Atlante delle bugie. Intervista a Francesco Petronella
- 30 Dicembre 2023

Atlante delle bugie. Intervista a Francesco Petronella

Scritto da Francesco Salesio Schiavi

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La complessità dell’attuale scenario internazionale, con le tante crisi in corso e col loro continuo intrecciarsi e sovrapporsi, sta risvegliando una crescente attenzione dell’opinione pubblica verso le tematiche legate agli esteri. Al contempo, però, i tradizionali protagonisti dell’informazione e la galassia delle notizie che viaggiano sui social media sono segnati da una profonda crisi, evidente nell’ormai annoso dibattito su fake news, disinformazione e post verità. Come orientarsi quindi in questo crescente caos quotidiano? E come valutare il grado di attendibilità delle fonti?

Il tema è al centro del libro Atlante delle bugie. Come gestire le fonti estere e distinguere una notizia vera da una fake news di Francesco Petronella edito nel 2023 da Paesi Edizioni da cui prende avvio questa intervista a cura di Francesco Salesio Schiavi. Petronella è giornalista professionista, lavora come digital journalist per ISPI e ha scritto analisi e contributi per numerose testate italiane e straniere.


Il libro si offre come una chiave di lettura, un prisma ad uso del lettore “medio” per leggere e comprendere le diverse sfaccettature della galassia dell’informazione nell’era della cosiddetta “post-verità”. A suo avviso, perché un simile strumento è oggi necessario? Quali sono i principali ostacoli attraverso cui districarsi nel panorama composito e complesso dell’informazione contemporanea?

Francesco Petronella: Il mio è innanzitutto un libro sulle fonti. Nel volume cerco di spiegare che, nel magma dell’informazione online, spesso si creano dei meccanismi “a matrioska”, in cui non è semplice stabilire da dove provenga una determinata informazione. Capita, ad esempio, che si confonda il mezzo che si sta consultando – che può essere il sito web di un giornale ma anche il flusso di un social network – con la fonte vera e propria della notizia. Quando si parla di esteri, poi, c’è anche una questione cruciale che in inglese si definisce hype. In altre parole, quando ci sono argomenti molto caldi – come, ad esempio, l’attacco di Hamas del 7 ottobre contro Israele – si crea un momento di grande attenzione da parte del pubblico (difficilmente destinato a durare). Il problema, però, è che spesso mancano le “puntate precedenti”, che consentono di mettere le ultime notizie nel giusto contesto, oltre che una conoscenza delle fonti che raccontano quel determinato contesto.

 

Dall’imposizione dei social network come mezzo d’informazione primaria tra i più giovani, all’esposizione a un flusso sempre più costante (e incontrollato) di notizie, l’avvento della digitalizzazione e del web hanno, inevitabilmente, profondamente ridisegnato il mondo dell’informazione e quello dei lettori. In che modo la rivoluzione digitale ha cambiato la sfera dell’informazione, e quali sono di conseguenza le nuove sfide per navigare le notizie nel mare magnum del web?

Francesco Petronella: Nel libro parlo di un passaggio decisivo, cioè il cambiamento del prodotto vero e proprio. Una volta, quando le notizie si apprendevano dai quotidiani cartacei, dai telegiornali o dalla radio, in genere si sceglieva il mezzo di informazione in quanto tale, spesso in base a criteri di abitudine o appartenenza politica. In altre parole, il mezzo stesso era il prodotto, all’interno del quale il cliente trovava la singola notizia. Con l’avvento dei social network, ma anche dei motori di ricerca, la singola notizia è invece diventata il prodotto, che “piove” sulla testa dell’utente, il quale ha smesso così di essere cliente pur restando consumatore. Potrebbe sembrare una minuzia, ma in realtà è un elemento decisivo. Il fatto che un lettore si ritrovi di fronte proprio un determinato contenuto è regolato dai celeberrimi algoritmi, che regolano i flussi sui social network. Quando si parla di notizie, di esteri ma anche di altri ambiti, c’è il rischio molto concreto che l’utente finisca in una bolla social in cui vede solo contenuti affini alla sua visione delle cose, che cioè la confortano anziché metterla in discussione.

 

In un’era in cui l’informazione è diventata sempre di più pervasiva e in costante aggiornamento, dove si colloca oggi l’informazione cartacea? Come si sono evolute le principali testate nell’uso dei diversi formati, digitale e cartaceo, e in che modo questi influenzano le relazioni con altri provider di notizie, come le agenzie di stampa?

Francesco Petronella: Un elemento essenziale dell’informazione di oggi è l’assottigliarsi della differenza tra quotidiani e agenzie di stampa, dato che i primi si sono messi a dare notizie minuto per minuto e le seconde hanno iniziato a curare veri e propri quotidiani online in cui mettono una piccola parte dei loro prodotti. Resta comunque il fatto che le agenzie – a differenza dei quotidiani – sarebbero tenute a dare la notizia in modo secco, asciutto, senza pubblicare editoriali, fondi, pezzi d’opinione ecc. Ciononostante, e questo è uno dei segreti di Pulcinella che svelo nel libro, questo non vuol dire essere imparziali o non avere una linea. Spesso, infatti, la scelta stessa di dare o meno una notizia è indice di parzialità. Per quanto riguarda i cartacei, invece, oggi non servono certo a creare profitti – tanto che sono tutti regolarmente in perdita – ma solamente a “dettare l’agenda”. Tutte le reti televisive all news, ad esempio, aprono i loro palinsesti con la rassegna stampa e chi continua a investire nella carta stampata lo fa più che altro per acquisire influenza e orientare il dibattito.

 

Quando si tratta di analisi dell’informazione (soprattutto quella legata a tematiche complesse come la politica e gli esteri), un elemento imprescindibile è quello della lettura delle fonti. Il libro, in particolare, dedica un capitolo intero alla distinzione tra fonti autorevoli e non (fake news, di propaganda e “di parte”), nonché alle modalità tramite cui il lettore incontra (e di conseguenza, affronta) le notizie. Quali sono le principali difficoltà per acquisire una capacità d’individuazione e valutazione delle fonti e dell’informazione su scala quotidiana, diventata un’operazione sempre più complessa, ma quanto mai necessaria?

Francesco Petronella: Con un po’ di cinismo, parlando da giornalista che si occupa solo di politica internazionale, spesso ironizzo dicendo che la gente ha – giustamente – altro da fare piuttosto che occuparsi di esteri. La prossimità, la valutazione cioè di ciò che riguarda il pubblico più da vicino, è uno dei principali, se non il primo criterio di “notiziabilità”. Ad esempio, tra i siti più frequentati in assoluto ci sono quelli del meteo, perché le condizioni atmosferiche sono una cosa che oggettivamente riguarda tutti in maniera diretta. Ne deriva che spesso, quando ci si ritrova davanti una notizia di esteri, manchi quel minimo di abitudine che permette di valutare – e prima ancora individuare – le vere fonti. Questo assunto, però, deriva dal malinteso secondo cui le cose “lontane” non ci riguardano. Eventi come la guerra in Ucraina, o più di recente la crisi della sicurezza nel Mar Rosso, ci hanno dimostrato invece che nel mondo globalizzato vale l’effetto farfalla: le cose apparentemente più lontane finiscono per toccarci “sul pianerottolo di casa”.

 

Nel libro, emerge come in entrambi i casi della guerra civile siriana e dell’invasione dell’Ucraina, un primo fenomeno importante è la gestione delle fonti e della disinformazione, divise tra propaganda (spesso russa, ma non solo) e fake news. Come le principali agenzie e testate nazionali hanno affrontato la sfida della disinformazione in entrambi i casi? Quali sono le attuali minacce legate alla disinformazione in Italia ed Europa, e quali azioni potrebbero essere adottate per rafforzare gli sforzi del fact-checking?

Francesco Petronella: Nella mia esperienza in agenzie e quotidiani ho imparato che non esiste la ricetta perfetta per non incorrere in errori, che sono diversi dalla disinformazione fatta con dolo e malafede. Una cosa molto utile sono quelli che io spesso definisco “spieghini”, un espediente utilizzato dalle agenzie e un po’ meno da quotidiani, televisione e altri, perché rischiano di appesantire lo storytelling. Se, ad esempio, si riporta il bilancio di vittime e feriti tra i militari russi diramato dall’esercito ucraino – e viceversa – è utile inserire una riga in cui si dice chiaramente: non è possibile verificare in maniera indipendente le cifre fornite. Inoltre, bisogna mettersi in testa che molto spesso si usano le informazioni che si hanno in un dato momento, che poi magari vengono ridimensionate successivamente. Ma in quel caso cosa bisogna fare? Aspettare tre-quattro giorni per pubblicare una notizia? Ad esempio, quando c’è stato il caso dell’ospedale Al-Ahly Arab a Gaza, giorni dopo il bilancio e l’entità dell’evento sono stati ridimensionati grazie alle analisi di OSINT (Open Source INTelligence). Questa è una pratica di cui parlo nel libro, che consiste nell’analisi d’intelligence su fonti aperte – geolocalizzazione, analisi di video, immagini ecc. – che tuttavia in Italia trova ancora poco spazio. All’estero, soprattutto su testate anglofone, si formano invece appositi desk per questo tipo di attività.

 

Nel contesto delle campagne mediatiche sui conflitti siriano e ucraino, un altro fenomeno rilevante è l’informazione “a intermittenza”, ovvero quella prassi in cui l’attenzione mediatica si accende improvvisamente su singoli eventi di breve durata (noti come “acchiappaclic”, spesso basati su temi polarizzanti e bias cognitivi), solo per poi spegnersi altrettanto rapidamente. Come questo fenomeno ha caratterizzato le coperture dei due casi? Quali impatti ha avuto sulla percezione di queste crisi nel dibattito pubblico italiano e sui social media?

Francesco Petronella: Purtroppo, gli operatori della comunicazione spesso cedono alla tentazione di assecondare certi bias, in modo da creare interazione e fidelizzare fette di pubblico. Il caso della Siria, forse anche più di quello ucraino, è stato emblematico in questo senso. Una galassia di “contro-informazione” – spesso ispirata dallo stile made in Russia – ha avvelenato i pozzi delle notizie sul Paese arabo, ora dipingendo il regime di Assad come unico baluardo dell’Occidente contro lo Stato islamico, ora incasellando una delle più complesse e sanguinose crisi della storia contemporanea nella macrocategoria delle guerre agite dall’Occidente per chissà quali interessi economici. Dietro questa tendenza, però, non c’è solo la colpa dell’informazione che non ha funzionato, ma anche una predisposizione culturale e politica ben precisa a recepire un certo tipo di messaggio.

 

La stessa chiave di lettura sull’informazione delineata sinora può anche essere applicata alla recente crisi di Gaza? Come valuti la cosiddetta “guerra delle comunicazioni” tra governo israeliano e Hamas? Quali ripercussioni ha avuto sul panorama dell’informazione nazionale?

Francesco Petronella: Ormai c’è un consenso piuttosto ampio sul fatto che Israele abbia giocato molto male la sua partita nell’ambito della comunicazione. Nei primi giorni dopo il 7 ottobre lo Stato ebraico aveva ottenuto un ampio sostegno – anche semplicemente retorico – a livello internazionale, ma lo ha dissipato per il modo in cui ha condotto le operazioni a Gaza, soprattutto a partire dal 27 ottobre. Colleghi ed esperti mi hanno spesso risposto che la comunicazione conta poco rispetto al sostegno concreto arrivato – ad esempio – dagli Stati Uniti. Io, invece, mi occupo proprio di comunicazione politica internazionale, e sono convinto che spesso – purtroppo – il racconto della realtà e la percezione della realtà hanno un peso persino maggiore rispetto alla realtà stessa, sia per l’opinione pubblica interna che per gli osservatori internazionali.

Scritto da
Francesco Salesio Schiavi

Specialista nelle relazioni internazionali del MENA, con expertise sulla politica interna e internazionale dell’Iraq. Dal 2019 collabora come ricercatore presso il Centro Medio Oriente e Nord Africa dell’ISPI ed è membro del gruppo scientifico dei “Rome MED-Mediterranean Dialogues”, e dal 2023 è membro dello Steering Committee per l’EuroMeSCo Conference dell’European Institute of the Mediterranean (IEMed). I suoi interessi di ricerca includono la sicurezza in Medio Oriente, la difesa e la cooperazione nella regione del MENA, il ruolo degli attori non statuali e le missioni di sicurezza multinazionali attive nella regione. Ha co-curato il libro “Il trono di sabbia. Stato, nazioni e potere in Medio Oriente” (Rosenberg & Sellier 2019).

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