Recensione a: Guido Montani, Antropocene, nazionalismo e cosmopolitismo. Prospettive per i cittadini del mondo, Mimesis, Milano-Udine 2022, pp. 350, 28 euro (scheda libro)
Scritto da Giulio Pennacchioni
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Il libro di Guido Montani Antropocene, nazionalismo e cosmopolitismo, pubblicato da Mimesis, è un testo che, come si intuisce fin dal titolo, ha come obiettivo quello di tenere insieme due ambiti di ricerca diversi: la geopolitica e l’ecologia. E ciò sviluppando argomenti che, seppur differenti, sono tra loro paralleli: per quanto riguarda l’ecologia, Guido Montani utilizza il concetto di “Antropocene”; mentre, per la geopolitica, è attraverso i concetti di “nazionalismo” e “cosmopolitismo” che l’autore sviluppa la sua riflessione. L’obiettivo generale del volume è insomma quello di far riflettere sull’Antropocene anche attraverso punti di vista provenienti dalla geopolitica. Il libro è diviso in due parti principali. La prima parte è dedicata alla «metamorfosi dello stato» (p. 29), cioè al passaggio dallo Stato concepito come nazione all’idea di Stato sovranazionale. La seconda parte è invece dedicata al concetto di “cittadinanza”, e in particolare a come questa possa passare dai limiti dei confini nazionali ad assumere una forma cosmopolitica. Prima di iniziare però con l’analisi dei vari capitoli interni a queste due parti del libro, è bene segnalare fin da subito un altro elemento di primaria importanza: il sottotitolo Prospettive per i cittadini del mondo. L’obiettivo del libro, quindi, non è soltanto quello di collegare la riflessione geopolitica a quella sull’emergenza ecologica in corso – operazione già di per sé assolutamente lodevole e quasi unica all’interno del panorama editoriale italiano[1] – ma è anche quello di fornire una possibile soluzione alle criticità sollevate da questi due ambiti di ricerca, proprio a partire dalla loro interconnessione. Questa interconnessione è anche il motivo della bibliografia estremamente ricca e variegata che Guido Montani, professore di Economia politica internazionale all’Università di Pavia, offre in questo volume, che già da sola basta come motivo per leggere questo testo e che in questa recensione si riuscirà a restituire solo in minima parte.
Per quanto riguarda la prima parte (La metamorfosi dello stato. Dallo stato nazionale allo stato sovranazionale), come già detto dedicata alla metamorfosi della forma Stato nazionale nella direzione di un unico organismo sovranazionale e sovrastatale, la “linea rossa” che per così dire accompagna la descrizione di Montani è un concetto: la “Kant’s disanalogy”. Con quest’espressione, Montani, già presidente del Movimento Federalista Europeo, fa riferimento a quel paradosso individuato da Kant secondo cui uno Stato federale mondiale (un’istituzione sovranazionale, appunto) non può che fondarsi su quegli stessi metodi coercitivi su cui si sono fondati gli Stati moderni. Al contempo però, citando Pauline Kleingeld: «Non esiste alcun diritto di costringere stati recalcitranti con la forza in uno stato di stati»[2]. Di questo paradosso, il pensatore di Königsberg ne era più che consapevole, com’è evidente nelle sue riflessioni come filosofo della storia[3] ed è questa la ragione per cui Montani suggerisce che un’effettiva realtà sovra-nazionale, un «nuovo illuminismo» (p. 40), per usare le sue parole, potrà esserci solo con il superamento dell’attuale divisione dell’umanità in Stati sovrani. L’eredità ideologica della Pace di Vestfalia del 1648 è ciò che secondo Montani bisogna superare affinché un’unione mondiale degli Stati possa concretamente realizzarsi. Ecco dunque spiegata la sua sfiducia nei confronti dei 193 governi nazionali dell’ONU, in cui ancora domina il dogmatico principio della sovranità nazionale e il riconoscimento della guerra legittima come soluzione delle dispute internazionali; ma ecco anche chiarita la sua fiducia nei confronti dell’epistemic community dell’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change), in cui la collaborazione di studiosi e studiose delle scienze dure e sociali di tutto il mondo ha rappresentato l’innesco per la più recente rivolta giovanile su scala planetaria, quella ambientalista. Citando Roberto Mordacci, sempre in riferimento alla filosofia politica di Kant: «Il senso della storia, in una prospettiva critica è sempre quello che si apre nel futuro, come tentativo di una specie di esseri ragionevoli che si sforza di risalire e progredire costantemente dal male verso il bene»[4]. Questo stesso spirito verso il bene è ciò che anima il libro di Guido Montani, che alla spiegazione della Kant’s disanology dedica in particolare il primo capitolo e alla possibilità di un suo superamento tutti gli altri. Nel secondo, Montani si concentra sulla spiegazione dell’attuale crisi internazionale della politica, sottolineando la profonda cesura che talvolta esiste tra la classe politica, sempre più schiacciata nella sua dimensione burocratica, e il fermento morale al di fuori della politica di individui, spesso giovani, organizzati in collettivi d’azione, le cui lotte sono locali e al contempo globali[5]e che sono la manifestazione visibile della nascita di un’avanguardia di cittadini del mondo. Assolutamente notevole è anche la modalità in cui Montani riesce a dimostrare tutto questo, passando dal citare Joe Biden, Branko Milanović, Joseph Ki-Zerbo, John Stuart Mill, Stephen Gardiner e Max Weber, per le scienze sociali; ai report dell’IPCC, dell’Hothouse Earth e di Will Steffen per le scienze dure; fino agli studi interdisciplinari, come quelli di John Dryzek e Jonathan Pickering sull’Antropocene. E, come già detto, riportiamo qua solo una piccola parte dell’enorme bibliografia alla base di questo saggio.
Oggetto del terzo capitolo sono le scienze storico-sociali, di cui Guido Montani ripercorre la storia, considerandole un «ausilio indispensabile alla comprensione della storia dell’umanità» (p. 65), nonché assolutamente indispensabili per la creazione di quel nuovo Illuminismo a cui aspira con questo libro. Ponendo anche in questo caso tali scienze in rapporto con quelle dure, ma applicandole in particolare alle differenti ideologie politiche, la soluzione a cui arriva è che dalle seconde, «con forme molto simili a ciò che avviene nelle università, tra scienziati» (p. 94), è necessario “prendere” lo spirito di collaborazione, ma con una differenza: la disponibilità all’inibizione. Con quest’espressione, Montani intende che deve esserci un generale spirito di tolleranza e di dialogo senza il quale la lotta politica può degenerare in violenza. Il limite? La politica internazionale. In questa, sottolinea Montani, il ricorso alle armi sembra ancora totalmente accettato e a questo problema è dedicato il settimo capitolo di questo libro. Anche in questo caso, la bibliografia di riferimento è di prim’ordine. Meno presenti chiaramente nomi afferenti alle scienze dure, cionondimeno Montani si rifà ad autori del calibro di Karl Mannheim, Karl Marx, Friedrich Engels, Karl Popper, John Searle, John Maynard Keynes, o ancora Daniel Kahneman e Jean Piaget. Nel quarto capitolo, Guido Montani si occupa di nazionalismo, trattato però attraverso il concetto di “Antropocene”. L’obiettivo è proprio quello di mostrare come la portata globale (plurale) delle sfide di tale concetto non possa essere affrontata al singolare e di mostrare il carattere totalmente anacronistico di certe istanze nazionalistiche rispetto ai tempi in cui viviamo. Una global governance dell’Antropocene, necessaria per affrontare le sfide che questa epoca geologica pone, sarà possibile quanto più verranno prese in considerazione le richieste dei cittadini del mondo, più che dei cittadini dei singoli Stati. L’obiettivo è un «umanesimo moderno»[6], per dirla con Fernand Braudel, di contrasto alla fine della storia di Francis Fukuyama[7]. Un nuovo Illuminismo, capace di tenere al suo interno tante storie, umane e non-umane, parallele e intrecciate fra loro[8] e di superare i confini dell’antropocentrismo e delle singole prospettive nazionali. Il quinto capitolo è dedicato all’idea di progresso, al valore dell’ideologia e dell’utopia. In qualche modo questo capitolo descrive lo spirito che anima il libro stesso e ripercorre anche la storia di queste forme di pensiero e le implicazioni che hanno avuto, per esempio nell’idea di tempo[9] o in generale dal punto di vista culturale[10]. Anche in questo caso, passando per autori come Luigi Einaudi, Karl Jaspers, Hans Jonas o ancora Tzvetan Todorov, Montani dimostra come la precondizione necessaria a forme di pensiero di questo tipo non può che porsi al di là dei confini del nazionalismo, perché attingono ad una dimensione universale, non a caso espressa in documenti come la Dichiarazione universale dei diritti umani o ancora nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. Nel sesto capitolo, che conclude la prima parte del libro, Guido Montani riflette invece su che cos’è un soggetto politico e che cosa significa concepire l’umanità tutta come tale. Ed è in particolare facendo riferimento ai diritti che viene affrontato questo argomento. Rimandando a istituzioni come l’ONU, la CEDU (Convenzione europea dei diritti dell’uomo) o alla Carta di Nizza, Montani ripercorre la storia dell’arrivo dei diritti nella vita dell’uomo, essendo questi non presenti de natura, ma costituendo uno dei principali prodotti della cultura e dei progressi della civiltà umana. Al contempo, però, Montani rende partecipe il lettore di quanto ancora ci sia da fare, riferendosi per esempio a tutto ciò che riguarda l’emergenza climatica. Come dimostrato dal Rapporto Brundtland, Our Common Future, così come è evidente almeno fin dal 1992, anno in cui si è tenuta la UN Conference on Environment and Development (UNCED) a Rio de Janeiro, tra i diritti devono essere inclusi anche i diritti ambientali. Questo è spiegato anche da alcuni studiosi, come Stephen Gardiner in A Perfect Moral Storm, del 2011, dal geografo e storico dell’ambiente Andrew Goudie o, nel panorama italiano, da Francesca Pongiglione[11].
La Costituzione della Terra è ciò a cui Guido Montani dedica i due capitoli finali di questo saggio, nella sua seconda parte (Il progetto politico. Dalla cittadinanza europea alla cittadinanza cosmopolitica). Due capitoli a cui il lettore, dopo la prima parte, arriva consapevole che per poter includere la natura nei nostri diritti, l’umanità dovrà prima essere in grado di mantenere e garantire a tutti i diritti dell’uomo, “i diritti naturali”, per dirla con Norberto Bobbio, di cui «il principale è la libertà, seguito dall’uguaglianza di fronte alla legge come una sua ulteriore determinazione»[12]. La Costituzione della Terra è dunque al centro del settimo capitolo, che inizia ponendo in rapporto questa ambizione con la situazione attuale delle relazioni internazionali, che, come già detto, sono ancora una diretta conseguenza della Pace di Vestfalia. E, tuttavia, il mondo contemporaneo è diverso da quello del XVII secolo, ed ecco così riproporsi il problema della Kant’s disanalogy, già visto in precedenza. E tutto ciò nel quadro di sempre maggiori difficoltà del panorama internazionale, ben raccontate da Barack Obama in un’intervista rilasciata nel 2016 a Jeffrey Goldberg:
«Se la Cina gestisce la sua crescita pacificamente, allora abbiamo un partner che cresce nella capacità di condividere con noi il fardello di mantenere l’ordine internazionale. Se la Cina non ci riesce […] e ricorre al nazionalismo come principio organizzativo […] se concepisce una politica solo in termini di creare sfere di influenza, allora non solo cresceranno i conflitti con la Cina, ma cresceranno anche le difficoltà di affrontare le sfide future»[13].
E a questo si aggiungono tutte le attuali difficoltà del conflitto Russia-Ucraina, nonché i continui sconvolgimenti in Africa e in India, che Guido Montani ripercorre in modo diacronico e con estrema precisione. Forse il Joint Communiqué del 2020 fra Commissione europea e Commissione africana (C2C) può essere un punto di partenza per un’accresciuta cooperazione fra l’Unione Europea e il continente africano, ma come coniugare tutto questo con la Belt and Road Initiative (BRI) proposta dalla Cina in Africa? Che soluzione trovare alla crescente intolleranza in India, che sembra sempre più trasformarsi in una violenta autocrazia illiberale? Come da “noi” la Pace di Vestfalia sembra sempre più anacronistica, in India l’Arthasastra, del 320 a.C., di Kautilya, non può più rappresentare un punto di riferimento per la ragion di Stato. Per citare Kissinger, questo era «una guida alla conquista, non alla costruzione di un ordine internazionale»[14]. A ciò si aggiunge quello che Montani ha definito l’Hamilton’s Problem[15], perché affrontato da Alexander Hamilton, primo segretario del Tesoro degli Stati Uniti d’America e che ben descrive il conflitto fra le esigenze fiscali degli Stati e quelle del governo federale. Il punto centrale, per dirla con José Antonio Ocampo[16], ex ministro delle Finanze e del credito pubblico della Colombia, è che il FMI avrebbe la possibilità di intervenire con aiuti importanti per aiutare i Paesi più poveri, ma non sempre questa opportunità viene completamente sviluppata. A tutti questi interrogativi, Guido Montani dedica anche l’ultimo capitolo, che decide di concludere con una citazione di Dante. Agli albori dell’età moderna, il sommo poeta aveva già mostrato le ambiguità create dall’inquietudine dell’uomo mosso dall’ardore per «divenir del mondo esperto». Ulisse convinse i suoi compagni a ripartire da Itaca per esplorare il mondo che si trovava al di là delle Colonne d’Ercole. Di fronte alle loro esitazioni, così li spronava: «Considerate la vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza». Ma oltre le Colonne apparve una montagna «alta quanto veduta non avea alcuna». Lo stupore iniziale non si era ancora placato quando si levò un turbinio che sollevò la nave come un fuscello, «tre volte il fé girar con tutte l’acque […] infin che ‘l mar fu sovra noi rinchiuso». Questa potente immagine sulla sete di conoscenza è forse il miglior modo in cui Montani poteva concludere il suo libro. La Terra è Itaca, la nostra piccola patria in un cosmo infinito. Oggi la stiamo saccheggiando barbaramente. La “canoscenza” è un valore che deve essere accompagnato dalla “virtute”: una civiltà umana aperta a un progresso che non si identifichi con l’idolatria tecnologica né si rinchiuda nei nazionalismi. Un nuovo umanesimo, dunque, è ciò che viene proposto in questo libro; un nuovo umanesimo «cosmopolitico, responsabile e aperto» (p. 334) di cui Guido Montani non ha la ricetta, ma di cui sicuramente ha il merito della proposta e di qualche possibile via, anche soltanto nella teoria – che però, ci ricorda Protagora, senza la pratica, è cieca. Merito di questo libro, quindi, aver preparato il terreno per la pratica.
[1] Si vedano: Daniele Conversi, Cambiamenti climatici. Antropocene e politica, Mondadori Università, Milano 2022 e Paolo Missiroli, Teoria critica dell’Antropocene. Vivere dopo la Terra, vivere nella Terra, Mimesis, Milano-Udine 2022.
[2] Pauline Kleingeld, Approaching Perpetual Peace: Kant’s Defence of a League of States and Its Ideal of a World Federation, «European Journal of Philosophy», 12, 3 (2004), pp. 304-325, p. 310.
[3] Immanuel Kant, Per la pace perpetua, Feltrinelli, Milano [1975] 2013.
[4] Roberto Mordacci, La condizione neomoderna, Einaudi, Torino 2017, p. 107.
[5] Bruno Latour, Nous n’avons jamais été modernes. Essai d’anthropologie symétrique, Editions la Découverte, Parigi [1993] 2006.
[6] Fernand Braudel, Scritti sulla storia, Mondadori, Milano 1980, p. 280. trad. it. di Écrits sur l’histoire, Flammarion, Parigi 1969.
[7] Francis Fukuyama, La fine della storia e l’ultimo uomo, Rizzoli, Milano 1992, trad. it. di The End of History and the Last Man, The Free Press, New York 1992.
[8] Dipesh Chakrabarty, The Climate of History in a Planetary Age, The University of Chicago Press, Chicago e Londra 2021.
[9] Reinhart Koselleck, Il vocabolario della modernità, il Mulino, Bologna 2009; trad. it. di Begreffgeschichten, Suhrkamp, Francoforte 2006.
[10] Jacob Burckhardt, La civiltà del Rinascimento in Italia, Avanzini e Torraca, Roma 1967; trad. it. di Die Kultur der Renaissance in Italien, Seeman, Lipsia 1860.
[11] Francesca Pongiglione, Climate Change and Human Rights in Handbook of Philosophy of Climate Change, Springer, forthcoming.
[12] Norberto Bobbio, L’età dei diritti, Einaudi, Torino 1990 / 2014, pp. 92-93.
[13] Jeffrey Goldberg, The Obama Doctrine, «The Atlantic», April 2016 Issue.
[14] Henry Kissinger, World Order. Reflections on the Character of Nations and the Course of History, Penguin Press, New York 2014, p. 197.
[15] Guido Montani, Supranational Political Economy. The Globalisation of the State-Market Relationship, Routledge, Londra e New York 2019, cap. 4.
[16] José Antonio Ocampo, Time for a True Global Currency, «Project Syndicate», 5 aprile 2019.