Scritto da Luca Picotti
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L’Unione Europea, a partire dal 23 febbraio 2022, due giorni dopo il riconoscimento da parte di Mosca delle repubbliche indipendentiste di Donetsk e Luhansk, ha approvato una serie di pacchetti di sanzioni volti a colpire persone fisiche e giuridiche legate alla Federazione Russa, nonché a limitare i rapporti commerciali tra gli Stati membri e quest’ultima, al dichiarato scopo di «weaken Russia’s economic base, depriving it of critical technologies and markets, and significantly curtailing its ability to wage war»[1].
Tali sanzioni non rappresentano una novità. Il quadro giuridico era, invero, già stato delineato nel 2014, dopo l’annessione della Crimea. Già in quel frangente gli organi comunitari avevano deciso di sanzionare la Federazione Russa, per quanto in misura decisamente più contenuta rispetto alla situazione attuale. Il nuovo regime rappresenta, in altre parole, una integrazione del vecchio apparato sanzionatorio, che porta però l’asticella della guerra economica su un altro livello: gli ordini di grandezza delle misure adottate – considerato anche che l’economia bersaglio non è rappresentata da un Paese minore, bensì dalla Russia, realtà centrale nell’export di commodity, tanto che mai prima nella storia si era registrato un intervento simile nei confronti di un attore di primo piano – inducono a pensare che si tratti di un punto di non ritorno. O comunque di una svolta decisiva, anche perché, come si vedrà, molte misure rispondono a logiche di medio-lungo periodo. Elementi, questi, che impongono una riflessione su natura, funzionamento e obiettivi di queste sanzioni.
A titolo di premessa, va specificato che, nel panorama internazionale delle sanzioni, si è soliti distinguere tra due tipologie. In primo luogo, troviamo quelle multilaterali adottate dall’ONU (art. 41 della Carta), che possono vantare un’applicazione estesa a tutti i Paesi, utilizzate ad esempio nei confronti dell’Iraq ai tempi dell’invasione del Kuwait o della Repubblica Federale di Iugoslavia sempre negli anni Novanta. Tali sanzioni rappresentano uno di quei pochi casi in cui la comunità internazionale riesce a trovare una sorta di convergenza; ma si tratta solo di una piccola parte: ad esempio, le Nazioni Unite non potrebbero mai approvare un pacchetto di sanzioni contro la Russia, perché questa dispone del potere di veto in seno al Consiglio di sicurezza. Difatti, la recente iniziativa dell’Unione Europea, così come quella parallela di Stati Uniti, Giappone, Regno Unito e altri Paesi, non si inserisce nel contesto di una risoluzione delle Nazioni Unite. I limiti del diritto internazionale sono ben evidenti.
Entra dunque in gioco l’altra tipologia di sanzione, dal volto più squisitamente geopolitico: quella autonoma o unilaterale, in quanto ascrivibile unicamente alla politica estera del singolo Stato o della singola organizzazione sovranazionale, come nel caso dell’Unione Europea; con la conseguenza, però, che l’ambito di applicazione della stessa concernerà, in via teorica, solo quello proprio della jurisdiction della determinata realtà che la adotta: le sanzioni unilaterali non potranno, dunque, considerarsi applicabili nei confronti di imprese appartenenti a Stati che non le hanno adottate, bensì solo a quelle che, per l’appunto, soggiacciono alla giurisdizione del Paese sanzionante[2] (nessuno potrebbe, di fatto, sanzionare l’impresa indiana che decide di commerciare con la Russia).
Il tema della giurisdizione è fondamentale e si intreccia con quello dell’impotenza del diritto internazionale: uno Stato ha, semplificando, poteri solo nel proprio territorio o verso le proprie imprese. L’extra-territorialità è un lusso che solo l’impero statunitense può concedersi, tanto che vi è un ampio dibattito sulla pretesa da parte di Washington di un’applicazione delle proprie sanzioni a soggetti non americani, per mezzo dell’utilizzo del potere del dollaro e, in generale, del proprio ruolo centrale nelle catene del valore – aspetto che ha causato diversi attriti anche con gli alleati europei –.
Pertanto, per chi non è gli Stati Uniti d’America, il rapporto tra diritto, geografia e sanzioni è ineludibile. Il funzionamento stesso delle sanzioni lo suggerisce: da un punto di vista pratico – si pensi alle sanzioni adottate dall’Unione Europea nei confronti della Russia – ad essere sanzionata non sarà tanto l’impresa russa che stipula, ad esempio, un contratto di acquisto di tecnologie dual-use con un’impresa italiana (lo Stato italiano non ha poteri sull’impresa russa), bensì quest’ultima, con l’effetto paradossale per cui, di primo acchito, verrebbe da dire che è lo Stato a sanzionare le proprie imprese; in realtà, il risultato va valutato sul piano degli effetti: la mancata stipula da parte dell’impresa italiana di un contratto con l’impresa russa a causa della sanzione che ne deriverebbe comporterà, indirettamente, un’esclusione dell’impresa russa da determinati scambi commerciali. In ogni caso, questo non toglie i riflessi sovente antieconomici insiti allo strumento geopolitico delle sanzioni.
Per quanto concerne più nello specifico l’azione europea, l’Unione utilizza lo strumento dei regolamenti per comminare sanzioni contro Paesi terzi o altri attori non statali. Il fondamento giuridico di tali regolamenti si rinviene dal combinato disposto dell’art. 29 TUE, regolante le decisioni del Consiglio in ambito di politica estera e di sicurezza comune (PESC), e dell’art. 215 TFUE. Si tratta, insomma, di uno di quei pochi casi in cui la PESC, contenitore il più delle volte vuoto, trova ragion d’essere, anche se con diversi limiti: da un lato, le sanzioni europee alla Russia sono più un effetto della politica NATO che di una politica estera europea in senso stretto; dall’altro, sono frutto di diversi compromessi tra i singoli Paesi (si pensi al petrolio per l’Ungheria o l’Austria); infine, rimane in capo agli Stati membri la non trascurabile parte esecutiva (ossia, punire eventuali violazioni del regime sanzionatorio con misure amministrative e/o penali) e quella delle autorizzazioni in deroga (autorizzare le imprese in singoli casi concreti a procedere con le transazioni con i soggetti russi).
Come si diceva, la cornice su cui le recenti sanzioni adottate dall’Unione Europea vanno ad inserirsi è stata delineata nel 2014. In particolare, in quel frangente furono emanati tre Regolamenti, ancora oggi in vigore:
1) con riferimento a singole persone fisiche o giuridiche russe, ucraine e della Crimea, coinvolte nell’annessione illegale dell’inverno 2014, è stato emanato il Regolamento (UE) n. 269/2014, riguardante misure restrittive relative ad azioni che compromettono o minacciano l’integrità territoriale, la sovranità e l’indipendenza dell’Ucraina (si tratta delle misure cosiddette soggettive, volte a congelare beni e fondi di singoli individui o enti);
2) con specifico riguardo ai rapporti commerciali con la Crimea e Sebastopoli, e in particolare alla fornitura di particolari beni e tecnologie o assistenza tecnica e finanziaria da parte dell’Unione Europea, è stato adottato il Regolamento (UE) n. 692/2014, concernente restrizioni sulle importazioni nell’Unione di merci originarie della Crimea o Sebastopoli, in risposta all’annessione illegale della Crimea e di Sebastopoli;
3) infine, per quanto concerne più in generale gli scambi con la Russia, è stato emanato il Regolamento (UE) n. 833/2014, avente ad oggetto misure restrittive in considerazione delle azioni della Russia che destabilizzano la situazione in Ucraina, volto a impedire, tra gli altri, l’export di prodotti cosiddetti dual-use, l’assistenza finanziaria circa determinati beni, l’accesso ai mercati dei capitali europei di soggetti russi (quest’ultimo regolamento rappresenta il testo più corposo e pregnante in tema di sanzioni alla Russia, in quanto contiene le principali misure oggettive legate all’import-export).
Dopodiché, per quanto concerne l’azione concreta portata avanti dall’Unione Europea dopo il 24 febbraio 2022, si tratta perlopiù di integrazioni e aggiunte rispetto al quadro già delineato nel 2014. In particolare, l’Unione Europea ha implementato otto pacchetti di sanzioni, più alcune misure accessorie, con una progressiva estensione di soggetti e settori colpiti.
Nel complesso, le sanzioni europee presentano una struttura piuttosto articolata: vi sono misure personali (ad esempio, il congelamento di beni delle persone listate), misure che fissano limiti geografici (divieto per i vettori russi di entrare nello spazio aereo europeo), misure che incidono sul settore finanziario (esclusione di talune banche russe dal sistema SWIFT), misure che impediscono l’import e export di determinati beni (tra gli altri, l’import di carbone e l’export di beni dual-use), misure contro organi di informazione (divieto di trasmissioni per Sputnik)[3].
Soprattutto per quanto concerne l’intervento sugli scambi import-export, è possibile ravvisare uno schema per certi versi lineare, al netto delle differenze tra singoli beni e settori interessati: vi è, in primo luogo, la previsione del divieto, che può concernere l’import (ad esempio, l’import di acciaio dalla Russia) o l’export (ad esempio, l’export di beni di lusso in Russia); dopodiché, vi è un termine entro cui provvedere all’esecuzione dei contratti, sì da garantire una cornice minima di certezza per quanto concerne gli accordi già conclusi o comunque in corso di esecuzione; infine, vi sono le deroghe ai divieti, che si traducono in autorizzazioni per casi specifici (umanitari, sanitari, civili) o in vere e proprie previsioni derogatorie riferite a determinati beni, in modo da mantenere un approvvigionamento considerato essenziale e momentaneamente non rinunciabile (ad esempio, per il gas naturale o per i fertilizzanti o per i minerali di ferro).
Si è discusso molto sull’efficacia o meno di tali sanzioni. Il più delle volte, però, il problema è stato mal posto. Prima di parlare di efficacia, bisogna considerare quale è la ratio delle predette sanzioni. In altre parole: che scopo intendono raggiungere. Solo una volta accordatisi sul target si può, eventualmente, discutere di efficacia o meno. Perché è chiaro che se l’obiettivo fosse quello di fermare Putin hic et nunc, si potrebbe senz’altro discutere di inefficacia. Però, già solo se si sposta il target, ossia nel senso di un indebolimento dell’economia Russia nel medio-lungo periodo in modo da impedire che altre guerre siano promosse in futuro (e al contempo dimostrando che una simile aggressione non rimane senza conseguenze, nonché sottoponendo comunque a forti pressioni l’attuale regime), tali sanzioni appaiono sotto una luce diversa: vi sono diversi studi, si pensi a quello dei ricercatori dell’Università di Yale[4], che hanno sottolineato l’impatto negativo delle restrizioni sull’export in Russia di tecnologie occidentali su diversi settori (chip, automotive, industria dei trasporti, raffinazione). Il discorso è, prima di tutto, un discorso di obiettivi – al netto poi dell’opportunità o meno, su cui qui non ci si intende soffermare –.
Ad una analisi complessiva delle sanzioni adottate dall’Unione Europea, pare abbastanza evidente che la grammatica sottostante ragioni in un’ottica di medio-lungo periodo, tanto da fare ritenere, come si è accennato all’inizio di questo contributo, che si stia andando verso un punto di non ritorno o quasi in termini di decoupling tra Unione Europea e Russia. Diversi elementi suggeriscono tale conclusione: ad esempio, proprio i divieti di export di beni, tecnologie e servizi in ambito tecnologico, che paiono funzionali a privare l’industria russa delle componenti e del know-how necessari per assolvere al proprio ruolo di esportatrice globale. In particolare, se si pensa ai divieti in tema di prodotti per raffinazione e altre attività inerenti all’estrazione di idrocarburi, è chiaro che tale misura incida alla radice sulle capacità russe di esportare: aspetto che indica come nei prossimi cinque/dieci anni, presumibilmente, l’Unione Europea vorrà essersi quasi definitivamente affrancata dalle risorse di Mosca. A indicare tale raggio temporale concorre anche il non trascurabile fatto che l’intero pacchetto di sanzioni risulta in parte inficiato alla radice da numerose deroghe per l’approvvigionamento nel breve periodo: sul lato delle materie prime (gas in primo luogo) l’Unione Europea, non potendosi sganciare da un giorno all’altro dalla Russia, ha mantenuto i rapporti con Mosca. Nel breve periodo, in sostanza, tali beni servono ancora. Nel medio-lungo, quando dovrebbero sentirsi con maggiore incidenza le sanzioni sulle capacità industriali russe, l’obiettivo sarà quello di essersi affrancati per tempo con il ricorso a fornitori alternativi (a seconda dei beni, Stati Uniti, Australia, Canada e Nord Africa).
Nel complesso, e in sintesi, per quanto concerne le sanzioni europee è possibile ravvisare le seguenti caratteristiche:
1) Sotto il profilo finanziario, presentano una marcata assertività, stante il predominio occidentale sui mercati dei capitali e i circuiti bancari. Motivo per cui l’Unione Europea ha adottato diverse misure incisive, dall’esclusione di numerosi istituti di credito russi dal circuito SWIFT al divieto di transazioni con la Banca centrale russa.
2) Sul lato dell’import, per quanto i settori siano stati progressivamente estesi – dal legname al cemento ai prodotti ittici, sino al carbone e, da ultimo, il petrolio – vi sono comunque numerose deroghe, a tradire la debolezza dell’Unione Europea sul fronte delle materie prime: se molto è stato fatto, allo stesso tempo non era immaginabile un decoupling totale e immediato, salvo perdere approvvigionamenti essenziali; in altre parole, molti rapporti tra l’Unione Europea e la Russia sono rimasti, per necessità, intatti o quasi.
3) A ciò si aggiunga che, comunque, sono stati previsti diversi termini di decorrenza dell’efficacia delle sanzioni, in modo da non inficiare i contratti già conclusi o in corso di esecuzione. Sicché, gran parte delle misure ha iniziato a prendere forma effettiva solo dopo l’estate o, si pensi al petrolio, addirittura da dicembre 2022.
4) Sotto il profilo dell’export, l’Unione Europea ha via via coinvolto sempre più beni e settori, tanto che l’import russo ha subito un drastico calo. Su questo piano si gioca la partita essenziale del medio-lungo periodo: vale a dire, l’isolamento economico di Mosca, privata delle tecnologie necessarie per alimentare la propria industria; si pensi al divieto di fornire beni e tecnologie che possano giovare all’industria marittima e aeronautica russa (così da fare mancare al Paese pezzi di ricambio o proprio i mezzi di trasporto stessi, considerato anche che molti erano dati a nolo da compagnie europee o americane che, presumibilmente, avranno risolto i relativi contratti); oppure al divieto di fornire tecnologie per la raffinazione ed estrazione di idrocarburi, misura finalizzata a colpire il segmento cruciale dell’economia russa. Se Mosca non riuscirà a sostituire i predetti beni (ad esempio rivolgendosi a Pechino), tali misure si riveleranno tra le più efficaci in termini di indebolimento complessivo della Russia, anche sotto il profilo militare, considerato il divieto di export di beni dual-use.
Non è azzardato sostenere che si tratti del più imponente pacchetto sanzionatorio mai adottato dall’Unione Europea, al netto poi dei limiti evidenziati. L’obiettivo di isolare un’economia vasta come quella russa – perché non è solo il PIL che conta; le materie prime sono cruciali – rappresenta una sfida foriera di incognite. In questa sede non si è voluto entrare nel merito dell’opportunità o meno di dette sanzioni. Ci si è limitati ad un contributo di stampo introduttivo, sì da comprendere fonte, ratio, funzionalità e profili principali dell’apparato sanzionatorio adottato dall’Unione Europea. Considerato che è difficile pensare a passi indietro nel breve periodo, è fondamentale abituarsi all’idea di un mercato globale costellato da sanzioni, con tutte le incertezze del caso, e provare, pertanto, a capirne i meccanismi.
[1] EU response to Russia’s invasion of Ukraine – Consilium (europa.eu)
[2] Cfr. Antonio Leandro, I rapporti internazionali d’impresa al vaglio delle misure restrittive adottate dall’Unione Europea in occasione del conflitto russo-ucraino, «Diritto del commercio internazionale», 2/2022, pp. 243-276.
[3] Cfr. Antonio Leandro, I rapporti internazionali d’impresa al vaglio delle misure restrittive adottate dall’Unione europea in occasione del conflitto russo-ucraino, op. cit.
[4] Jeffrey A. Sonnenfeld et al, Business Retreats and Sanctions Are Crippling the Russian Economy. Measures of Current Economic Activity and Economic Outlook Point to Devastating Impact on Russia, Yale University, agosto 2022.