Recensione a: Matteo Manfredini, Il gesuita comunista. Vita estrema di Alighiero Tondi, spia in Vaticano, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli 2020, pp. 240, 15 euro (scheda libro)
Scritto da Alessio Guglielmini
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Il gesuita comunista di Matteo Manfredini è l’indagine inedita sulla controversa figura del gesuita Alighiero Tondi, che nel 1952 abbandonò la tonaca e scappò dalla Pontificia Università Gregoriana, presso la quale era professore, per abbracciare la causa del Pci. Il merito di Manfredini è quello di alternare le testimonianze dirette e i resoconti dell’epoca con la ricostruzione di dossier riservati, per quella che è una biografia volutamente non sempre lineare, proprio per adeguarsi alla complessità della vicenda e per scavare in profondità, tra le pieghe del tormentato profilo di Tondi.
Sono in effetti numerose le anime del protagonista che emergono nel corso della stesura, come del resto si intuisce dal sottotitolo del testo, Vita estrema di Alighiero Tondi, spia in Vaticano. Fino all’aprile del 1952 Tondi è per l’appunto professore alla prestigiosa Pontificia Università Gregoriana di Roma. Da buon gesuita, coltiva una naturale propensione per lo studio delle materie politiche e sociali della modernità, ma ciò che avviene nel giro di poco è davvero clamoroso e sorprendente. Tondi, a quasi 44 anni, si libera della veste sacerdotale, rinnega la sua carriera presso la Compagnia di Gesù e comincia a collaborare con il Pci, sia come articolista che come autore e conferenziere. Sono proprio le conferenze in giro per l’Italia, dall’estate del 1952, ad agitare le acque già calde della contrapposizione tra il fronte comunista e i movimenti politici di ispirazione cattolica.
La delicatezza della posizione di Tondi, spiega Manfredini, si deve in particolare alle scottanti rivelazioni che l’ex gesuita mette al centro delle sue conferenze e delle sue pubblicazioni, tra cui spicca il saggio dal roboante titolo Vaticano e Neofascismo. Un titolo che tuttavia aiuta a comprendere quale sia la natura delle informazioni di cui l’apostata Tondi dispone. Tondi, prima di lasciare la Gregoriana, è a quanto pare attore cruciale in quelle trame che, sotto la supervisione di Luigi Gedda, presidente dell’Azione Cattolica dal 1952, mirano a creare un movimento politico alternativo alla Democrazia Cristiana di De Gasperi. Un’alternativa di matrice cattolica, ma sempre più spostata a destra e che contempla il coinvolgimento di figure tratte dal neofascismo e dalle frange monarchiche.
Inutile dire che le rivelazioni di Tondi, appoggiato e protetto dal Pci, scatenano un’immediata risposta delle forze cattoliche locali, con relativi boicottaggi degli eventi presieduti da Tondi, e una contro-campagna nazionale che ha lo scopo di minare la credibilità dell’ex gesuita e l’attendibilità delle sue dichiarazioni. Tondi viene dipinto come un miscredente e come un falsificatore della verità, mentre veline e lettere anonime alimentano le voci scandalistiche sul suo conto. Effettivamente sono diversi i flirt attribuiti a Tondi in quel periodo, un uomo elegante e vestito alla moda, a suo agio negli ambienti mondani presso i quali esibisce uno spiccato piglio da viveur. Ma si tratta di una vernice che verosimilmente nasconde un’acuta crisi personale. Stando a Manfredini, un elemento che non viene mai a mancare nella vita di Tondi è proprio la fede. Un’intima devozione cristiana rimane il suo tratto saliente tanto che, dopo anni di tormenti interiori e pellegrinaggi esistenziali, Tondi ritornerà all’ovile di Santa Romana Chiesa.
In mezzo capitano però ancora moltissime cose. Gradualmente, Tondi si rende conto di essere strumentalizzato dal Pci e di non ricevere piena fiducia dai “compagni”. Ambrogio Donini, il suo principale interlocutore presso i comunisti, di fatto lavora per limitarne il raggio d’azione, anche perché il Tondi che infervora le conferenze, pur possedendo grandi capacità oratoriali, cade spesso in esagerazioni e in colpi di teatro dialettici che, non solo, sorprendono l’uditorio, ma perfino i suoi “mecenati” del Pci.
Forse anche per questo motivo, tra il 1953 e il 1954 Tondi viene mandato per qualche mese in visita in Ungheria, Cecoslovacchia e Polonia per realizzare un reportage, divenuto libro con il titolo di La Chiesa del silenzio, che punta a ricostruire la vita dei cristiani nei Paesi situati oltrecortina. Si tratta di narrazioni edulcorate e idealizzate che tendono a rappresentare gli Stati posti sotto influenza sovietica come terre promesse della tolleranza religiosa: Manfredini ne sottolinea l’inverosimiglianza, citando anche le fonti poco oggettive ascoltate da Tondi, tra cui il ministro polacco del culto, Antoni Bida.
Dopo parecchie stagioni in movimento arriva finalmente un po’ di tregua e pace per l’ex gesuita. Nella primavera del 1954, Tondi conosce la militante comunista Carmen Zanti, più giovane di lui di una quindicina d’anni. Zanti è una figura di spicco del comunismo reggiano, dirigente dell’Unione donne italiane. Dopo un breve fidanzamento, i due si sposano. Nel 1957 Carmen assume un importante incarico nella Federazione democratica internazionale delle donne, a Berlino Est. Tondi la segue e riceve una cattedra presso la prestigiosa università Humboldt, in cui è operativo fin dall’agosto del 1957, nella veste di professore di cultura italiana e di storia del Vaticano.
Essendo la moglie spesso impegnata all’estero, Tondi vive in questo periodo anche delicati momenti di solitudine. I quartieri di Berlino Est, come racconta Manfredini, sono la sede di profonde riflessioni, in cui l’ex gesuita ha modo di ripensare il suo rapporto con la fede. Non solo: Tondi esercita nella Germania orientale un altro dei suoi talenti, quello di pittore. Alcune delle sue rappresentazioni di Berlino Est appaiono tuttavia decadenti, come se l’iniziale ammirazione per il sistema comunista stesse via via scemando, lasciando spazio a dubbi morali e filosofici, sicuramente intrecciati alla sua personale crisi spirituale.
Il ritorno in Italia del 1962, dopo la parentesi nella DDR (è da poco sorto il muro di Berlino), è per lui felice e pieno di speranze, anche perché la politica di Papa Giovanni XXIII preannuncia una stagione di progressismo in Vaticano. Eppure, nel giro di poco, Tondi si rende conto che la sua carriera nel Pci è ormai finita. La vita, tra magri compensi e qualche misera occupazione (come quella di correttore di bozze per la federazione reggiana del partito), riprende in maniera piuttosto ripetitiva, mentre il coinvolgimento della moglie Carmen nelle questioni politiche è sempre più rilevante: Zanti viene eletta alla Camera dei Deputati nel 1963 e non sarà l’ultima volta.
La malattia della moglie e la sua morte nel 1979, insieme ai ripensamenti rispetto al suo rapporto con il cattolicesimo, inducono l’apostata Tondi a rientrare nel novero della Chiesa Romana. Le sue richieste vengono accolte da Giovanni Paolo II, tramite le intercessioni del vescovo di Reggio Mons. Baroni, e Tondi nel gennaio del 1981 torna a dire messa ufficialmente e a partecipare alla vita clericale. Muore nel 1984, dopo qualche anno di relativa pace.
Manfredini lascia concludere questo racconto biografico, per riaprire, con un approfondimento finale, la fase cruciale della vita di Tondi, che si rivela essere precedente all’abbandono della Gregoriana e del collegio gesuitico. È proprio questo aspetto a chiarire meglio la definizione di “spia in Vaticano” che troviamo nel sottotitolo del saggio. Prima di diventare aperto attivista del Pci, il gesuita, ancora tale, comincia a interloquire con Ambrogio Donini, condividendo i piani di Gedda per costruire un progetto politico cattolico antagonista di De Gasperi e della DC.
È questo il nodo principale della ricostruzione di Manfredini, che giunge alla conclusione che Tondi abbia iniziato a collaborare come “spia” del partito comunista fin dal 1951, ossia prima di congedarsi a sorpresa dai gesuiti. Manfredini ricava questa tesi in particolare dalla scoperta e dalla consultazione dell’archivio personale di Donini, un dossier di documenti “talmente riservati” che soltanto Edoardo D’Onofrio, Palmiro Togliatti e qualche alto funzionario del Cremlino ne erano a conoscenza.
Proprio da questo dossier, a lungo inedito, emerge l’attività più rischiosa e compromettente di Tondi presso gli ambienti gesuiti, dove apparentemente appoggia i disegni di Gedda quando in realtà è diventato informatore di Donini e dei comunisti, benché gli stessi temano che Tondi possa essere un infiltrato del Vaticano. Tutto ciò che affiora nelle conferenze, nelle pubblicazioni e negli articoli successivi alla fuga dalla Gregoriana del 1952 emerge in questa prospettiva come la continuazione, alla luce del sole, di una breve carriera oscura e segreta al servizio del Pci, intrapresa già dal 1951. Risale ad esempio al mese di luglio di quell’anno un articolo su Rinascita, periodico del partito, in cui Tondi si firma come “Tonaca Bianca”. Tonaca Bianca ripercorre in quelle righe un clima di oscurantismo che sbarra la strada all’apertura riformista e al dialogo della Chiesa con le nuove forze politiche. Una direzione che segue alla lettera le indicazioni dell’enciclica di Pio XII Humani Generis del 1950 e che ne esprime in pieno le preoccupazioni. Ed è solo una parte di quello che Tondi, prima dell’abiura ufficiale, porta all’attenzione dei comunisti, dalla scrivania di Togliatti fino alle stanze del Cremlino. Oltre al piano di Gedda, emergono altre indiscrezioni riguardanti il Msi, i Fasci d’azione rivoluzionaria e le attività antisovietiche del Pontificio Collegio Russicum.
L’agilità del testo, 240 pagine compresa l’appendice documentale e fotografica, non ne preclude la ricchezza e la varietà. Lo studio di Manfredini, oltre a immortalare il clima politico di tensione del secondo dopoguerra italiano, tratteggia i molteplici aspetti della vita e del profilo umano di Alighiero Tondi: il carattere tra il melanconico e il burrascoso, le sue capacità oratorie che talvolta inciampano in momenti enfatici e grotteschi, il talento per la pittura che diventa anche valvola di sfogo di un’urgenza interiore mai sopita. Un anelito religioso profondo, capace di inseguire Tondi fino all’ultimo dei suoi giorni, al punto di farlo rientrare ufficialmente, pur per breve tempo, nel mondo dal quale era scappato circa trent’anni prima. È l’abbraccio di una casa sicura, cercato forse tutta la vita, che indubbiamente Tondi, stando alle testimonianze recuperate da Manfredini, non aveva trovato in quel Partito comunista, più incline ad approfittare delle sue rivelazioni che ad accoglierlo come un affidabile e sincero compagno.