Recensione a: Christopher Cepernich, Le campagne elettorali al tempo della networked politics, Laterza, Roma-Bari 2017, pp. 170, 18 euro (scheda libro)
Scritto da Diego Ceccobelli
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In un momento in cui ci si interroga su quanto e se il fenomeno Cambridge Analytica abbia contribuito a determinare, ad esempio, l’elezione di Donald Trump come 45° Presidente degli Stati Uniti, Le campagne elettorali al tempo della networked politics di Cristopher Cepernich rappresenta sicuramente un’utile bussola con cui cercare di orientarsi nel dibattito scientifico relativo all’effettivo ruolo dei media digitali nel sistema mediale contemporaneo e sul modo in cui le campagne elettorali contemporanee vengono pianificate, condotte, e soprattutto quali ne sono gli effetti in termini di comportamento elettorale e partecipazione politica.
Sebbene possa sembrare controintuitivo, il libro di Cepernich descrive chiaramente come uno degli esiti della digitalizzazione delle campagne elettorali sia «la reintroduzione della centralità del fattore umano all’interno dei dispositivi di campagna e, di conseguenza, dei processi democratici. La riscoperta del valore dell’individuo, della struttura e del campo delle sue relazioni, dell’articolazione delle sue appartenenze di comunità le quali, una volta infra-strutturate, costituiscono un capitale comunicativo inestimabile» (p. 147).
Si tratta di una considerazione rilevante poiché aiuta a rafforzare la consapevolezza che approcci deterministici nello studio del rapporto tra media e politica rappresentano delle scorciatoie non in grado di carpire a fondo i fenomeni in atto. Una lettura superficiale dell’esistente potrebbe infatti portare a sostenere che le fortune elettorali degli attori politici siano oggi strettamente, se non unicamente, collegate ad un particolare stile comunicativo utilizzato su un social media come Facebook, oppure alla presenza massiva di dark post ideati per provare a alternare l’orientamento politico dei cittadini. La questione, come sempre avviene quando si ha a che fare con i fenomeni sociali e politici, è molto più complessa.
La campagna digitale e il fattore umano
Come argomenta Cepernich, questa complessità ha appunto rimesso al centro il ruolo del fattore umano, il territorio, le relazioni interpersonali, fornendo un’ulteriore testimonianza di quanto la divisione manichea tra reale e virtuale sia erronea. Di nuovo nelle parole dell’autore: «questa crasi tra luogo fisico e luogo, che un tempo si sarebbe detto “virtuale”, ma che oggi sappiamo essere spazio di sintesi tecnologicamente realizzata tra online e offline, è all’origine della ritrovata centralità della comunicazione interpersonale nella società digitale, della socialità costruita intorno al piccolo gruppo, della relazione di prossimità inscritta all’interno di luoghi circoscritti – materiali o immateriali che siano –: le cerchie amicali su Facebook, i quartieri, il territorio o semplicemente l’amichevole compagnia degli avventori occasionali della vineria preferita nell’ora dell’aperitivo» (p. 22).
Inoltre, la complessità dettata, tra l’altro, dalla «ibridazione tra logiche mediali analogiche e digitali, tra logiche organizzative e burocratiche e, infine, tra logiche della democrazia rappresentativa e logiche della democrazia elettronica» (p. 55), è strettamente connessa con un ulteriore assunto portato da Cepernich all’attenzione del lettore, secondo il quale comunicare equivale alla capacità di organizzare e strutturare le attività di una molteplicità di soggetti differenti: i componenti del proprio staff, i volontari, i simpatizzanti, etc. Come descritto nel volume, «la networked campaign […] si concretizza primariamente dando organizzazione online alla mobilitazione offline» (p. 61), visto che «la spina dorsale di una campagna digitale è oggi il mettere insieme persone che profondono il loro impegno nel condurla» (p. 143).
Comprendere i tratti che plasmano e strutturano le campagne elettorali contemporanee significa pertanto avere chiara la consapevolezza che l’avvento dei media digitali non stia determinando il totale superamento delle modalità di costruzione del consenso che hanno caratterizzato le “campagne pre-moderne” (Norris 2000). Attività di campagna quali il porta a porta oppure la ricerca, e il continuo coinvolgimento di volontari che siano disposti a spendere il proprio tempo per divulgare i messaggi e valori di una determinata forza politica, risultano così tuttora fondamentali, ma la loro efficacia aumenta in maniera esponenziale solamente quando questi vengono inseriti all’interno di una strategia che, sebbene fondata su un utilizzo costante e continuo delle infrastrutture, servizi e pratiche digitali, si fonda sulla centralità del fattore umano.
Le argomentazioni e considerazione portate all’attenzione del lettore da Cepernich si muovono pertanto in perfetta linea di continuità con quanto sostenuto in particolar modo da uno studioso britannico, Andrew Chadwick (2013), autore di The Hybrid Media System. In questo libro Chadwick sostiene che l’avvento dei media digitali non abbia comportato un totale e repentino superamento delle logiche e prassi politico-comunicative strettamente connesse ad altri media, quali la televisione o i giornali, bensì di una loro integrazione. Le campagne maggiormente in grado di raggiungere gli obiettivi di una forza politica – ossia innanzitutto fare in modo che i propri messaggi arrivino al numero più elevato di persone e che questi messaggi siano poi in grado di influenzare positivamente il loro orientamento politico – non sono dunque quelle che si affidano unicamente ai media più recenti, bensì quelle che riescono a sviluppare stili e strumenti comunicativi in grado di sfruttare appieno ogni singola piega del sistema mediale contemporaneo.
Un sistema che, di nuovo utilizzando la terminologia di Andrew Chadwick, è appunto ibrido, quindi non caratterizzato dalla presenza e dominio di un unico mezzo di comunicazione e dai suoi relativi attori politici e mediali di riferimento. Un sistema in cui i media digitali sono sì una componente sempre più rilevante e decisiva – come dimostrato ad esempio in Italia dalla rapida ascesa del MoVimento cinque stelle o della Lega a guida Salvini, ossia le due forze politiche che prima di tutti i loro competitor hanno capito come comunicare al meglio sulle piattaforme digitali più popolari, Facebook su tutte – ma senza che questo stia comportando l’annullamento degli effetti e poteri, ad esempio d’agenda, di altri media. Basti pensare alla continua presenza degli attori politici nei programmi televisivi di intrattenimento – come la recentissima ospitata di Salvini e Di Maio nella trasmissione condotta da Barbara D’Urso – oppure alla continua opera di copertura mediatica operata dagli organi di informazione di ogni singolo tweet, post o video in diretta su Facebook prodotti dagli attori politici. Due esempi, da un lato del potere e influenza di un mezzo di comunicazione, la televisione, tutt’altro che secondario nella costruzione del consenso politico; dall’altro dell’ibridazione tra media differenti.
Cepernich: modelli americani nel contesto italiano
Il volume di Cepernich ribadisce inoltre un ulteriore assunto ben noto agli studiosi di comunicazione politica: gli Stati Uniti sono dei pionieri nell’elaborazione di nuove modalità di conduzione delle campagne elettorali, poi altri paesi, compresa l’Italia, provano ad imitare, spesso senza successo, quanto ivi realizzato. Tutto ciò porta a desumere che, se negli Stati Uniti, soprattutto in occasione di elezioni presidenziali, la campagna digitale è sempre più «scientifica nel metodo, data-driven, o quantomeno data-oriented nell’approccio, high-tech nella infrastruttura, professionalizzata e specializzata nei ruoli e nelle funzioni, micro-targettizzata nelle strategie di comunicazione, partecipativa e high-tech grassroots nell’impianto di base» (p. 53), questo non sempre equivale ad una sua immediata e perfetta esportazione altrove.
Come descritto in Le campagne elettorali al tempo della networked politics, infatti, sebbene le campagne digitali condotte in Italia ambiscano a raggiungere questi livelli di professionalizzazione e specializzazione, solo in rari casi, finora, sembrano esserci riuscite. E questo vale sia per il livello nazionale, sia per quello locale.
Il libro qui in esame aiuta infine a tener viva un’ultima consapevolezza, ovverosia quella che contesti politici, culturali e sociali differenti diano vita a delle campagne elettorali sostanzialmente eterogenee. Gli Stati Uniti non sono l’Italia, e viceversa. Quanto sperimentato e applicato con successo da Barack Obama nel 2008 e nel 2012, oppure da Donald Trump nel 2016, non avrà lo stesso successo se esportato in altri paesi senza una necessaria azione di adattamento alle rispettive peculiarità elettorali.
Esempio palese ne sono sicuramente le fallimentari campagne affidate a quelli che la stampa ha forse frettolosamente denominato i “guru della comunicazione” statunitensi che, risultati di altre contese elettorali alla mano – su tutti i casi di David Axelrod a supporto di Mario Monti nelle elezioni politiche italiane del 2013, o di Jim Messina in occasione del referendum costituzionale in Italia del 2016 e quello sulla cosiddetta Brexit nel Regno Unito – non sono però stati in grado di applicare con successo le loro ricette in un contesto politico diverso dagli Stati Uniti.
Bibliografia
Chadwick A. (2013), The hybrid media system: Politics and power, New York, Oxford University Press.
Norris P. (2000), A virtuous circle: Political communications in postindustrial societies, New York, Cambridge University Press.