, pur non avendo avviato un progetto di Gemello Digitale, sta sviluppando riflessioni interessanti sul tema della governance condivisa dei dati per produrre valore pubblico.

 

Ci potrebbe illustrare più nello specifico in che modo il progetto della “Città della Conoscenza” potrebbe connettere le nuove potenzialità digitali della città ad un suo sviluppo fisico-urbanistico?

Raffaele Laudani: Si tratta di un progetto qualificante per questo mandato amministrativo. È del resto significativa la scelta del sindaco di affidare ad una figura come la mia, con un profilo non tecnico ma proveniente da un percorso umanistico, le deleghe all’Urbanistica e al Patrimonio congiuntamente a quelle ai Centri di ricerca e al progetto bandiera della Città della Conoscenza. L’idea è quella di unire i due pilastri della città fisica e degli elementi caratterizzanti la dimensione della conoscenza e dell’informazione, sulla base dell’intuizione per cui ricerca e digitale debbano letteralmente dare forma alla città. Il progetto Città della Conoscenza è strutturato attorno a due leve politiche: quella urbanistica e quella politico-progettuale. In una battura, l’hardware e il software della Città della Conoscenza. Per quanto riguarda il primo ambito, un esempio è la “Via della Conoscenza”, l’individuazione di un quadrante di circa 500 ettari lungo l’asse nord-ovest della città, dove si concentrano i principali poli scientifici e della ricerca avanzata, ma anche le principali aree dismesse, uno spazio quindi dove concentrare le risorse del PNRR e innescare la rigenerazione urbana nel segno della conoscenza. Il software sono le “Politiche della Conoscenza”, con cui portare avanti progetti come il Gemello Digitale, un programma massivo di educazione scientifica, la citizen science, e il “Piano per la scienza e la ricerca”, che mira a definire una governance politica di questa nuova piattaforma europea della conoscenza che può avere in Bologna uno dei suoi poli fondamentali. In questa logica il software informa l’hardware e viceversa. Ad esempio, il Gemello Digitale può essere anche uno strumento decisivo per la pianificazione urbana, fornendo dati e possibilità di sviluppo estremamente articolate per la gestione delle energie e dei flussi urbani: si pensi alla gestione dei cantieri, ma anche alle possibilità relative al monitoraggio di traffico, energia e rifiuti. La divisione tra fisico e digitale è ancora presente nelle nostre città ma le connessioni si stanno moltiplicando e vanno gestite e governate. A Bologna vogliamo che i due percorsi dialoghino in maniera costitutiva.

 

L’intelligenza artificiale è una delle tecnologie più discusse anche nel dibattito pubblico al momento. Le città saranno sempre più il bacino di dati con cui queste forme dell’agire saranno utilizzate e, al contempo, il luogo in cui queste dovranno fornire se non delle soluzioni almeno un corposo aiuto rispetto a numerose problematiche. Potrebbe illustrarci in che modo la “Città della Conoscenza” intende porsi tanto rispetto alla governance di questi strumenti quanto al farsi luogo della stessa ricerca e innovazione che riguarda queste tecnologie? Un esempio interessante per comprendere l’approccio dell’amministrazione al problema potrebbe essere quello riguardante il Gemello Digitale?

Raffaele Laudani: Il governo politico di questa dimensione è decisivo. Dobbiamo fornire una cornice in cui l’intelligenza artificiale deve muoversi, un perimetro che dovrà poi incidere sulla direzione. Anche per questo, tramite FIU (Fondazione per l’Innovazione Urbana), abbiamo scelto di far entrare la città dentro il Centro nazionale sull’HPC (High Performance Computing), che sarà il contesto per la ricerca di frontiera su questi temi in Italia. Su questo Bologna può essere una città capace di indirizzare i processi e diventare un laboratorio di sperimentazione per una differente relazione tra politica e tecnologia. Attraverso questo approccio si può evitare tanto l’esaltazione quanto l’allarmismo riguardo al progresso tecnologico, considerandolo una dimensione fondamentale con la quale la decisione politica deve misurarsi. Non si tratta di concepire il Gemello Digitale come un progetto in cui l’intelligenza artificiale viene usata solamente come strumento per le politiche pubbliche, ma soprattutto come una strategia attraverso la quale la città e i cittadini avranno l’occasione di orientare la sperimentazione tecnologica. La dimensione urbana deve essere il luogo in cui superare la distinzione, ancora in essere, tra scienze umane e tecnologia: è dove le questioni diventano concrete che tali distinzioni si superano. Serve capacità di analisi critica dei processi, occorre portare soggettività politica in questi processi. È dove lo sviluppo tecnologico tocca la vita delle persone che queste distinzioni astratte perdono di senso, qui sapere accademico e sapere civico devono dialogare. Le città sono lo spazio politico in cui oggi è necessario flettere lo sviluppo tecnico verso i valori sociali e ambientali. Dunque le città devono condurre i processi. Per quanto riguarda il Gemello Digitale molte aziende si candidano a fornire un servizio completo e forse ci saranno delle collaborazioni, ma la città di Bologna sta seguendo una strada chiara in cui la governance deve essere condivisa e la componente pubblica deve dettare la direzione. Se questa tecnologia è strategica ed è un modo per sviluppare il potenziale conoscitivo della città la modalità non può essere quella che persegue l’utile economico o il design di un semplice servizio. Delle collaborazioni ci saranno ma devono essere orientate al tipo di prospettiva che noi abbiamo, ovvero essere alla frontiera di una ricerca finalizzata a rispondere ai bisogni effettivi del tessuto sociale. Non è un caso che con l’amministrazione di Barcellona si stia pensando anche di scegliere insieme i partner tecnologici in futuro per poter influenzare la strategia europea sui gemelli digitali.

 

Spesso presentando i progetti per il futuro di Bologna abbiamo sentito parlare di una prospettiva municipalista. Potrebbe sintetizzarci cosa intende con questa espressione, specialmente in riferimento alle politiche sul digitale, e fare qualche esempio di alleanze con altre città che Bologna sta stringendo su progetti specifici?

Raffaele Laudani: Progetto municipalista è il filo conduttore che molte di queste risposte presuppongono. Come dicevamo prima, le città sono oggi lo spazio politico in cui le grandi sfide urbane globali si fanno concrete nella vita quotidiana delle persone, ma sono anche lo spazio in cui si concentrano le maggiori possibilità di rispondere a queste sfide. Qui emerge quella che Joan Subirats – scienziato politico, ex Assessore a Barcellona e ora Ministro dell’Università in Spagna – descrive come dialettica tra competenza e urgenza: le competenze delle città possono essere limitate, specialmente dal punto di vista amministrativo, ma l’urgenza politica di rispondere ai problemi a questa scala resta inaggirabile. Qui si innesta la necessità del tema delle alleanze: dentro la città con forze civiche e movimenti, ma anche fuori di essa con altre realtà urbane nazionali ed europee. Non sto parlando solamente di reti tra città in cui ci si possono scambiare informazioni ed esperienze ma di vere e proprie alleanze politiche. Un’alleanza prevede un obiettivo comune e una strategia condivisa per ottenere dei risultati su temi specifici. Non si tratta di abbandonare la logica delle reti tra città, ma di sviluppare, oltre a questa, una geometria di alleanze politiche. Avere un approccio municipalista alla rivoluzione digitale significa costruire queste alleanze su una molteplicità di piani che vanno dalla prossimità alla dimensione globale. Un’alleanza capace di dare un senso democratico e progressista allo sviluppo tecnologico e di innescare anche al livello nazionale ed europeo un cambio di passo in termini di legislazione e approccio a questo tema.

Scritto da
Otello Palmini

Dottorando in Architettura e Pianificazione urbana all’Università di Ferrara (IDAUP). Laureato in Scienze filosofiche all’Università di Bologna. Membro fondatore del gruppo Prospettive Italiane. Tra gli ambiti di ricerca: Filosofia della tecnica e della tecnologia; intersezione tra tecnologia digitale e pianificazione urbana.

Scritto da
Giacomo Bottos

Direttore di «Pandora Rivista» e coordinatore scientifico del Festival “Dialoghi di Pandora Rivista”. Ha studiato Filosofia presso l’Università degli Studi di Milano, l’Università di Pisa e la Scuola Normale Superiore di Pisa. Ha scritto su diverse riviste cartacee e online.

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