La democrazia recitativa: “Il capo e la folla” di Emilio Gentile
- 14 Giugno 2017

La democrazia recitativa: “Il capo e la folla” di Emilio Gentile

Recensione a: Emilio Gentile, , Laterza, Roma-Bari 2016, pp. 216, 19 euro (scheda libro)

Scritto da Pietro Dalmazzo

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La caduta dei regimi socialisti, traccia indelebile sulla fine del Novecento, ha portato all’affermazione del modello democratico occidentale, uscito vincitore dalla Guerra Fredda, come modello egemone su scala mondiale. La democrazia, rimasta senza avversari e senza nessun modello in grado di contrastarne l’autorevolezza, si è sviluppata lungo una direttrice sfociata, nei giorni nostri, in quella che, a tutti gli effetti, viene valutata come una crisi della democrazia. Responsi elettorali, sondaggi, inchieste ed opinioni diffuse testimoniano un progressivo allontanamento dalle istituzioni democratiche ed una progressiva svalutazione di tali sistemi[1].

Non è corretto cercare una sola causa del malessere di un sistema soggettivo e multiforme come quello democratico ma, tra le diverse origini, una va sicuramente individuata nella personalizzazione del potere politico. È la figura dell’essere umano forte, deciso, con un linguaggio accessibile che lo pone a diretto contatto con la massa ad alimentare sentimenti populistici che minacciano le strutture democratiche occidentali, spesso percepite come ovvie e scontate. Il pericolo della corruzione della democrazia in democrazia recitativa è reale, tangibile, supportato dai dati e determinato da una sfiducia verso le istituzioni e da un’alienazione dalle stesse cariche elettive.

La presa di coscienza di questo genere di crisi, unita allo stupore per l’apparente rapido declino della democrazia, è alla base del volume di Gentile. Il testo, partendo dall’individuazione del problema, sviluppa un’analisi dei rapporti tra il capo e la folla all’interno dei regimi democratici. L’obbiettivo, non troppo celato, è quello di favorire una migliore comprensione dei fatti contemporanei attraverso una lettura storica di essi, andando a ricercare le radici di questi fenomeni e della democrazia stessa. Partendo dall’antica Grecia di Socrate, Platone, Aristotele ma soprattutto di Pericle, raccontato attraverso le parole di Tucidide, Gentile inizia un percorso di indagine delle esperienze di personalizzazione del potere nelle democrazie antiche e moderne che si conclude con il confronto tra due personalità, diverse ma affini, come Kennedy e De Gaulle. Questo viaggio registra le maggiori esperienze democratiche, o presunte tali, del mondo occidentale, focalizzandosi non solo sui meri fatti storici ma anche sulle dottrine, le percezioni e le reazioni che questi due attori: il capo e la folla, suscitavano nel passato; e lo fa in un’ora in cui essi sembrano tornati a richiamare, a gran voce, la centralità della scena politica.

Per quanto segua l’ordine cronologico degli eventi, la natura endemica dell’argomento trattato nell’opera in questione impone l’attenzione a tematiche fuori dall’ambito strettamente storico, poiché ha ricadute dirette in primo luogo su due discipline come filosofia e politica. Per comprendere nella totalità la relazione tra capi e folle, è necessario da un lato analizzarne politicamente l’operato volto ad ottenere il consenso e la legittimazione e, dall’altro, le percezioni che questi attori stimolavano all’interno degli ambienti intellettuali e dell’élite dominante. In secondo luogo ha una valenza antropologica poiché testimonia il processo di identificazione, o, più frequentemente, di dissociazione e marginalizzazione delle masse. Il valore della massa come ente a se stante, percepito come un’entità fuori dalla logica umana e razionale e non come la semplice somma degli uomini che la compongono. Al contrario, la folla era percepita come forgiatrice di azioni, ideologie ed estremismi propri e possibili solo ad essa.

 

Gentile: da plebaglia a proletariato 

All’interno del generale quadro democratico, Gentile sviluppa una riflessione su un doppio binario: da un lato il peso reale delle folle nella storia democratica; dall’altro la percezione che delle folle ebbero filosofi e politici tenendo, in ogni caso ben presente il fatto che l’esperienza democratica rimase cronologicamente limitata nell’antichità e che solo recentemente la democrazia è diventata il sistema di riferimento globale.

Nel mondo classico, dal discorso attribuito da Erodoto ad Otane, fino agli ultimi imperatori romani eletti per acclamazione, si registrano diverse esperienze democratiche. Simbolicamente parlando, la più rilevante può essere considerata quella ateniese strettamente collegata al celebre discorso che lo storico Tucidide attribuisce a Pericle, dove Atene viene presentata come modello per tutta la Grecia (pp. 11-12). Al di là delle limitate esperienze democratiche del mondo antico, per la verità anche all’interno di esse, la folla venne sempre percepita come instabile, incapace di governare e troppo ignorante per occuparsi delle faccende pubbliche. Da Platone a Tacito la folla è vista negativamente; questa visione influenza anche la percezione della democrazia, temuta poiché appunto delegava troppo potere al popolo, alla plebagliaLa percezione della massa e la conseguente diffidenza verso i regimi democratici, rimasero tali anche nella tarda antichità e nel medioevo, pur con alcune eccezioni come Marsilio da Padova ( p. 47). L’avvento di una dimensione religiosa invasiva in epoca medievale, pose nelle mani della Divinità la legittimazione del potere secolare, mentre le masse vennero coinvolte nel sacro recinto della Chiesa e dei regni legittimati da essa (p. 40). L’Umanesimo, le chiese riformate, le teorie sulla sovranità del Seicento e le guerre di religione cambiarono la percezione della divinità e il potere che essa esercitava sui sovrani, ma non modificarono la percezione della folla totalmente sottomessa al dominio del potere secolare.

Gentile registra un cambiamento fondamentale, della concezione del potere nel Seicento, evidenziando come il potere politico arriva, dopo essere stato legittimato da Dio per secoli, ad essere pensato come originato da un patto tra gli individui (p. 68); anche se da questo assunto si svilupparono teorizzazioni sul potere popolare quasi opposte. La percezione della folla si inasprì maggiormente dal Settecento, quando la concomitanza tra la Rivoluzione Industriale e l’aumento demografico impose la folla sulla scena storica: tramite tumulti, manifestazioni ed effimeri disordini, sobillati sia da aristocratici sia da capi occasionali che direzionavano questo genere di fenomeni nati come reazione a mancanze materiali. La folla, nei decenni successivi, arrivò ad assumere caratteri ferini, non solo nelle percezioni reazionarie ma anche, per esempio, nel caso della folla descritta da Zola nel Germinale[2], autore tutt’altro che avverso al popolo.

Il primo passo, verso il riconoscimento dell’importanza politica del popolo, venne compiuto dai rivoluzionari americani infatti la minoranza dei Padri Fondatori agì in nome ed in difesa del neonato popolo americano appoggiandosi agli ideali di libertà e di eguaglianza (p. 89). Sono comunque gli avvenimenti e le grandi personalità della Rivoluzione Francese ad inaugurare definitivamente, secondo Gentile, l’era delle folle nella quale siamo immersi tutt’oggi (p. 125). La successiva politica bonapartista, fondata sulla costruzione di un rapporto costante tra capo e folla, e le teorizzazioni filosofiche e politiche di Marx, Tocqueville e LeBon, pur con giudizi discordanti sulla natura e la forza delle masse, ne riaffermarono la centralità  e l’impossibilità di prescindere da esse, all’interno della legittimazione politica (p. 149). L’epoca delle folle ha partorito, di conseguenza, l’epoca dei capi: persone che, a partire da Napoleone (p.125), cercarono l’identificazione ed il contatto diretto con la folla, influenzandola e direzionandone l’azione tramite l’uso di numerosi strumenti.

Le masse novecentesche che, negli anni Venti, parevano consegnare al mondo una democrazia rappresentativa resa stabile (p. 159) anche tramite il loro consenso, portarono ad uno sviluppo totalmente diverso ed alla svolta totalitaria. Le masse, durante questo secolo, furono trascinate nello scontro ideologico della Seconda Guerra Mondiale e lottarono su entrambi i fronti: fascismi e democrazie infatti fecero entrambi leva sulla mobilitazione delle masse e sul rapporto del capo con la folla.

 

“Del popolo, dal popolo, per il popolo”

Se l’Ottocento ha dato i natali all’epoca delle folle, il Novecento, nella trattazione di Gentile, emerge come il periodo nel quale il rapporto tra capo e folle si è sviluppato più velocemente; dai fireside chat di Roosevelt alle apparizioni televisive di Kennedy e De Gaulle vi fu un costante sforzo di creare un contatto personale con le masse (p. 176). Contatto tra capo e folla divenuto reale nelle ultime esperienze trattate dallo storico nel testo: quelle appunto di Kennedy e De Gaulle, che diedero vita a due esperimenti di personalizzazione della politica tramite il consenso popolare. Con questi due esempi si chiude il cerchio di un’opera che ha preso avvio dal problema della personalizzazione della democrazia, che stiamo sperimentando nell’attuale momento, e dal conseguente rischio di passare da un sistema partecipativo ad uno recitativo.

Lo sviluppo della componente recitativa, in un sistema democratico, è dovuto anche all’egemonia di un capo capace di svuotare di significato le ideologie, incentrando su di sé la lotta politica poggiandosi su fattori che esulano dalla politica in senso stretto ma rilevanti in un ambiente demagogico e populista. Nel contesto di quest’opera, si evince come alcune esperienze di personalizzazione della politica e della democrazia non si siano rivelate negative o dannose al sistema stesso ma anzi gli abbiano ridato slancio. Il confine tra il governo di un forte capo democratico e lo scivolare in una democrazia recitativa dove, sottolinea giustamente Gentile, non viene negata la libera scelta dei governanti ma «la si rende irrilevante per la politica del capo dopo l’elezione al governo» (p. 205) è sottile ed è difficile fare previsioni a priori.

Come già detto, lo scopo del libro è favorire una migliore comprensione della contemporaneità fornendo esempi di diverso stampo e sottolineando, tramite il racconto storico, come la formula Del popolo, dal popolo, per il popolo possa assumere diverse forme e sviluppi che spaziano da un estremo all’altro. La comprensione e l’interpretazione della contemporanea crisi democratica si deve fondare anche su quello che pare essere uno dei principali assunti del libro di Gentile: la personalizzazione della politica, lo stretto rapporto tra capo e folla, la perdita della discriminante ideologica, la nascita di leader politici che creano il consenso con la propria persona più che con le idee, in breve: la dialettica tra capo e folla, in un contesto democratico è un rischio ed emerge in momenti di crisi della democrazia.

L’esempio più brillante che viene fornito da Gentile è quello degli anni Trenta e Quaranta del Novecento, dove i capi e folle si sono orientati verso due direzioni opposte per poi scontrarsi, dove l’esistenza della democrazia venne seriamente messa in discussione e minacciata. Franklin Delano Roosevelt raggiunse un’identificazione ed un rapporto con la popolazione americana ancora oggi difficilmente eguagliabile e, nonostante ciò, fu uno dei difensori della democrazia occidentale. All’opposto, Hitler utilizzando i moderni mezzi propagandistici ed uno stretto rapporto con le folle, istituì un fortissimo regime incentrato sulla sua figura che attentò deliberatamente ai valori democratici. 

La democrazia recitativa è, ad oggi, ancora solamente un rischio e l’importanza dei capi nella politica contemporanea non va diagnosticata come la fine stessa della democrazia; è però innegabile che sul mondo occidentale esista lo spettro di un regime democratico recitativo e acritico nei confronti dei suoi capi. Su questo cerca di focalizzare l’attenzione l’opera di Gentile, fornendo una sintesi, scorrevole ma precisa, delle esperienze e delle percezioni democratiche nella storia del mondo occidentale, senza cadere in giudizi unilaterali su personaggi ed eventi presi in considerazione ma facendo sempre riferimento ai valori democratici; metro di valutazione di fatti e personaggi giusto ed inevitabile in un’opera che ha lo scopo di fornire una chiave interpretativa della democrazia contemporanea e della sua crisi.


[1]R. S. Foa, Y. Mounk, The democratic disconnect, “Journal of Democracy”, Volume 27, Numero 3, Giugno 2016, pp. 5-17, pp. 8-9

[2]E. Zola, Germinale, Einaudi, Torino 1994 pp. 360-362

Scritto da
Pietro Dalmazzo

Nato a Sanremo nel 1993. Studia scienze storiche presso l'Università di Bologna, dove si è laureato nel 2015 in storia con una tesi sui rapporti tra Italia e Kosovo negli anni '90. Ha preso parte al progetto Erasmus presso l'Università di Gand nell'anno accademico 2016/2017, precedentemente ha collaborato con East Journal ed è un grande appassionato di viaggi.

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