“America First” di Giuseppe Mammarella
- 28 Febbraio 2019

“America First” di Giuseppe Mammarella

Recensione a: Giuseppe Mammarella, America first. Da George Washington a Donald Trump, il Mulino, Bologna 2018, pp. 223, euro 14 (scheda libro)

Scritto da Paolo Cappelletto

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America First è stato uno degli slogan della campagna elettorale che hanno portato Donald Trump alla Casa Bianca. Questa formula non costituisce però una novità assoluta della politica americana, bensì rappresenta un concetto che ha caratterizzato a fasi alterne l’azione politica degli Stati Uniti. Il testo di Giuseppe Mammarella offre un contributo molto utile per comprendere come la filosofia di America First abbia ispirato storicamente la diplomazia americana e come essa stia facendo ritorno con l’amministrazione Trump.

America First significa primariamente “l’impegno a ritornare alla politica dell’interesse nazionale e alla piena sovranità del governo e del paese al di là degli impegni, dei trattati e delle istituzioni internazionali che la limitano”[1]. L’accento va posto sul verbo “ritornare”, in quanto il marcato interventismo che ha caratterizzato la politica estera americana nell’ultimo secolo rappresenta un fenomeno relativamente nuovo. Infatti, nel periodo successivo all’indipendenza americana gli Stati Uniti hanno attuato una politica pressoché isolazionista, volta a occuparsi dei problemi interni e a costruire la nuova nazione. Il discorso di fine presidenza di George Washington è un esempio di questa attitudine: il primo presidente esorta i propri concittadini a non “lasciarsi invischiare mediante legami artificiali nelle vicissitudini della politica europea, […] almeno finché non saremo in grado di sfidare i danni materiali provocati da un attacco esterno”[2].

Più che una politica mossa da un ideale pacifista e isolazionista, l’appello di Washington è motivato da un prudente pragmatismo che vuole mettere la neonata nazione al riparo da aggressioni esterne, almeno finché gli Stati Uniti non siano in grado di difendersi. Questo momento non tarda ad arrivare: nella guerra tra Regno Unito e Stati Uniti del 1812, nonostante la prevalenza su terra degli inglesi, le forze navali americane riescono a sconfiggere la marina britannica. Nel 1814 si firma la pace e il sostanziale pareggio che ne segue è celebrato dagli americani come una grande vittoria.

A questo ottimismo si lega una speranza che vede nel paese un cosiddetto “destino manifesto”, per cui, nelle parole di Thomas Jefferson, gli Stati Uniti sarebbero “destinati a diventare la barriera contro il ritorno dell’ignoranza e delle barbarie”[3], con un’Europa ridimensionata che avrebbe fatto da traino alla nuova potenza. Naturale conseguenza di questa filosofia è la dottrina Monroe del 1823, con cui si rivendica il territorio americano agli Stati Uniti. Dopo l’espansione a ovest del XIX secolo, la Guerra Civile (1861-1865) costringe il paese a chiudersi momentaneamente all’esterno per sanare le ferite interne, sebbene i decenni successivi alla guerra registrino un’importante crescita economica cui corrisponde una nuova volontà di espansione, accompagnata ora da una base ideologica che vede nella supremazia dei mari l’obiettivo da perseguire.

“American Century” e “America First”

È nel primo conflitto mondiale che gli Stati Uniti intervengono per la prima volta in Europa, schierandosi con il Regno Unito, dando inizio al cosiddetto “American Century”, che vede gli Stati Uniti nel ruolo di superpotenza mondiale. Tuttavia, si deve ancora attendere per questo scenario. Infatti, dopo la guerra il Senato boccia la partecipazione americana nella neonata Società delle Nazioni e la crisi del 1929 viene attribuita dal popolo americano al coinvolgimento nella Grande Guerra. I decenni successivi alla fine della guerra sono quindi nuovamente caratterizzati dall’isolazionismo espresso da America First, che segnerà anche le fasi iniziali della Seconda Guerra Mondiale. Solo l’attacco nipponico a Pearl Harbor convincerà l’opinione pubblica americana della necessità di entrare in campo contro il Giappone e l’Asse nazifascista.

Il dopoguerra sarà caratterizzato dalla politica del “lungo, paziente, ma fermo e vigile contenimento” delle forze sovietiche[4]. George F. Kennan, ideologo di questa strategia, era convinto che gli Stati Uniti dovessero operare una vigilanza costante nell’arginare l’influenza russa, finché l’URSS non sarebbe collassata a causa delle sue debolezze economiche. Questa strategia di containment sarà accompagnata da un’azione espansionista, che “indurrà gli Stati Uniti a estendere la propria egemonia sul piano mondiale”, come avvenne con l’intervento americano nella penisola coreana[5]. Dopo le pagine della crisi dei missili del ’62 e la guerra del Vietnam, con Nixon si apre la stagione della diplomatizzazione nelle relazioni tra Stati Uniti e Russia, che avrà il suo apice con Ronald Reagan, il quale offrirà un grande contributo alla fine dell’URSS.

America first

Con la scomparsa del nemico sovietico, l’America torna a concentrarsi sui suoi affari interni, con un’amministrazione Clinton (1991-1999) poco impegnata in politica estera. L’11 settembre 2001 è il momento in cui il paese ritorna ad avere un nemico, ossia il terrorismo. In pochi anni gli Stati Uniti entrano in due conflitti che avranno conseguenze disastrose, ossia la guerra in Afghanistan e la guerra in Iraq. Il logoramento dell’economia e le spese per la Difesa ben più alte di quelle previste fiaccano il paese, che non può nemmeno dirsi vittorioso nei due conflitti. Il quadro che eredita il neoeletto presidente Obama nel 2009 è caratterizzato dalla crisi economica dei mutui subprime e dal bilancio fallimentare della politica estera di Bush. Un mese dopo il suo insediamento, il neopresidente annuncia il ritiro anticipato delle truppe dall’Iraq all’agosto 2010. Oltre alle relazioni con Cuba e Iran, Mammarella ricorda anche la rinuncia di Obama a intervenire in Siria dopo l’uso di Assad di armi chimiche nell’agosto 2013, scelta letta come “il segno della fine della politica imperiale da parte degli Stati Uniti, di quell’interventismo post-guerra fredda che aveva visto le truppe americane presenti in tutti i conflitti mediorientali e nelle guerre balcaniche dopo la fine della Jugoslavia”[6]. L’America stava rinunciando alla sua funzione di “poliziotto” del Medio Oriente: questo non-interventismo passerà poi in eredità al successore di Obama, Donald J. Trump.

Il testo di Mammarella affronta nella seconda parte del libro le cronache recenti, offrendo un’istantanea degli Stati Uniti oggi, dei suoi partiti e delle sue istituzioni. È un paese “arrabbiato” ad aver mandato alla Casa Bianca Trump, che l’autore considera come colui che “ha fatto ciò che nessun altro politico americano aveva mai tentato di fare”, ossia evidenziare problemi e divisioni del paese, astenendosi dall’offrire un quadro idilliaco della situazione. Make America Great Again rappresenta indubbiamente lo slogan più famoso della campagna elettorale trumpiana, ma ad esso si è affiancato anche il già citato America First. Non si tratta un’invenzione di Trump, ma questo slogan si ritrova anche nel repertorio degli isolazionisti seguaci dell’aviatore Charles A. Lindbergh, che si opponevano all’entrata degli Stati Uniti nella Seconda Guerra Mondiale. Oggi tale disimpegno si esprime in diversi punti, in primo luogo nella forma di una richiesta agli alleati di un maggior impegno nelle spese comuni di finanziamento della NATO, ma, in secondo luogo, anche nell’abbandono delle politiche liberiste in favore di un approccio più protezionista, con il ritiro americano dal “Partenariato Trans-Pacifico”, un trattato commerciale tra le Americhe e l’Asia orientale, e la rinegoziazione del NAFTA, che riunisce Canada, USA e Messico. Il terzo punto riguarda la costruzione del muro al confine col Messico, per mantenere la promessa fatta in campagna elettorale.

Inoltre, la Cina rappresenta una delle questioni di politica estera più importanti per Trump. Il gigante asiatico sta attuando un tipo di “guerra senza limiti, meno evidente e più sottile, proiettata in un futuro che vedrà diminuire la violenza militare e aumentare quella politica, economica e tecnologica”[7]. È infatti sul piano economico che si gioca la sfida tra Stati Uniti e Cina. Le politiche economiche di Pechino hanno favorito le importazioni cinesi tramite una continua svalutazione dello yuan, che ha permesso ai prodotti cinesi di essere molto competitivi nei mercati esteri. Gli stessi consumatori americani hanno potuto beneficiare di prezzi più bassi per questi prodotti, ma allo stesso tempo le aziende americane hanno perso competitività dati i costi più alti di produzione, con conseguenti delocalizzazioni e perdite di posti di lavoro. Ciò ha portato il presidente Trump ad abbracciare una politica protezionista in difesa dei lavoratori americani: la stampa ha parlato di una trade war, che consiste in una imposizione reciproca di tariffe tra Cina e Stati Uniti. A complicare il quadro vi è il fatto che la Cina rappresenta uno dei più grandi finanziatori del debito pubblico americano. La Cina rappresenta dunque una delle principali sfide dell’amministrazione Trump, soprattutto in un momento in cui la Cina sta vivendo altissimi livelli di crescita economica, che porteranno al sorpasso degli Stati Uniti in termini di PIL nel giro di circa un ventennio[8].

Una strada inedita in politica estera

Il libro di Giuseppe Mammarella si configura come un riuscito tentativo di mostrare come il concetto di America First abbia permeato buona parte della politica estera statunitense e come esso stia facendo ritorno con l’amministrazione Trump. L’autore compie una disamina storica di come in vari periodi della storia americana gli Stati Uniti abbiano adottato una politica protezionistica, pur con diverse ragioni a seconda del determinato momento storico. Non sarebbe infatti corretto equiparare l’isolazionismo di Washington e in generale dei predecessori di Trump con quello dell’attuale inquilino della Casa Bianca. Se i primi hanno evitato di intervenire attivamente sul piano internazionale, è stato o per concentrarsi sulla costruzione della nuova nazione, come a cavallo tra XVIII e XIX secolo, o per riprendersi da crisi interne, come è stato dopo la Guerra Civile o dopo la crisi del ’29. Oggi la situazione è profondamente diversa: Trump ha infatti posto al centro della sua campagna elettorale la cura esclusiva degli interessi americani, riassunta nello slogan America First, che comporta anche l’abdicazione degli Stati Uniti dalla funzione di “poliziotto” del mondo[9].

In quest’ottica vanno letti i proclami di Trump per un più equo finanziamento della NATO da parte dei paesi membri e per la costruzione del muro al confine col Messico, oltre che le misure protezionistiche nei confronti della Cina. Negli ultimi anni si è di fronte a una pagina inedita della diplomazia americana, per cui gli Stati Uniti si ritraggono da un impegno attivo in politica estera non semplicemente per ragioni di necessità, ma per questioni ideologiche, ossia in una visione che pone solo gli interessi degli Stati Uniti al primo posto. È un cambiamento anche nel mondo repubblicano, in quanto si passa dal neoconservatorismo dei primi anni 2000, che ha posto le basi ideologiche per l’interventismo in Afghanistan e Iraq, a un Partito Repubblicano con a capo un presidente che sposa l’isolazionismo. Si tratta dunque di un corso politico inedito, che relega al passato l’incisiva presenza militare degli Stati Uniti nell’agone mondiale.

Inoltre, l’autore offre un’analisi dell’America oggi: lo stato dell’economia, il complesso militare e l’evoluzione di democratici e repubblicani sono altri punti trattati che tornano utili per avere una panoramica del paese. L’operato di Trump è definito un “work in progress”: a prescindere dalle varie considerazioni sul suo carattere e sul suo stile personale, Mammarella gli riconosce intelligenza nel comprendere l’insoddisfazione dell’elettorato e le esigenze della gente comune. Essendo Trump a metà mandato, l’autore non si sbilancia, a ragione, nel dare un giudizio netto sulla presidenza, optando per considerarla come un “lavoro in corso”. Di certo, conclude il testo, Trump ha denunciato la fine di una fase della storia americana, in cui gli Stati Uniti si sentivano investiti della leadership mondiale nella difesa della libertà e dei diritti umani[10]. Data l’impossibilità politica, economica e militare di farsi carico di questo compito, con America First il paese tenta di abdicare da tale funzione in nome dell’interesse nazionale.

Il volume di Mammarella si pone dunque l’obiettivo di ripercorrere il cammino storico della diplomazia americana, che ha alternato fasi di maggiore partecipazione alla politica mondiale a momenti di ritiro da essa per esigenze interne. È perciò indubbiamente in primis un testo di carattere storico, che coniuga alla disanima delle scelte del passato l’analisi del mondo statunitense oggi. Una nota forse dolente del testo è rappresentata dall’eccessivamente ampio raggio di temi toccati, in particolar modo nella seconda parte dedicata all’America contemporanea: ad ogni modo, si intuisce che tale scelta si situa nel disegno dell’autore di voler offrire anche un’istantanea del paese oggi, andando oltre l’ambito della politica estera per dare uno sguardo anche alle questioni più interne. Con l’obiettivo dunque di fornire al lettore una cartina tornasole del paese di oggi, l’autore deve necessariamente affidarsi a un finale aperto, in quanto si è nel mezzo di una transizione politica da un’America protagonista nel mondo a un paese che ha recentemente cominciato a ritrarsi in se stesso. È dunque apprezzabile la scelta dell’autore di sospendere giudizi sull’operato politico della nuova amministrazione, in quanto si è davanti a scenari inediti di difficile previsione. In sintesi, questo testo si costituisce come un’utile risorsa per leggere in modo più completo le sfide che interessano l’oggi e il domani degli Stati Uniti con un focus sulla politica estera, tematica che direttamente e indirettamente riguarda anche il resto del mondo.


[1] Mammarella, Giuseppe, America First. Da George Washington a Donald Trump, Il Mulino, Bologna, 2018, p. 8.

[2] Ivi, p. 13.

[3] Ivi, p. 16.

[4] Ivi, p.44.

[5] Ibidem.

[6] Ivi, p. 79.

[7] Ivi, p. 107.

[8] Mammarella, America First, p. 112.

[9] https://eu.usatoday.com/story/news/politics

[10] Ivi, p. 190.


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Scritto da
Paolo Cappelletto

Nato nel 1995, ha conseguito la laurea magistrale in Scienze Filosofiche presso l’Università degli Studi di Padova e ha partecipato a programmi di scambio con l’Université Paris 1 Panthéon-Sorbonne e la Boston University. Si interessa di politica americana.

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