Recensione a: Carlo Trigilia (a cura di), Capitalismi e democrazie. Si possono conciliare crescita e uguaglianza?, il Mulino, Bologna 2020, pp. 568, 38 euro (scheda libro)
Scritto da Andrea Cavalcanti
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Negli ultimi anni, il tema delle disuguaglianze ha assunto una centralità sempre maggiore nel dibattito pubblico. Importanti ricerche e studi hanno rilevato che a partire dagli anni Settanta le disuguaglianze sociali sono aumentate. Pensiamo, per esempio, ai lavori di due illustri economisti come Stiglitz o Piketty, i quali hanno denunciato l’allarmante crescita del divario economico tra le classi sociali più ricche e quelle più povere. L’aumento delle disuguaglianze rappresenta una tendenza generalizzata nelle democrazie avanzate, ma questa polarizzazione economica non si manifesta con la stessa intensità nei diversi contesti nazionali. In alcuni è maggiore, in altri è più contenuta. Quali sono i fattori economici, politici e istituzionali che hanno portato a queste differenze? Il libro Capitalismi e democrazie. Si possono conciliare crescita e uguaglianza?, a cura di Carlo Trigilia ed edito da il Mulino, si propone l’ambizioso compito di rispondere a questa domanda.
Nell’introduzione, Carlo Trigilia chiarisce lo scopo del volume: comprendere quali politiche limitino l’aumento delle disuguaglianze, e capire come conciliare la crescita con l’uguaglianza. Innanzitutto, è necessario ricostruire storicamente perché nel corso degli anni Settanta siano aumentate le disuguaglianze di reddito. Alla fine dei cosiddetti “Trent’anni gloriosi”, lo Stato sociale keynesiano, che era riuscito a coniugare crescita economica e diminuzione delle disuguaglianze sociali, entra in crisi. Le ragioni sono molte: il declino del fordismo, la nascita di nuove forme di organizzazione produttiva, la globalizzazione dell’economia – che si realizza attraverso fenomeni quali la liberalizzazione del commercio e la delocalizzazione. Lo Stato sociale, così com’era stato costruito nei decenni precedenti, sembra non essere in grado di affrontare le sfide della globalizzazione. Per questo motivo, ogni democrazia avanzata (si noti che il volume prende in considerazione soltanto gli Stati liberaldemocratici europei) fornisce una risposta. Complessivamente, è possibile individuare quattro diverse risposte:
1) La deregolazione complessiva, caratterizzata dalla diminuzione dell’intervento dello Stato nell’economia in favore del mercato;
2) La rinegoziazione complessiva, caratterizzata dal mantenimento integrale dello Stato sociale, rendendolo più sostenibile ed efficace;
3) La dualizzazione temperata, caratterizzata dal mantenimento dei principali meccanismi di redistribuzione, ma solo a vantaggio di determinate categorie. La dualizzazione introduce un divario tra gruppi sociali più o meno tutelati in termini di politiche sociali: per esempio, solitamente i dipendenti delle medie-grandi aziende e i dipendenti pubblici sono più tutelati dei lavoratori dei servizi;
4) La dualizzazione radicale, caratterizzata dalla preservazione di alcuni istituti dello Stato sociale, ma senza efficaci meccanismi redistributivi. In questo caso, il divario tra cittadini tutelati e cittadini non tutelati è maggiore rispetto alla dualizzazione temperata.
In generale, la tendenza delle democrazie avanzate europee è stata concedere più spazio al mercato a discapito dello Stato, anche se, come si è visto, sono state messe in atto politiche differenti. Ma sulla base di quali fattori possiamo individuare queste risposte?
Il volume, che contiene le analisi di numerosi studiosi, dedica un capitolo ad ogni fattore ritenuto influente sui diversi percorsi: le relazioni industriali e le politiche del lavoro, i sistemi di welfare, le politiche per l’istruzione e l’innovazione. Inoltre, la ricerca tiene conto anche dei fattori più propriamente politico-istituzionali, a partire dalla distinzione compiuta dal politologo Arend Lijphart tra “democrazia maggioritaria” e “democrazia consensuale”.
Il volume sottolinea come le politiche messe in atto dagli Stati non abbiano determinato conseguenze economiche convergenti, al contrario:
1) La deregolazione complessiva, adottata soprattutto nel mondo anglosassone, ha prodotto una crescita non inclusiva, caratterizzata da alto reddito, alta crescita e alta disuguaglianza;
2) La rinegoziazione complessiva, messa in atto soprattutto dai paesi scandinavi, ha prodotto una crescita inclusiva, caratterizzata da alto reddito, alta crescita e bassa disuguaglianza;
3) La dualizzazione temperata, tipica dell’Europa continentale, ha prodotto una crescita inclusiva dualistica, caratterizzata da alto reddito, alta crescita e bassa disuguaglianza (tuttavia, come si è detto, questo modello favorisce alcuni gruppi sociali e non altri);
4) La dualizzazione radicale, praticata nell’Europa meridionale, ha prodotto una bassa crescita non inclusiva, caratterizzata da basso reddito, bassa crescita e alta disuguaglianza (si ricordi anche in questo caso la disuguaglianza tra aree sociali più o meno protette).
Dunque, dalle ricerche riportate nel volume, il modello della rinegoziazione complessiva, adottato nei paesi scandinavi, è l’unico in grado di conciliare crescita economica e uguaglianza.
Come si è detto, il libro non prende in considerazione solamente i fattori socio-economici che incidono direttamente sulla capacità redistributiva, ma anche i fattori politico-istituzionali. Secondo il politologo Arend Lijphart, è possibile individuare due modelli democratici: la “democrazia maggioritaria” e la “democrazia consensuale”. La distinzione si basa sulla maggiore o minore concentrazione del potere politico: la democrazia maggioritaria tende ad accentrare il potere, mentre la democrazia consensuale tende a decentrarlo. La tesi di Lijphart rappresenta il punto di partenza per evidenziare possibili analogie tra tipi di democrazie e modelli socio-economici. Gli studi riportati nel volume colgono una generale correlazione fra le democrazie maggioritarie e la deregolazione complessiva (si pensi al mondo anglosassone). Nel caso delle democrazie consensuali, tuttavia, la correlazione è meno evidente. Storicamente, non solo i paesi scandinavi sono democrazie consensuali, ma anche i paesi dell’Europa meridionale. I primi hanno coniugato crescita ed uguaglianza, i secondi hanno solo prodotto una bassa crescita non inclusiva. Qual è la variabile che determina questa anomalia? Al netto delle storiche differenze politiche, economiche e culturali di contesti nazionali così lontani, secondo gli autori del volume una delle variabili fondamentali è la presenza di pratiche di concertazione istituzionalizzate. Un dialogo costante fra il governo e le organizzazioni sindacali, che esprimono una rappresentanza fortemente centralizzata, consente la formazione di un modello virtuoso in grado di tutelare gli interessi delle categorie sociali più fragili. Questa concertazione istituzionalizzata è stata da tempo realizzata nei paesi scandinavi, ma non in modo adeguato nei paesi mediterranei.
In questa sede non è ovviamente possibile soffermarsi su tutti i temi approfonditi dal libro. Tuttavia, è sicuramente di particolare interesse il capitolo dedicato all’evoluzione del rapporto fra politica ed economia nel corso degli ultimi decenni. Se fino agli anni Settanta è prevalente l’idea del primato della politica sull’economia, successivamente l’avvento e l’affermazione del neoliberalismo mette in discussione questa convinzione. Si ritiene che lo Stato non debba più contenere l’intrinseco disordine che anima il mercato, ma debba limitarsi a far funzionare il mercato. Questo mutamento di prospettiva si traduce in un drastico ridimensionamento dei meccanismi redistributivi adottati dallo Stato nei decenni precedenti. Tuttavia, come si è visto, l’approccio neoliberale non è stato applicato rigidamente in tutti i contesti nazionali (si pensi ai paesi scandinavi). Inoltre, sempre a partire dagli anni Settanta, si è irrobustito quel processo ormai secolare di indebolimento dell’autorità statuale a vantaggio delle istituzioni internazionali e sovranazionali.
All’interno del volume, Trigilia delinea una sintesi dei principali risultati di questa complessa ricerca, dalla quale si constata che:
1) La tesi del cosiddetto “trickle down”, cioè che la deregolazione dell’economia consente un aumento della crescita e automaticamente una riduzione delle disuguaglianze, si è rivelata inattendibile. Per riprendere una celebre espressione, “l’alta marea non solleva tutte le barche”;
2) La redistribuzione non rallenta la crescita, ma a determinate condizioni può stimolarla;
3) La concertazione istituzionalizzata fra governo e organizzazioni sindacali può favorire l’affermazione di una crescita inclusiva.
Come si è visto, l’adozione di politiche economiche redistributive, un modello di democrazia consensuale e la concertazione istituzionalizzata possono consentire una crescita inclusiva. La pandemia di Covid-19, aggravando problemi strutturali preesistenti, rende ancora più necessario accantonare il paradigma neoliberale, dominante dagli anni Ottanta, per tornare a conciliare crescita e uguaglianza, ritenute antitetiche per troppo tempo. Come scrive Trigilia, “i problemi che ostacolano la riproduzione e l’estensione di uno sviluppo inclusivo sono più di natura politica che economica”. Non è insomma la globalizzazione a rendere difficilmente conciliabili crescita e uguaglianza: è compito della politica realizzare questo connubio.