“Un’anima” di Gianni Cuperlo
- 23 Marzo 2020

“Un’anima” di Gianni Cuperlo

Recensione a: Gianni Cuperlo, Un’anima. Cosa serve alla sinistra per non perdersi, Donzelli Editore, Roma 2019, pp. 176, 15 euro (scheda libro)

Scritto da Alberto Bortolotti

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Un’anima. Cosa serve alla sinistra per non perdersi di Gianni Cuperlo è un libro che racchiude il senso delle principali sfide globali da fronteggiare per la costruzione di una cultura politica della sinistra a partire dalle crisi economiche, ecologiche e tecnologiche che segnano il tempo che viviamo. A partire dalla narrazione degli eventi che hanno segnato la scorsa estate la crisi del Governo Conte I fino alla formazione della nuova maggioranza parlamentare, Cuperlo sviluppa, tra analisi e cronaca, una riflessione su come il Partito Democratico e il suo campo aperto abbiano vissuto quella fase politica e avanza alcune proposte su cosa sia necessario per riallinearsi alle principali istanze del Paese.

Natura, identità e destino sono tre parole chiave necessarie per trovare «quel timbro senza il quale si precipita nelle retrovie del riformismo burocratico», scrive Cuperlo. In un’epoca nella quale i rapporti di forza mondiali sono radicalmente cambiati rispetto al secondo dopoguerra, in un mondo nel quale la Cina pesa il 20% del PIL mondiale, la vecchia middle class delle democrazie occidentali si accorge di essere priva di adeguate protezioni sociali, mentre avviene una trasformazione sistemica nella quale tecnologia, globalizzazione e clima possono influenzare in modo decisivo il destino del pianeta e della sua socialità. Da qui il cambio avvenuto nell’economia con il crescente divario tra retribuzione e consumo, nella cultura e persino nelle relazioni umane. Da questo deriva anche uno stravolgimento della concezione della variabile tempo, come si è portati a constatare riflettendo sull’inanellamento repentino dei fatti della scorsa estate che vengono trattati nel libro.

 

Il “diario di mezza estate” e l’analisi del cambiamento che stiamo affrontando

Il libro è articolato in tre parti: una prima che riassume i passaggi dal Governo Conte I, costituito da una coalizione “gialloverde” composta da una maggioranza di Movimento 5 Stelle e Lega, ad una nuova, denominata “giallorossa” formata da Movimento 5 Stelle, Liberi e Uguali, Italia Viva e Partito Democratico; una seconda parte che tratta il passato, presente e futuro del PD in una prospettiva che lo veda rimettere in discussione la propria natura attuale per la delineazione di un futuro profilo ripartendo da un’identità ampia e plurale nella società, aperta ai movimenti globali e vicina alla dimensione del bisogno che è carattere fondante dei maggiori pensieri politici dai quali deriva, quello comunista e quello cattolico-democratico; infine vi è il “diario di mezza estate” che, già ripreso nel primo capitolo, è costituito dalla sequenza dei post Facebook pubblicati sulla pagina dell’autore durante le settimane che hanno portato alle dimissioni di Matteo Salvini, diventato, da Vice Presidente del Consiglio, capo, de facto, dell’opposizione, in una formula innovativa che pone già dei temi e delle questioni dirimenti all’agenda del Governo Conte bis successivamente formatosi.

Uno dei temi che sta alla base del saggio, in particolare all’interno del rapporto conflittuale e triangolare tra società, movimenti e Stato, consiste proprio nella capacità dei partiti e nella fattispecie del Partito Democratico, di dare un imprinting valoriale al Governo. Se la questione non può essere ridotta alla necessità di un senso di responsabilità nel ricercare un Governo che risolva i numerosi e profondi problemi del Paese, a fronte di un malcontento diffuso dell’elettorato che richiede più il soddisfacimento di un bisogno di prossimità e intermediazione nei propri confronti piuttosto che ricette economiche fondate sull’analisi dei dati – come dimostrato da esperienze elettorali passate – è vero che, come sottolineato più volte dall’autore, è fondamentale, per la sopravvivenza stessa del Governo Conte II, invertire la percezione dell’operato governativo del centrosinistra in una prospettiva che non ne alimenti le delusioni, esplorando la visione di un riscatto sociale diffuso nel Paese da Nord a Sud. Per questo motivo, secondo Cuperlo, il PD dovrebbe «allargare il proprio perimetro del centrosinistra» e aggiunge che «senza una radicalità nei contenuti, nei simboli, nel rapporto con le persone in carne e ossa la patina di una manovra gestita dall’alto, una manovra di Palazzo, non riusciremo a eliminarla».

A questo proposito, sin dalla crisi del Governo Conte I, il Partito Democratico premeva per un cambio di passo decisivo che giustificasse la nuova alleanza anche simbolicamente, quindi con la rimozione di Conte, il quale tuttavia, sebbene considerato vicino ai 5 Stelle, è da sempre molto gradito al Colle e venne poi confermato quindi Presidente del Consiglio dei Ministri dando vita al Governo Conte bis; da qui il significato di uscire dallo stallo politico attraverso la ricerca di un’anima, di un senso profondo valoriale che collochi il Governo in questa nuova fase e soprattutto il Partito Democratico in uno schema radicalmente originale, connesso al campo aperto della società civile perché, come scrive Gianni Cuperlo nel libro – citando un vecchio dirigente comunista dei tempi della Svolta – «un partito senza identità non è mai esistito perché non può esistere e mai esisterà».

 

La sfida di un rinnovato impianto valoriale

Il concetto base di partito, quello di “fare parte”, si è a poco a poco smarrito nel Partito Democratico, perché «si è creduto di compensare una fragilità dell’impianto con un dirigismo superiore» scrive Cuperlo e, in questo senso, «le primarie hanno finito col divenire l’alibi buono per trasferire nelle mani di pochi un potere di scelta delle politiche e selezione della classe dirigente» annichilendo la crescita di un partito-comunità per come era stato pensato. In altre parole, il “contenitore” si è sviluppato senza “contenuto” perciò è fondamentale riaccendere la passione verso i valori fondanti del Partito Democratico, attivare una nuova fase Costituente che ponga al centro della propria azione politica le persone e la lotta alle diseguaglianze in un’epoca storica che forse non è così post-ideologica come molti teorizzano, perché come scriveva Anthony Atkinson «le diseguaglianze sono una scelta» – non un inevitabile effetto. In altre parole, c’è da ricostruire un assetto delle istituzioni, un sistema politico tutt’altro che a regime nel quale, senza forze vive, senza i soggetti chiamati a sorreggere quella strategia, il rischio è cadere in una “democrazia depassionata”, orfana dei conflitti fondamentali a indirizzarne lo sviluppo e l’esistenza stessa.

Un altro degli aspetti principali che colpiscono di questo libro, in relazione al “diario di mezza estate”, è la velocità degli eventi, una sequenza legata al contesto storico-politico nel quale ci troviamo, dove la rapidità dello sviluppo tecnologico ha portato all’esponenziale e incontrollato aumento delle diseguaglianze spesso giustificato dalla propensione tecnocratica all’efficienza, una realtà difficilmente governabile quanto dagli organismi statali che dai partiti, ma con il radicamento di un tessuto associativo ancora presente nei luoghi di aggregazione e nelle piazze dei movimenti che continuano a coinvolgere migliaia di giovani come quelli di Greta Thunberg e Joshua Wong.

Una delle questioni cardine poste è infatti quella dell’apertura ai movimenti che hanno saputo comprendere le sfide del mondo. Ciò deve però avvenire problematizzando le grandi questioni dell’ambiente e dei diritti con una sensibilità che affronti frontalmente la dimensione delle nuove tecnologie e dell’informatica totalizzante. Come precisa l’autore, «oggi la tecnologia è in grado di alimentare sé stessa», se in passato l’evoluzione tecnologica aveva avuto tempi di trasformazioni che permettevano l’adattabilità sociale umana, ora «la capacità di processare dati ingloba i flussi, il commercio, la finanza, le relazioni social con una fretta ingovernabile secondo le logiche di economia e diritti” e questo tema pone una sfida senza precedenti alla sinistra. Secondo Cuperlo la risposta non può essere quella di ritrarsi ma, anzi, entrare nei conflitti, comprendere la rete dei poteri estranei alle dinamiche statuali e rispondere riorganizzando la sfera pubblica e le forme della cittadinanza, fornendo servizi di prossimità nonché spazi e beni condivisi, in altre parole, dando un senso alla democrazia.

 

Alla ricerca di un’anima

Un’anima è dunque un libro che spinge il lettore alla riflessione, un saggio che interroga sul destino del Paese e restituisce l’asse di una cultura politica che si propone di essere ancora oggi alternativa e radicale. Sviscerando minuziosamente i passaggi politici di vicende che tendono spesso a passare come gocce di pioggia in un lago di problemi, dove la dimensione personale dell’individuo sembra essere sempre più distante dalla ricerca di un’identità collettiva tutta da definire, Gianni Cuperlo pone delle implicite domande. Quali sono le principali questioni nell’agenda di un governo di centrosinistra? Quale è il ruolo di un partito nella società? E, soprattutto, come costituire un’ideologia collettiva in una fase che ha visto l’identità personale ridefinirsi in senso difensivo?

In conclusione, Un’anima mette a fuoco una serie di questioni collettive visualizzando un punto di approdo per il Governo e per il mondo politico che fa riferimento al campo aperto della sinistra; è un libro che disegna la traiettoria d’azione di un Partito che deve necessariamente rinnovarsi senza avere la pretesa di dettare delle regole alle persone bensì aprendosi alla prospettiva di un riscatto collettivo, rivolgendosi, soprattutto, a chi crede che tutto possa ancora cambiare. La prova è convincere a entrare in scena le energie di frontiera nell’impegno civico, sociale, ambientalista, del praticare solidarietà e fare democrazia in una logica che metta in scacco le diseguaglianze attribuendo la capacità a ciascuno di fare le cose alle quali assegna lavoro, ciò che Amartya Sen ha definito “libertà sostanziale”. «Essere uguali, allora, non vuol dire vivere la stessa vita degli altri, vuole dire piuttosto poter decidere quanto non essere uguali, come realizzare la propria diversità» scrive Cuperlo, e per definire un nuovo orizzonte per la sinistra bisogna cercare un appiglio politico per soddisfare quindi questa domanda di discontinuità in uno spazio politico più aperto, per restituire non solo un programma di governo ma un’anima. Solo un’anima.

Scritto da
Alberto Bortolotti

Laureato in architettura con una tesi in urbanistica al Politecnico di Milano, è vicepresidente dell’Ordine degli Architetti di Milano. È attualmente dottorando in urbanistica e politiche urbane presso il Dipartimento di Architettura e Studi Urbani (DAStU) del Politecnico di Milano. È stato visiting scholar presso il Public Governance Institute di KU Leuven e il Dipartimento di Geografia Umana, Pianificazione e Sviluppo Internazionale dell’Università di Amsterdam. Prima di entrare nell’ambiente accademico, ha lavorato come architetto, urbanista, consigliere politico e ricercatore, sia per istituzioni pubbliche che private come il Ministero della Cultura italiano, il Parlamento Europeo e la Fondazione Feltrinelli. È autore di: “Modello Milano? Una ricerca su alcune grandi trasformazioni urbane recenti” (Maggioli 2020).

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