La nuova Babilonia a prova di futuro: città e cambiamento climatico
- 23 Luglio 2017

La nuova Babilonia a prova di futuro: città e cambiamento climatico

Scritto da Giuseppe Palazzo

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Gli impatti del cambiamento climatico sulle città sono tanti, pesanti, e sotto gli occhi di tutti: inquinamento, ondate di calore, inondazioni, eventi atmosferici estremi, distruzione di case e infrastrutture, nonché l’innalzamento del mare, molto pericoloso per le coste popolose, come quelle italiane.[1] A ciò bisogna aggiungere i continui processi che ridisegnano il profilo dei grandi agglomerati urbani, rendendoli territori difficili da amministrare e organizzare, popolati da un’infinità di flussi e soggetti.

Con questo articolo si intende dunque proseguire il percorso di approfondimento dedicato al tema della città (si veda l’articolo “Progettare Babilonia”), al cui centro vi è l’intenzione di studiare quello stretto rapporto che lega la politica alle spazialità contemporanee, in primis il territorio urbano con le sue molteplici declinazioni e problematicità. Il cambiamento climatico rappresenta certamente una grande sfida che potenzialmente potrebbe portare a ridisegnare radicalmente moltissime città e territori. Il contesto urbano è infatti un ottimo punto di osservazione per la questione ambientale, poiché raccoglie tutti gli attori (istituzioni, imprese, cittadini) e settori (industria, trasporti, sanità, istruzione…) rilevanti. Inoltre le città sono responsabili del 70% delle emissioni globali [2].

Le città devono attuare sia misure di mitigazione sia di adattamento. Da un lato cercare di contenere gli impatti, dall’altro adattarvisi. Esempi di mitigazione sono l’aumento dell’efficienza energetica, in modo da ridurre la domanda e il consumo di energia; l’introduzione di generazione decentrata di energia rinnovabile (come il fotovoltaico) che consenta di essere meno vulnerabili a blackout dovuti a eventi atmosferici forti; l’aumento del verde e l’utilizzo di cemento più chiaro per contenere le isole di calore. Esempi di adattamento invece sono dighe, vasche di accumulo per evitare inondazioni, trasferimenti di abitanti da zone a rischio.[3]

Mitigazione e adattamento sono componenti della resilienza di cui le città devono dotarsi, mettendo al centro la relazione tra essere umano e ambiente. Resilienza non è solo assorbire gli impatti rimanendo stabili ma anche accettare i cambiamenti e farne delle opportunità. Resilienza non è solo resistere, ma anche e soprattutto cambiare. [4]

Tra le “città resilienti” è interessante prenderne in esame alcune alle prese con l’acqua, come Rotterdam. La città punta su infrastrutture multifunzionali e flessibili nelle periferie e sul riutilizzo di strutture già presenti, come garage sotterranei convertiti in depositi di acqua piovana, nel centro. Le watersquares, “piazze d’acqua”, creano laghi in presenza di acque in eccesso, le quali defluiscono poi in vasche sotterranee e infine nel suolo, così da ridurre il calore urbano e la siccità. Nel mentre lo spazio si svuota e torna a essere vera e propria piazza. L’acqua in eccesso viene usata per la salute del suolo, per creare spazi nuovi, dando così ai quartieri nuove identità. Con interventi di questo tipo e l’investimento nella città come punto di riferimento globale della resilienza, Rotterdam si trasforma e coglie opportunità.[5]

I costi di questi interventi non sono bassi ma gli investimenti rendono, come mostra anche New Orleans. Il suo Urban Water Plan costerà 6 miliardi di dollari ma i risparmi in alluvioni scongiurate, l’aumento del valore degli immobili e la riduzione dei premi assicurativi versati ammontano a quasi 9. Senza contare lo sviluppo di imprese specializzate nella gestione dell’acqua, in grado di esportare tecnologie, e i conseguenti benefici per l’economia. [6]

In Italia è degno di nota il progetto della “Roma Resiliente” della giunta Marino, che aveva iniziato a fare propri temi come la produzione di energia rinnovabile decentrata e il passaggio da risposte tradizionali alle piogge in eccesso, consistenti in strutture di cemento monofunzionali, a risposte green e polifunzionali. Il verde pubblico e le watersquares, ad esempio, sono meno costosi da realizzare e da mantenere e, oltre ad assorbire acqua in eccesso, riducono la temperatura dei microclimi, ricambiano l’ossigeno e abbelliscono, assolvendo perciò a più funzioni. [7]

Il cambiamento climatico porta quindi alla modifica di spazi urbani e in questo processo deve situarsi la politica, tra partecipazione e conflitti.

 

Sostenibilità tra partecipazione e conflitti

Il cambiamento climatico porta quindi ad una profonda modifica degli spazi urbani. In questo processo si fa politica e, insieme alla sperimentazione di nuove forme di partecipazione, nascono anche nuove conflittualità. Non a caso Milano, dalla giunta Pisapia in poi, ha deciso di puntare su misure per incoraggiare la coesione sociale. Essere una comunità è importante per la resilienza, come mostrato dalla reazione di New York all’uragano Sandy, che ha visto i cittadini aiutarsi spontaneamente rendendo disponibili gratuitamente alle persone in difficoltà i propri asset sottoutilizzati, come stanze e seconde case su Airbnb. Da qui nascono gli investimenti milanesi nella sharing economy e nell’uso di spazi sottoutilizzati per associazioni e start-up. [8]

La partecipazione cittadina, tramite consultazioni, workshop e tavoli con associazioni, non costituisce solo un metodo più democratico, è bensì una componente strategica, come dimostrato dalla reazione newyorkese a Sandy. Un altro importante esempio è Rosario in Argentina, dove la partecipazione è stata valorizzata proprio per costruire il consenso necessario ad evitare che i programmi nel lungo periodo perdessero propulsione [9]. Inoltre la partecipazione e le azioni “dal basso” sanno essere spontanee e sono facilitate da nuovi strumenti, quali le piattaforme online (Airbnb…) e le rinnovabili, dai costi calanti [10].

Non mancano i conflitti. Il sistema di funzionamento della città è radicato, non semplice da cambiare. Al riguardo è interessante il lavoro di Frank W. Geels, docente di System innovation and sustainability alla University of Manchester.

Geels lega da una parte gli aspetti sociali, politici e culturali e dall’altra gli aspetti tecnici in un cosiddetto socio-technical system, in cui gli aspetti sociali influenzano lo sviluppo e la scelta delle tecnologie e viceversa. Nel caso delle città, tecnologie e infrastrutture cambiano gli spazi e il modo di viverli. Le tecnologie influenzano come le attività sociali e produttive vengono svolte, come si coordinano e come sono i rapporti tra i diversi gruppi sociali intenti in queste attività. Le tecnologie sono “istituzionalizzate”. Un’innovazione radicale, portatrice anche di nuovi rapporti tra i gruppi sociali (si pensi, ad esempio, alla rivoluzione industriale), può emergere se matura al momento giusto, cioè quando il sistema non riesce a risolvere i problemi che si presentano, come il cambiamento climatico [11].

Ma il sistema tende a preservare se stesso. Non solo per le abitudini radicate ma per posizioni acquisite, investimenti già fatti e rapporti di potere consolidati, in particolare tra i policymakers e il mondo industriale. Rapporti radicati nel modo di pensare di tutte le parti del sistema. Si tratta di un’egemonia culturale che non solo determina di cosa si parla, quali sono i problemi, ma anche come se ne parla, lo schema in cui collocare i problemi e gli strumenti per risolverli. Un esempio di questa egemonia culturale è che si tende a confinare questioni come clima, energia e città nel campo della tecnica e degli esperti, mentre le scelte su questi temi sono politiche e legate a un modo di vedere il mondo e le città [12].

Passando a discorsi meno teorici, vi sono vari esempi di conflitto. Può esservi tra gruppi che vedono la resilienza in modo diverso o che la vedono come un gioco a somma zero (la mia resilienza ai danni della tua). In una baraccopoli di Gorakhpur, in India, gli abitanti più benestanti hanno costruito muri per evitare che le inondazioni danneggino le loro proprietà, aumentando però il disagio per i vicini più poveri. Il conflitto è anche tra breve e lungo periodo: pensare alla resilienza nei confronti di stress attuali può rendere il sistema poco flessibile per adattarsi ad altri stress futuri. Senza contare le pressioni per dare priorità ad altri temi o migliorare le condizioni di vita odierne. Non sempre il cambiamento climatico è visto come un problema principale e, in certi casi, si parla di scongiurare impatti ambientali futuri, di natura incerta, con benefici quindi nel futuro, lontano dalla contingenza e oltre le prossime elezioni. [13] Tuttavia il tempo è poco e saranno i sindaci di oggi e dei prossimi anni a influenzare l’entità degli impatti futuri [14].

Tutti ostacoli che sono più forti nei Paesi poveri (che saranno i più colpiti), dove vi sono anche emergenze o necessità diverse legate di più allo sviluppo economico. L’India dà degli esempi. In questi contesti i contrasti tra i gruppi sociali possono essere più aspri, come mostrano le difficoltà nel processo partecipativo a Maheva, dove dialogare da pari a pari con membri di altre caste era vissuto male. Le ingiustizie dovute a rapporti di potere squilibrati possono essere più diffuse, come ad Indore, dove la risoluzione del problema della scarsità d’acqua è stata ostacolata dal capo politico locale, che si assicurava i voti fornendo lui stesso l’acqua. Sono situazioni che mostrano quanto le misure per l’ambiente siano a supporto delle fasce più deboli e quanto la resilienza preveda un riequilibrio nelle relazioni di potere, come mostrato anche da interventi sul campo a supporto di azioni collettive. [15]

 

Istituzioni sensibili e lungimiranti

Inoltre la resilienza ai cambiamenti climatici riguarda più settori (trasporti, industria, edilizia, salute…) e quindi l’approccio istituzionale deve cambiare. Occorre “un’integrazione delle tematiche, dei settori e della tecnologia” [16]. Da questo punto di vista molte città hanno poche risorse da investire per il clima [17] o le aree di competenza sono troppo accentrate nella capitale [18]. Rosario ha avuto l’idea di dividere il progetto in singole azioni realizzabili sul territorio con percorsi partecipativi, così da impedire alle lungaggini amministrative di rallentare troppo la messa in opera e di logorare l’interesse dei cittadini [19]. Serve un equilibrio tra decentramento, per dare strumenti a città e quartieri, e accentramento, per dare visione complessiva del problema sul territorio più vasto [20].

Concludendo, si può dunque affermare che occorre valorizzare i cittadini e le periferie [21] soggetti e spazi strategici nella risoluzione di problemi legati alla sostenibilità, nonché elementi cardine per costruire una diversa vita di comunità. In generale tutti i passi avanti fatti dalle città nella storia derivano dalle domande dei cittadini e dalle risposte di amministrazioni sensibili. Passi avanti che, seppur non legati al tema ambientale, hanno aumentato la resilienza, come infrastrutture (reti fognarie, energia, parchi…) e servizi (raccolta rifiuti, scuole, ospedali…) [22]. Senza contare il ruolo sociale delle imprese e del settore privato, necessario per competenze e finanziamenti [23].

“La pianificazione urbanistica è il supporto fisico alle trasformazioni sociali e la sostenibilità ambientale è una misura delle possibilità del futuro cittadino” [24].


[1] Mezzi Pietro, Pelizzaro Piero, La città resiliente, Altra Economia Soc. Coop., Milano, ottobre 2016

[2] Intervento di Caterina Sarfatti, strategic program manager di C40 Cities Climate Leadership Group, al dibattito “Clima che cambia. Obiettivi dopo gli Accordi di Parigi” presso la Festa de l’Unità di Milano Metropolitana, 17 luglio 2017

[3] Mezzi Pietro, Pelizzaro Piero, La città resiliente, Altra Economia Soc. Coop., Milano, ottobre 2016

[4] Idem

[5] Idem

[6] Idem

[7] Idem

[8] Idem

[9] Hardoy Jorgelina, Ruete Regina, Incorporating climate change adaptation into planning for a liveable city in Rosario, Argentina, Environment & Urbanization, Vol. 25(2), pag. 339-60, International Institute for Environment and Development (IIED), 2013

[10] Mezzi Pietro, Pelizzaro Piero, La città resiliente, Altra Economia Soc. Coop., Milano, ottobre 2016; Ruggieri Gianluca, Monforti Fabio, Civiltà solare. L’estinzione fossile e la scossa delle rinnovabili, Altra Economia Soc. Coop., settembre 2016

[11] Geels Frank W., Processes and patterns in transitions and system innovations: Refining the co-evolutionary multi-level perspective, Technological Forecasting & Social Change 72, pag. 681-96, 2005

[12] Geels Frank W., Regime Resistance against Low-Carbon Transitions: Introducing Politics and Power into the Multi-Level Perspective, Theory, Culture & Society, Vol 31(5), pag. 21-40, Special Issue: Energy and Society, 2014

[13] Bahadur Aditya, Tanner Thomas, Transformational resilience thinking: putting people, power and politics at the heart of urban climate resilience, Environment & Urbanization, Vol. 26(1), pag. 200-14, International Institute for Environment and Development (IIED), 2014

[14] Intervento di Caterina Sarfatti, strategic program manager di C40 Cities Climate Leadership Group, al dibattito “Clima che cambia. Obiettivi dopo gli Accordi di Parigi” presso la Festa de l’Unità di Milano Metropolitana, 17 luglio 2017

[15] Bahadur Aditya, Tanner Thomas, Transformational resilience thinking: putting people, power and politics at the heart of urban climate resilience, Environment & Urbanization, Vol. 26(1), pag. 200-14, International Institute for Environment and Development (IIED), 2014

[16] Mezzi Pietro, Pelizzaro Piero, La città resiliente, Altra Economia Soc. Coop., Milano, pag. 125, ottobre 2016

[17] Hardoy Jorgelina, Ruete Regina, Incorporating climate change adaptation into planning for a liveable city in Rosario, Argentina, Environment & Urbanization, Vol. 25(2), pag. 339-60, International Institute for Environment and Development (IIED), 2013

[18] Bahadur Aditya, Tanner Thomas, Transformational resilience thinking: putting people, power and politics at the heart of urban climate resilience, Environment & Urbanization, Vol. 26(1), pag. 200-14, International Institute for Environment and Development (IIED), 2014

[19] Hardoy Jorgelina, Ruete Regina, Incorporating climate change adaptation into planning for a liveable city in Rosario, Argentina, Environment & Urbanization, Vol. 25(2), pag. 339-60, International Institute for Environment and Development (IIED), 2013

[20] Mezzi Pietro, Pelizzaro Piero, La città resiliente, Altra Economia Soc. Coop., Milano, ottobre 2016

[21] Idem

[22] Satterthwaite David, The political underpinnings of cities’ accumulated resilience to climate change, Environment & Urbanization, Vol. 25(2), pag. 381-91, International Institute for Environment and Development (IIED), 2013

[23] Mezzi Pietro, Pelizzaro Piero, La città resiliente, Altra Economia Soc. Coop., Milano, ottobre 2016; Hardoy Jorgelina, Ruete Regina, Incorporating climate change adaptation into planning for a liveable city in Rosario, Argentina, Environment & Urbanization, Vol. 25(2), pag. 339-60, International Institute for Environment and Development (IIED), 2013

[24] Hardoy Jorgelina, Ruete Regina, Incorporating climate change adaptation into planning for a liveable city in Rosario, Argentina, Environment & Urbanization, Vol. 25(2), pag. 339-60, International Institute for Environment and Development (IIED), pag. 357, 2013

Scritto da
Giuseppe Palazzo

Laureato in Scienze Internazionali e Istituzioni Europee presso l’Università degli Studi di Milano, si è poi specializzato nel settore energetico, conseguendo un MSc in Global Energy and Climate Policy presso la SOAS University of London e un master in Energy Management presso il MIP Politecnico di Milano. Ha intrapreso percorsi legati alle politiche pubbliche ed europee, presso ISPI e Scuola di Politiche, e legati alla regolazione del settore energetico italiano presso l’Università di Siena. Ha lavorato come consulente in BIP, ora è project manager per le attività internazionali di RSE (Ricerca sul Sistema Energetico), dipartimento Sviluppo sostenibile e Fonti energetiche.

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