Recensione a: Carlo Rovelli, Buchi bianchi. Dentro l’orizzonte, Adelphi, Milano 2023, pp. 144, 14 euro (scheda libro)
Scritto da Francesco Nasi
5 minuti di lettura
In Buchi bianchi, Carlo Rovelli, professore all’università di Aix-Marseille, dove è responsabile dell’Equipe de gravité quantique del Centre de physique théorique, parla di quello che può essere considerato a ragione uno dei misteri più affascinanti dell’universo: che cosa c’è dentro un buco nero, al di là della fine del tempo? Dopo Sette brevi lezioni di fisica, L’ordine del tempo, Helgoland e il più recente Relatività generale, Rovelli affronta un argomento che, da un lato, unisce tanti dei temi toccati nei lavori precedenti e, dall’altro, gli permette di attingere direttamente alla sua ricerca scientifica, con il contributo che ha dato allo sviluppo della teoria della gravità quantistica.
Un buco nero si forma generalmente quando una stella, esaurendo il proprio carburante, non riesce più a sostenere il proprio peso e collassa su sé stessa. La massa si concentra in un unico punto, detto singolarità, che viene però celato dall’orizzonte degli eventi, in un certo senso il “confine” del buco nero. All’interno di questa superficie la gravità è talmente grande da impedire a qualsiasi cosa, anche alla luce, di uscire. Al di fuori, lo spazio-tempo è comunque profondamente deformato, tanto da rallentare significativamente lo scorrere del tempo. Come insegna la relatività generale, il tempo è relativo e scorre in maniera diversa in vari punti dell’universo a seconda della forza di gravità. Questa diversità è quindi relativa ad altri luoghi, non assoluta. Non esiste un tempo giusto universale, ma tanti orologi che scorrono alla velocità giusta per quel luogo. Quindi, rispetto a qualcuno che guarda da lontano, il tempo sull’orizzonte degli eventi scorrerà lentissimo. Ma per chi è sull’orizzonte degli eventi, e quindi si paragona a sé stesso, non troverà alcuna differenza.
Fatta questa spiegazione, Rovelli inizia un affascinante paragone tra la discesa di Dante e Viriglio all’Inferno e il viaggio di chi avesse l’opportunità di attraversare l’orizzonte degli eventi. Questo è possibile grazie alle equazioni di Einstein, che ci suggeriscono come possiamo immaginare l’interno di un buco nero. Si tratterebbe di una sorta di “imbuto”, scavato dalla stella morta, tanto più lungo e più stretto quanto più tempo è passato dalla nascita del buco nero. In fondo a questo imbuto si trova la singolarità: le sue dimensioni sono, per definizione, nulle, dunque sta al di sotto della scala di Planck, oltre la quale relatività generale e meccanica quantistica, da sole, non sembrano funzionare.
In corrispondenza della singolarità, dove la gravità farebbe “fermare il tempo”, la teoria della gravità quantistica a loop avanzata da Rovelli propone che avvenga invece una transizione quantistica da una configurazione dello spazio a un’altra. In sostanza, Rovelli suggerisce che, una volta entrata nella zona quantistica, la stella non continui a cadere, ma al contrario “rimbalzi”, tornando indietro, riallargando l’imbuto e formando appunto un “buco bianco”, ovvero un buco nero ribaltato, in cui il tempo è rovesciato. Se da quest’ultimo si può solo entrare, dal buco bianco si può soltanto uscire. Eppure, dall’esterno non cambierebbe nulla: buchi neri e bianchi sarebbero per tanto indistinguibili da fuori.
Le conseguenze di questo fatto aprono domande profonde sul senso e la natura del tempo, non solo per la fisica in sé e per sé, ma anche e soprattutto per gli esseri umani. Il tema viene affrontato nella terza parte del libro, da cui esce una chiave di lettura estremamente affascinante, ovvero quella del rapporto tra equilibrio e disequilibrio: «una causa è un intervento che lascia una traccia, una memoria: il suo effetto. La relazione fra causa ed effetto è un passo nell’equilibrarsi del mondo. La fisica delle cause e degli effetti è la stessa della fisica delle tracce e della memoria. Come questa, riguarda l’equilibrazione. La direzione del tempo è questo equilibrio delle cose. Questo andare verso l’equilibrio» (pp. 119-120).
Il successo di Rovelli è uno dei pochi casi (almeno nel panorama italiano) in cui uno studioso affermato per il suo lavoro scientifico riesce a portare avanti un’attività di divulgazione parallela che raggiunge anche il grande pubblico. Un successo che, al di là degli argomenti trattati, trova radici in vari aspetti. Primo, una scrittura accessibile anche a chi è privo di solide basi scientifiche. Non ci sono infatti lunghe formule o complesse dimostrazioni matematiche che potrebbero rendere difficoltosa la lettura. Al contrario, ogni termine potenzialmente tecnico è spiegato in maniera semplice, se non addirittura evitato per rendere ulteriormente fruibile il testo. Se è vero, come ammette lo stesso Rovelli (pp. 101-102) che questo potrebbe scontentare un certo tipo di lettore, più attento e informato, è altresì vero che la profondità e le prospettive che riesce ad aprire, anche da un punto di vista umanistico, sono in grado di parlare ad un ampio pubblico. Ne sono un esempio le numerose citazioni letterarie, da Dante a Montale, da Carroll a Tolkien, che aiutano ad approfondire il lato universale e popolare (nel senso che può rivolgersi a chiunque) di una scienza che, troppo spesso, appare riservata ad una ristretta élite di specialisti. È lo stesso autore, soprattutto nella parte finale del volume, a spingere su questa strada, ad esempio proponendo una visione della realtà in cui ogni cosa è strettamente connessa: secondo Rovelli noi non studiamo l’universo in un asettico rapporto tra soggetto e oggetto, ma in quanto appartenenti a quello stesso universo, attratti dalla comune appartenenza alla realtà, al punto da poter dire al mondo, come fanno tra loro gli animali ne Il libro della giungla di Kipling, «siamo dello stesso sangue, tu ed io» (p. 124).
Secondo, la scrittura di Rovelli si caratterizza per un’eleganza che stimola nel lettore quel senso di mistero, meraviglia e paura che soltanto le grandi domande esistenziali possono dare. Se, come sostenevano i greci, la filosofia (e, più in generale, la volontà di sapere) hanno origine nel thaumazein, la sensazione di meraviglia di fronte al mistero, che in parte spaventa e in parte affascina l’essere umano, allora possiamo affermare che i libri di Rovelli sono veri e propri moltiplicatori di thaumazein. In un momento storico in cui è facile cedere alla pigrizia intellettuale e tutto lo scibile umano sembra a portata di una veloce richiesta a Chat GPT, riuscire a stimolare l’amore per il sapere inteso non come volontà di accumulare più conoscenze per poter essere “migliore” degli altri, ma come amore per il mistero, come costante tensione verso l’ignoto, è un lavoro cruciale che va ben oltre l’ambito scientifico e che ha ricadute importanti anche sul nostro modo di vivere nella società. Significa, infatti, educarsi a sospendere il giudizio di fronte alla complessità, ascoltare le opinioni altrui, non ritenere mai assoluta la propria conoscenza. Significa, in altre parole, fare un utile esercizio di democrazia, intesa come dialogo e confronto con l’altro.
Questo si lega a un terzo e ultimo aspetto, ovvero lo stile di divulgazione. Negli ultimi anni, si è diffuso un tipo di divulgazione scientifica particolarmente virulenta, che a volte sembra più concentrata sull’attaccare e denigrare “l’avversario” che sul diffondere davvero il sapere. Certo, la fisica teorica è un ambito politicamente meno sensibile rispetto ai vaccini o alle fonti di energia rinnovabile, e quindi il rischio di una polarizzazione del dibattito è considerevolmente minore. Dall’altra parte, sarebbe utile domandarsi quali siano i vantaggi di tale virulenza, e se un approccio più pacato, cauto e rispettoso delle opinioni altrui (anche se scientificamente non supportate, magari per ignoranza o per mancanza di mezzi) non potrebbe rivelarsi più efficace.
L’atteggiamento di Rovelli non è quello del maestro che rivela ai propri discepoli un sapere dogmatico, ma piuttosto quello del fratello maggiore che accompagna, consapevole dei limiti suoi e della propria disciplina. Troppo spesso, infatti, nel dibattito pubblico si dimentica che la caratteristica principale della scienza non è quella di produrre verità incontestabili, ma proprio quella di poter contestare (o falsificare, per dirla con Popper) le verità stabilite in una costante tensione verso una conoscenza migliore. Insomma, lo scienziato non è colui che non sbaglia mai, ma proprio chi riesce ad ammettere di aver sbagliato, per quanto possa essere difficile. Non è chi ha ragione, ma chi può dimostrare di non avere ragione. Come scrive Rovelli: «è il bello della scienza: non c’è nulla di male nel ricredersi: impariamo. Gli scienziati migliori sono quelli che si ricredono spesso, come faceva Einstein» (pp. 27-28). È questo atteggiamento che sembra oggi mancare, e che pure potrebbe essere così prezioso nel diffondere una sana cultura scientifica nel nostro Paese. Si tratta di un lavoro sicuramente complesso, che a Rovelli riesce però in maniera eccezionale. Non solo perché Buchi bianchi. Dentro l’orizzonte è un (altro) piccolo capolavoro di divulgazione scientifica, estremamente piacevole da leggere. Ma anche perché si tratta di un libro umanamente profondo, umile e allo stesso tempo coraggioso, che apre spazi di riflessione e costruisce ponti tra diverse branche del sapere.
Si ringrazia Patrick Bigi per la consulenza scientifica e la revisione di alcuni paragrafi di questo testo.