I beni culturali tra legislazione e contesto storico: le riforme Franceschini
- 24 Ottobre 2017

I beni culturali tra legislazione e contesto storico: le riforme Franceschini

Scritto da Marco Brunetti

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Negli ultimi anni il sistema dei beni culturali è stato oggetto di cambiamenti rilevanti. Gli ultimi governi sono intervenuti sia sul sistema amministrativo del MIBACT che sulle politiche sui beni culturali. Pubblichiamo volentieri questo contributo, che è il primo di una serie che l’autore dedicherà ad approfondire diversi aspetti del sistema dei beni culturali italiano.

Questo articolo mira innanzitutto definire il contesto storico che dal 2014 ha portato il Ministero dei beni culturali ad attuare alcune importanti riforme e come le nuove politiche culturali attuate dal ministro Franceschini abbiano in parte portato a compimento provvedimenti del governo precedente. In secondo luogo, l’articolo contiene l’analisi di due significative riforme – il decreto legge sull’Art Bonus e sul Turismo e il decreto dell’agosto 2014 in merito alla riorganizzazione del MIBACT – che hanno cambiato in modo drastico la situazione precedente, introducendo un diverso approccio alla gestione e amministrazione dei beni culturali. Questi due decreti infatti non solo hanno modificato l’organigramma e le competenze dei diversi uffici direttivi del MIBACT, ma hanno anche strutturato un sistema gestionale decisamente più rigido, verticale e volto a favorire la partecipazione privata. 


Un inquadramento storico

Nello spirito della spending review, negli anni dei grandi tagli alle spese pubbliche, venne formulata una serie di ambiziose riforme da parte dell’attuale Ministro della cultura Franceschini (febbraio 2014-dicembre 2016). Seppur legate alla temperie politica della spending review, vedremo come in realtà le ‘riforme Franceschini’ seppero sì obbedire alle generali direttive di riduzione della spesa pubblica, ma al contempo seppe recepire alcuni spunti di innovazione che, in parte, provenivano dal precedente ministro alle politiche culturali del ‘governo Letta’, Massimo Bray.

Dal 2011 infatti si era assistito a una serie di normative che miravano a ridurre la mole dei dicasteri in modo da abbassare i costi della macchina burocratica. Nel 2011 ben due leggi abbassavano le spese dei Ministeri pianificandone la progressiva riduzione per gli anni successivi[1]. Nel 2012 un’ulteriore legge sopprimeva definitivamente alcuni uffici ministeriali e definiva una più generale riduzione dei costi degli apparati amministrativi[2]. Pochi mesi prima, infatti, il Presidente del Consiglio dei Ministri (allora Mario Monti) aveva emanato una direttiva che invitava fortemente i dicasteri affinché riformulassero i loro organigrammi interni per ridurre la spesa pubblica[3].

Un’ulteriore riduzione delle spese ministeriali si ebbe nel febbraio 2014 – proprio a sei giorni dal giuramento del ‘governo Renzi’ – con la diminuzione del numero dei dirigenti ministeriali[4]. Quest’ultima normativa derivava in realtà dalle indicazioni che il precedente governo (‘governo Letta’) aveva suggerito attraverso la breve carica di Carlo Cottarelli come Commissario straordinario per la Revisione della spesa pubblica (novembre 2013-febbraio 2014)[5].

Tuttavia, proprio su questo terreno, ben poco prospero per le politiche culturali, già il ‘governo Letta’ mostrò una sensibilità più fine rispetto ai governi precedenti. Il Dicastero della cultura, allora assegnato a Massimo Bray, attualmente direttore editoriale della Treccani, trovò nelle restrizioni della spending review uno strumento per riformulare la struttura e le attività ministeriali. Nel giugno del 2013, si spostarono infatti le competenze in materia di turismo dal Dipartimento per gli Affari Regionali, il Turismo e lo Sport (governo Monti) al Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo (governo Letta)[6]. Lo spostamento non fu solo fondamentale per mettere in relazione dati e procedure strettamente legate tra loro (e.g. visibilità dei luoghi culturali e impatto turistico), ma anche per rendere il sistema dei beni culturali economicamente più forte grazie alle risorse derivanti dal turismo. Iniziava insomma a sostanziarsi la tanto decantata idea per cui il sistema dei beni culturali può diventare economicamente più sostenibile anche grazie alle sinergie tra turismo e cultura.

Sempre sotto l’iniziativa del Ministro Bray, si costituì per la prima volta una commissione di prestigiosi accademici e professionisti chiamata Commissione per il rilancio dei beni culturali ed il turismo che si espresse con una lunga relazione nell’ottobre 2013[7]. Se però le argomentazioni e le conclusioni della Commissione non ebbero una traduzione immediata in decreti leggi per l’ormai vicina fine del governo, esse in realtà furono preziose per due precisi aspetti: le riflessioni della Commissione anticiparono alcuni principi riformativi del successivo Ministro Franceschini (non a caso alcuni membri della ‘Commissione Bray’ divennero poi stretti collaboratori del Ministro Franceschini); e, in secondo luogo, permisero l’attuazione di un’importante legge sui beni culturali emanata sempre nell’ottobre 2013. La legge in questione attuava significativi progressi nelle politiche culturali: concedeva ampio spazio alle politiche giovanili in alcuni progetti ministeriali (e.g. 500 giovani per la cultura, la promozione della musica per i giovani artisti); velocizzava il processo di attuazione di progetti internazionali (e.g. Grande Progetto Pompei, Reggia di Caserta); e, inoltre, perfezionava alcuni articoli del codice dei beni culturali (e.g. la valorizzazione delle attività di artigianato locale da parte dei comuni)[8].

Alla luce di ciò, sarà più semplice comprendere come le riforme del Ministro Franceschini non furono solo in sintonia con la generale concertazione del riformismo aperto dal ‘governo Renzi’, ma lo furono anche rispetto agli spunti positivi che il mandato di Bray aveva destato.

 

L’eredità di Bray e le attuazioni di Franceschini

Dopo la pubblicazione della relazione finale da parte della Commissione per il rilancio dei beni culturali ed il turismo (31 ottobre 2013), il ‘governo Letta’ avrebbe avuto poco più di due mesi prima di dare le dimissioni (14 febbraio 2014). Nonostante ciò, le conclusioni a cui giunse la Commissione nominata da Bray, oltre ad aver finalmente inaugurato una nuova seria discussione sulle politiche dei beni culturali, costituirono in realtà un prezioso riferimento per le riforme del ministro Franceschini, in carica dal febbraio 2014.

Molti degli argomenti presenti nella relazione della Commissione (e.g. «Riorganizzazione del MIBACT», «Sinergie tra pubblico e privato», «Mecenatismo», «rilancio dell’ENIT-Agenzia nazionale del Turismo») appaiono infatti come delle forme embrionali delle successive riforme di Franceschini, attuate di lì a poco. Se infatti si considerano gli argomenti relativi al «Mecenatismo» e al «rilancio dell’ENIT-Agenzia nazionale del Turismo», il richiamo al decreto legge del maggio 2014 sull’Art Bonus e sul Turismo è immediato. Se invece si considera quanto detto rispetto alle riforme della spending review e alla «riorganizzazione del MIBACT» nella relazione della ‘Commissione Bray’, si comprende meglio il decreto dell’agosto 2014 attraverso il quale si è riformulato l’organigramma del MIBACT.

 

Tra mecenatismo e turismo: il decreto legge per l’Art Bonus e per una nuova politica sul turismo

Come aveva già chiaramente evidenziato la Commissione per il rilancio dei beni culturali ed il turismo, il MIBACT da tempo soffriva di alcune debolezze nel funzionamento amministrativo interno e, ancora di più, nella collaborazione tra turismo e politiche culturali.

Nel funzionamento interno, per esempio, si verificavano spesso alcune delle seguenti condizioni: sovrapposizioni di competenze tra direzioni regionali (Soprintendenze, Archivi, Biblioteche) e centrali; poca integrazione tra turismo e cultura; una considerevole mancanza di personale; deboli politiche di innovazione e di informatizzazione; una lenta gestione del personale con le nuove formule contrattuali; una difficoltà nel considerare alcune tipologie di bene (il bene paesaggistico che non è considerato tecnicamente come un bene culturale ma appartiene al patrimonio culturale);  e una distinzione non sempre semplice tra valorizzazione e tutela.

Naturalmente tali premesse non potevano essere immediatamente risolte con un unico provvedimento legislativo, ma a partire dal maggio 2014 un decreto legge apriva una stagione di riforme così da sostanziare le soluzioni proposte dalla Commissione Bray.

Il decreto legge del maggio 2014 si muoveva in due direzioni: da un lato, l’incentivazione del contributo privato per interventi di manutenzione, protezione e restauro; e, dall’altro, una maggiore efficienza dell’apparato amministrativo in ambito turistico. Entrambi questi due aspetti si erano fatti sempre più cogenti a partire da due precisi momenti storici: l’accesa questione del finanziamento privato per il restauro del Colosseo da parte del Gruppo Tod’s SpA (2011) e il passaggio da MIBAC a MIBACT nel 2013, con appunto l’aggiunta delle competenze in materia di turismo al Dicastero dei beni culturali.

Tra i vari punti toccati dal decreto legge del maggio 2014 – che non potranno essere discussi in toto in questa sede – vogliamo citare i più importanti. Innanzitutto viene definito il tanto celebre Art Bonus, ossia un’agevolazione fiscale per privati (impresa o persona fisica) qualora facciano una donazione per la manutenzione, protezione e restauro di bene culturale o di un istituto culturale pubblico (musei, teatri, fondazioni lirico-sinfoniche, biblioteche, siti archeologici e archivi).

Qualora si verifichi una tale condizione di ‘mecenatismo’, viene riservata un’agevolazione fiscale al donatore che varia a seconda che si tratti di un ente non commerciale (come una persona fisica, non imprenditore) o di un’impresa (detta “soggetto titolare di reddito di impresa”). Si presuppone infatti che un ente non commerciale (come una persona fisica) non possa donare quanto un’impresa, ma possa comunque trarre un beneficio fiscale da una tale donazione.

L’agevolazione fiscale viene quantificata sia sulla base di quanto è stato donato sia sulla base del reddito di cui è intestatario la persona fisica o l’impresa. L’agevolazione fiscale consiste in un credito d’imposta, ossia in una cifra economica che l’impresa o la persona fisica matura nei confronti dell’erario e che può essere detratta nelle tasse sul reddito o qualora si abbiano dei debiti fiscali arretrati[9]. In questo modo il privato non viene solo agevolato con un ritorno fiscale, ma viene anche direttamente incentivato a donare.

Dal momento infatti che a ciascun individuo è comunque richiesto di versare una tassa sul reddito dichiarato, attraverso una donazione culturale il privato vedrebbe immediatamente convertita una parte della tassazione. Si determina perciò un rapporto più forte tra privato e patrimonio culturale pubblico in modo tale che il privato possa vedersi maggiormente partecipe del progresso del bene stesso o dell’ente culturale. Naturalmente, seppur allo stato attuale non ci siano elementi indiziari, non si può escludere che un tale meccanismo possa creare talvolta dei rapporti di dipendenza degli istituti pubblici sulle donazioni private, alimentando perciò una possibile ingerenza del privato sul pubblico.

Il dibattito sul problema dell’incentivazione e della valorizzazione ‘mecenatismo privato’ si era aperto con vivacità già a partire dal caso Tod’s. In questa circostanza lo Stato aveva preso coscienza che non solo esisteva un diffuso desiderio da parte di privati (specialmente stranieri) di donare risorse ai beni culturali italiani, ma che tale fenomeno riguardava anche molti mecenati italiani. Naturalmente, ciò era dovuto non solo a un disinteressato amore per il bene culturale in sé, ma anche per un calcolato ritorno di immagine. Rimane infatti tuttora accesa la questione della legittimazione etica di una tale sponsorizzazione privata attraverso un bene culturale pubblico. Gli esempi sono molteplici, diversi tra loro e riscontrabili anche in anni precedenti al 2011, come la mostra dello stilista Valentino nel Museo dell’Ara Pacis (2007).

Purtroppo non è possibile elencare in questa sede tutti i provvedimenti del decreto legge del maggio 2014, ma segnaliamo come esso riuscì a attuare anche alcuni aspetti in materia di turismo che aveva stigmatizzato la Commissione Bray. Come infatti previsto da quest’ultima, si ebbe un rilancio dell’ENIT (Agenzia Nazionale del Turismo) o meglio la sua trasformazione in un ente pubblico economico, sottoposto alla vigilanza del MIBACT.

Con il decreto legge in questione si assegnano inoltre delle competenze in materia di turismo alle direzioni regionali e centrali del MIBACT così da creare un più saldo coordinamento tra le politiche culturali e quelle turistiche. A ciò si aggiungono una serie di provvedimenti che mirano ad agevolare fiscalmente la riqualificazione di strutture turistiche (Tax Credit sul Turismo), la mobilità turistica attraverso una pianificazione in congiunzione con il Ministero dei Trasposti e l’incentivazione del funzionamento digitale delle strutture turistiche (Tax Credit per la digitalizzazione turistica)[10].

Insomma, senza entrare nel dettaglio ma piuttosto rimandando al testo del decreto (convertito in legge nel luglio 2014)[11], possiamo concludere che la stagione del ‘riformismo Franceschini’ esprimeva, dopo lungo tempo, un’idea complessiva sulle politiche sui beni culturali.

 

Una nuova struttura per il MIBACT

Come anticipato, attraverso il decreto dell’agosto 2014, emanato dal Presidente del Consiglio dei Ministri, si dava un nuovo organigramma al MIBACT alla luce delle politiche di spending review e delle conclusioni della Commissione Bray. Prima di tale decreto la struttura del Ministero (immagine 1) appariva come un enorme colosso tentacolare, le cui parti erano state talvolta aggiunte successivamente per risolvere alcune problematiche, senza però considerare le sovrapposizioni di competenze che talvolta si sarebbero create.

 

Franceschini

Immagine 1: struttura MIBACT

Consideriamo per esempio le Soprintendenze che si occupano della salvaguardia del patrimonio a livello periferico, o meglio regionale. Il loro compito principale è quello di determinare se un sito, un edificio, un oggetto o un costume popolare (es. una rievocazione popolare, un cerimonia locale) siano di interesse culturale. In tal caso, provvedono a vincolare il soggetto attraverso una serie di parametri che ne consentano la tutela e la valorizzazione. Tuttavia, non sempre un bene culturale è vincolato per un solo aspetto (es. architettonico) ma può essere vincolato anche per un altro (es. paesaggistico). Per questo motivo, chi prima era in possesso di un bene culturale (mobile o immobile) e doveva avere un parere dalla Soprintendenza per operare dei lavori o dei passaggi di proprietà, doveva di conseguenza chiedere diversi pareri alle diverse Soprintendenze che vi avevano posto un vincolo. Con le riforme di Franceschini questo aspetto è stato notevolmente velocizzato attraverso le Soprintendenze Uniche[12]. Incorporando le diverse competenze delle Soprintendenze (architettoniche, archeologiche, paesaggistiche, artistiche, demo-etno-antropologiche), queste permettono di velocizzare notevolmente i verdetti su oggetti che abbiano diversi vincoli culturali.

Un ulteriore problema era costituito dalla difficile distinzione tra competenze di tutela, conservazione (da intendere prevalentemente come restauro e manutenzione) e valorizzazione. Sebbene queste tre vengano ben distinte dal Codice per i Beni Culturali del 2004 (art. 3, 6, 29), erano essenzialmente assegnate a enti che dipendevano gli uni dagli altri e che non sempre erano concordi tra di loro. Se infatti il Museo aveva essenzialmente competenza nella valorizzazione, la Soprintendenza si occupava della tutela del bene, mentre i centri del restauro provvedevano alla conservazione. Qualora però un bene fosse coinvolto in problematiche relative a più aspetti tra questi, le competenze non erano sempre facili da definire e i giudizi potevano incorrere anche in conflittualità. A questi aspetti si aggiungeva un ulteriore problema relativo alle sovrapposizioni di competenze tra uffici regionali e direzioni centrali. Era opportuna perciò una distinzione non solo a livello regionale/centrale, ma anche generale delle competenze: le Soprintendenze Uniche dovevano separarsi dai Musei e dagli istituti per il restauro (detti anche “Istituti per la Ricerca e il Restauro”: ovviamente perché restaurando si conoscono nuovi aspetti sul bene).

Numerosi altri aspetti erano poi al centro del dibattito da tempo, come il poco spazio lasciato alle politiche sull’arte contemporanea e alla poca emancipazione dei Musei dalle Soprintendenze. Prima delle riforme di Franceschini, i musei erano essenzialmente considerati come degli uffici delle Soprintendenze. In questo senso, separando i Musei dalle Soprintendenza, la riforma del MIBACT riconosce la costituzione dei Poli Museali, ossia aggregati di Musei che afferiscono a un unico ufficio regionale e poi a un altro ufficio generale. A ciò si è voluto riconoscere uno statuto speciale per alcuni grandi musei che, godendo di grande notorietà e turismo, potevano gestire autonomamente il proprio patrimonio e la fruizione pubblica. Per il sistema museale dei 20 Musei Autonomi rimandiamo a un contributo che sarà pubblicato prossimamente.

A tutte queste problematiche si applicava il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri dell’agosto 2014 (D.P.C.M. 29 agosto 2014, n. 171) e due successivi decreti ministeriali per modificare altri aspetti[13].

 

Franceschini

Immagine 2: organigramma MIBACT

 

Come si vede dal nuovo organigramma (immagine 2), non si tratta solo di una semplificazione (a cui si doveva rispondere dopo le politiche di spending review), ma anche di una più razionalizzata distribuzione degli enti, attraverso una più forte verticalità che preveniva finalmente alcuni problemi di sovrapposizione di competenze.

Guardiamo per esempio il caso delle Soprintendenze che occupano tre braccia dell’organigramma, tra Soprintendenze Speciali (che si occupano di precisi ambiti territoriali particolarmente ricchi di beni culturali, es. Pompei o Roma) e le Soprintendenze regionali. Lo stesso vale per le biblioteche e gli archivi di stato che rientravano in contesti regionali con le Soprintendenze archivistiche, ma afferivano anche alla Direzione Generale per gli archivi.

Con il nuovo organigramma, si hanno solo le Direzioni Generali divise per ambiti culturali (cinema, spettacolo, archivi, biblioteche etc.) o per funzione amministrativa (bilancio, organizzazione, turismo, musei ed educazione-ricerca). Ogni sezione rimane perciò autonoma per competenze ed è strutturata solo per livello regionale e generale.

In conclusione, dopo aver accennato alle diverse soluzioni che il decreto dell’agosto 2014 offriva ad alcune problematiche, abbiamo visto come il nuovo sistema del MIBACT goda ora di una maggiore verticalità e di una razionalizzazione, semplificando l’iter burocratico e amministrativo interno.

Come in tutte le riforme il tempo rimane il metro di giudizio più oggettivo per valutare i risultati ottenuti. Prima però di discutere nel merito la validità di un sistema rispetto a un altro, nel presente contributo si è cercato soprattutto di fornire al lettore gli elementi necessari per comprendere e discutere come alcune politiche nei beni culturali si siano evolute, quali siano state le circostanze storiche che le hanno determinate, e come si sia costituita la nuova struttura interna del MIBACT.


[1] L. 15 luglio 2011, n. 111, art. 10; L. 14 settembre 2011, n. 148, art. 1.

[2] L. 7 agosto 2012 n. 135, art. 7.

[3] Cf. Direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri, 3 maggio 2012.

[4] DPCM 28 febbraio 2014.

[5] Per un approfondimento sulla politica di Cottarelli e le applicazioni della spending review tra 2011-2014: Carlo Cottarelli, La lista della spesa. La verità sulla spesa pubblica italiana e su come si può tagliare, Milano 2015.

[6] L. 24 giugno 2013 n. 71.

[7] Per il testo della relazione finale: http://www.aedon.mulino.it/primopiano/relazione_finale_commissione_beni_culturali_2013.pdf

[8] L. 7 ottobre 2013, n.112.

[9] Per una disamina più approfondita attraverso due casi specifici, si veda il contributo di Annamaria Buzzi a libero accesso: http://www.polomusealeemiliaromagna.beniculturali.it/images/Documenti/Pubblicazioni/Arte-e-nuovo-mecenatismo.pdf.

[10] A tali provvedimenti, il decreto legge riguardava inoltre: alcuni grandi progetti culturali (quello di Pompei, della Reggia di Caserta e dei 500 giovani per la cultura); la libera riproduzione fotografica all’interno di Musei e Archivi; l’utilizzo in ambito culturale del 3% delle risorse riservate alle infrastrutture; e, infine, ulteriori agevolazioni fiscali applicate al cinema e alle fondazioni lirico-sinfoniche.

[11] DL 31 maggio 2014, n. 83: L

[12] DM 44 23/01/2016.

[13] DM 43 del 23/01/2016 e DM 44 del 23/01/2016.

Scritto da
Marco Brunetti

Laureato in Filologia Classica nel 2014 e Archeologia nel 2015 presso l'Università di Bologna, è dottorando presso l'IMT di Lucca in Gestione e Analisi dei Beni Culturali. Oltre a pubblicazioni scientifiche e alla partecipazione in conferenze internazionali, ha lavorato alla pubblicazione di schede di catalogo per mostre museali e ha collaborato con il British Museum di Londra nel Dipartimento di Disegni e Stampe.

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