“Contro lo smartphone” di Juan Carlos De Martin
- 02 Gennaio 2024

“Contro lo smartphone” di Juan Carlos De Martin

Recensione a: Juan Carlos De Martin, Contro lo smartphone. Per una tecnologia più democratica, Prefazione di Gustavo Zagrebelsky, add editore, Torino 2023, pp. 200, 18 euro (scheda libro)

Scritto da Francesco Manfrida

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«Siamo stati abituati a non farci tante domande sulla tecnologia. La tecnologia arriva e noi ci limitiamo ad adottarla, nel qual caso siamo per il “progresso”, oppure la critichiamo, nel qual caso siamo “conservatori”, se non addirittura luddisti» (p. 179).

Nel suo saggio Contro lo smartphone. Per una tecnologia più democratica, nonostante il titolo volutamente provocatorio, Juan Carlos De Martin non si schiera tra le fila dei conservatori-luddisti, ma neppure tra coloro che abbracciano aprioristicamente l’innovazione tecnologica in quanto tale. Adottando un approccio quanto più tecnico e imparziale, immune da giudizi manichei nell’uno o nell’altro senso, l’autore conduce un’analisi critica sullo smartphone, non solo ripercorrendo brevemente le tappe che hanno portato alla sua affermazione, ma soprattutto focalizzandosi sugli aspetti inerenti alla sua produzione, utilizzo e smaltimento, e offrendo infine degli spunti per ripensare il funzionamento attuale del mercato degli smartphone.

Enfant prodige della tecnologia, in soli sedici anni di vita, a partire dal primo modello di iPhone prodotto da Apple nel 2007, lo smartphone si è diffuso in modo capillare – anche se disomogeneo –in tutto il mondo, diventando l’innovazione tecnologica emblema del terzo millennio e, più di ogni altra nella storia, non solo strumento utile, ma anche indispensabile per vivere. Fare shopping online, prenotare biglietti per eventi o viaggi, gestire le proprie comunicazioni personali o professionali sono solo alcune delle attività che nell’arco dell’ultimo decennio sono state assorbite dallo smartphone, ormai troppo semplici e “a portata di clic” per essere svolte altrimenti.

Proprio in virtù di questa pervasività, De Martin ritiene necessario che tutti coloro che utilizzano lo smartphone – e in ogni caso, tutti – ne conoscano, oltre alle funzionalità e alle app che adoperano quotidianamente, le diverse componenti fisiche e software che, giocoforza, per via dell’elevata complicatezza tecnica, generalmente ignorano. Solo una cognizione adeguata dello strumento tecnologico – a maggior ragione se complesso benché apparentemente piccolo, intuitivo e innocuo come lo smartphone – può garantire un utilizzo consapevole, sicuro ed etico dello stesso. Con questo libro, dunque, l’autore – professore ordinario di ingegneria informatica al Politecnico di Torino, dove ha fondato il Centro Nexa su internet e società, e ideatore e curatore di Biennale Tecnologia – esce figurativamente dalle aule universitarie per veicolare al lettore medio, in modo semplice e chiaro, concetti che spesso gli sono sconosciuti, ma di cui chiunque può giovarsi per comprendere le conseguenze, soprattutto quelle negative, dell’utilizzo dello smartphone, e potersene difendere al meglio. Lo stile e la struttura del saggio, lineari e sufficientemente concisi nelle descrizioni tecnico-informatiche, si adattano perfettamente alla finalità didattica di questa peculiare lectio extra moenia.

Da un punto di vista strutturale, l’analisi dello smartphone inizia dall’indicazione e dalla spiegazione delle numerose parti che lo compongono. Nella prima parte, intitolata non a caso Anatomia dello smartphone, l’autore impugna metaforicamente un bisturi per farsi chirurgo che, con la proverbiale precisione, seziona un oggetto che, percepito comunemente come un semplice «luccicante parallelepipedo» (p. 31), è in realtà un insieme di complesse componenti elettroniche: lo schermo tattile, la batteria, il SOC (system-on-a-chip), la memoria (rectius: le memorie), la macchina video-fotografica, l’audio, il sistema operativo, i vari sensori (di prossimità, il misuratore di luminosità ambientale, il giroscopio, il magnetometro), la connettività senza fili e, dulcis in fundo, il sistema operativo e le app. Per ognuno di tali elementi, De Martin fornisce una descrizione tecnica, necessaria per comprenderne il funzionamento, e accenna a problematiche specifiche. Ad esempio, lo schermo “capacitivo”, ossia sensibile al tocco, spesso non funziona con le dita di molti anziani che hanno la pelle troppo secca per condurre elettricità a sufficienza; la batteria, sostanzialmente inaccessibile e difficilmente removibile dall’interno dello smartphone – a differenza di quanto accadeva per i “vecchi” cellulari – può essere ricaricata qualche centinaio di volte prima di ridurre la propria capacità, e lo smaltimento, se non effettuato correttamente, è fonte di potenziali danni ambientali; gli accessori audio, in particolar modo cuffie e auricolari senza fili – gli unici compatibili con gli smartphone di nuova generazione, sprovvisti della presa dove si inserivano un tempo gli auricolari tradizionali – hanno una vita media molto breve, di due o tre anni, e finiscono per incrementare i rifiuti elettronici nelle discariche.

Segue la descrizione del ciclo di vita dello smartphone, a partire dalla “nascita”, sia con riferimento alla sua storia che alla produzione materiale. In senso storico, De Martin ne individua i precursori, dalle prime calcolatrici elettroniche palmari degli anni Sessanta, seguite dagli handheld computer degli anni Ottanta, fino ai telefoni cellulari, diffusisi a partire dagli anni Novanta. A cavallo del nuovo millennio, molte imprese produttrici di telefoni – di cui moltissime europee, come l’azienda finlandese Nokia, quella tedesca Siemens e quella svedese Ericsson – hanno provato a rendere più “intelligenti” i propri cellulari; non è un caso che il termine “smartphone” sia stato utilizzato per la prima volta da Ericsson nel 1997 in occasione del lancio del modello GS88 (p. 74). Si trattava tuttavia di dispositivi ancora poco performanti dal punto di vista informatico, a causa di limiti tecnici come la bassa potenza di calcolo e la scarsa velocità di connessione internet. Ciononostante, grazie agli antenati dello smartphone odierno è diventato sempre più normale per milioni di persone tenere in mano un “mattoncino” portatile dotato di schermo con il quale eseguire diverse operazioni quotidiane.

Il primo vero e proprio telefono intelligente è stato l’iPhone lanciato da Steve Jobs nel 2007, che racchiudeva le caratteristiche di un cellulare, di un computer e persino di una fotocamera digitale e di un lettore MP3. Questo suo connotato di “factotum digitale” e la facilità d’uso, che si sono via via perfezionati con i modelli successivi, sia di Apple che di altri produttori, hanno permesso allo smartphone di espandersi rapidamente, con effetti disruptive sull’intera industria tech – l’avvento dello smartphone ha sostanzialmente posto fuori mercato i lettori MP3 e i cellulari tradizionali, e fortemente ridimensionato le vendite delle macchine fotografiche digitali, divenute prodotto di nicchia. Stima De Martin che in totale, fino al 2022, siano stati venduti circa 15 miliardi e 224 milioni di smartphone, ossia quasi due dispositivi per ciascun essere umano sul pianeta (p. 63). A livello economico, il mercato degli smartphone, dominato a livello globale da Apple, Samsung e, in minor parte, da imprese cinesi come Xiaomi[1], vale tra i 400 e i 500 miliardi di dollari[2]. Non solo l’economia, anche il modus vivendi dell’umanità è stato rivoluzionato, tanto che spesso si sente dire che chi, per un motivo o un altro, non può utilizzare il proprio smartphone, rimane “fuori dal mondo”. Il libro pone una critica a questa rotta che la società sembra aver preso rispetto alla tecnologia: lo smartphone, da prodotto utile a semplificarla, sta diventando sempre più strumento sine quo non. Secondo De Martin, è compito dello Stato farsi presidio, pur nell’attuale strada verso la digitalizzazione dei servizi, della libertà di scelta dell’individuo di utilizzare o meno lo smartphone, continuando ad offrire alternative non digitali (ad esempio il rilascio di documenti fisici) o predisponendo aree informatiche pubbliche, così da non vincolare i cittadini all’acquisto e utilizzo di un oggetto (quale che sia: oggi è un telefono, un domani potrebbe trattarsi di un paio di occhiali intelligenti o di una macchina impiantata nel corpo umano).

Relativamente alla “nascita” materiale dello smartphone, il saggio analizza i processi di produzione delle sue varie componenti, a partire dall’estrazione delle terre rare necessarie per lo schermo e gli altoparlanti, fino all’assemblaggio, appannaggio delle industrie cinesi specializzatesi in tale attività, e allo smaltimento. Anche in questo caso, l’autore evidenzia i risvolti negativi dell’attuale sistema produttivo: la raffinazione delle terre rare è altamente inquinante, e dunque appaltata quasi interamente alla Cina, la cui legislazione di tutela ambientale è poco restrittiva; quanto all’assemblaggio, è stato stimato nel 2019 che il tasso di sfruttamento dei lavoratori coinvolti nella produzione dell’iPhone X fosse circa 25 volte il tasso di sfruttamento dell’industria tessile ottocentesca (p. 98). In ultimo, la struttura dello smartphone, che non ne consente l’agevole apertura e sostituzione dei singoli pezzi, fa sì che lo smaltimento sia spesso preferito alla riparazione, generando un oceano di rifiuti, quantificati in oltre sette chilogrammi per persona sul pianeta dal Global E-waste Monitor 2020[3].

De Martin si occupa poi delle conseguenze dell’uso dello smartphone, che si ripercuotono non solo sull’ambiente, ma anche sul corpo e sulla psiche dell’utente. Dal punto di vista fisico, ex multis, la postura nell’utilizzo può causare dolori cervicali; la digitazione può portare problemi al pollice, finanche la “sindrome del dito a scatto”; gli schermi luminosi, se utilizzati di notte, possono alterare il regolare ritmo circadiano con aumento della possibilità di soffrire di diabete, malattie cardiovascolari, disturbi del sonno e disfunzioni cognitive. Non meno gravi sono le conseguenze sulla mente: lo smartphone e le app, progettate, anche con l’ausilio di neuroscienziati e psicologi, per tenere incollato allo schermo per più tempo possibile l’utente, finiscono per generare dipendenza e limitata capacità di concentrazione, soprattutto sulle generazioni più giovani, che spesso sperimentano bassa autostima, infelicità e depressione.

Le conseguenze su cui il saggio si sofferma maggiormente sono quelle derivanti dal fatto che lo smartphone, anche una volta acquistato dal consumatore finale, rimane pur sempre sotto il controllo dei gestori dei sistemi operativi, Apple per IoS e Google per Android, che detengono sostanzialmente un duopolio di mercato, e dei produttori di app, soprattutto per i social network. È bene che chi utilizza uno smartphone sappia che queste entità possono monitorare in tempo reale la sua posizione, le chiamate, il traffico internet e tutti gli spostamenti. Neppure spegnere il cellulare assicura la privacy, poiché alcune attività di tracciamento vengono svolte anche in tal caso.

Non solo: i giganti del settore tech hanno forte potere persino nei confronti degli Stati. Emblematico è stato che nel clou della pandemia da Covid-19, alcuni Paesi, tra cui l’Italia, abbiano interpellato i due «signori dei sistemi operativi» (p. 146) per attivare app di tracciamento dei contagi; questi ultimi hanno acconsentito, imponendo però di fatto unilateralmente le loro condizioni. Sono chiari i potenziali rischi sulla democrazia dell’accentramento di siffatto potere su due soggetti privati, entrambi statunitensi e le cui sedi principali distano appena undici km l’una dall’altra.

Ciononostante, la visione del saggio non è pessimistica o rassegnata: considerando che non si può tornare indietro dal progresso tecnologico, e fermi restando i benefici che lo smartphone apporta sulla vita quotidiana, l’autore ne sottolinea gli effetti “collaterali” per aiutare il lettore a proteggersi, con la consapevolezza che, sebbene azzerarli sia pressoché impossibile, la loro portata dipende anche dalla frequenza e dalla modalità di utilizzo.

L’autore sostiene peraltro che un’idea diversa di smartphone non solo sia possibile, ma in parte già esplorata: ne è esempio tangibile il Fairphone, dispositivo progettato da un’impresa sociale olandese in commercio da circa dieci anni, costruito con minerali estratti in zone del pianeta conflict-free e costituito da componenti progettati per avere lunga durata, essere sostituibili singolarmente ed essere facilmente riciclabili. Anche l’Unione Europea si è mossa verso una tecnologia meno impattante sull’ambiente, stabilendo con una recente norma del Consiglio europeo[4] che a partire dal 2027 tutti gli smartphone venduti nell’Unione dovranno avere una batteria facilmente rimovibile e sostituibile.

In conclusione, De Martin si fa egli stesso promotore del cambiamento del paradigma attuale, stilando un manifesto in venti punti indirizzato principalmente ai “signori” che controllano lo smartphone, per renderlo in futuro più sostenibile. Si tratta di proposte relative sia agli aspetti hardware – ad esempio, certificare che tutti i materiali utilizzati siano stati estratti o prodotti nel rispetto dell’ambiente e dei lavoratori; massimizzare la vita media dell’oggetto, così da ridurre l’impatto dello smaltimento – sia a quelli software – produrre dispositivi in cui sia semplice installare qualsiasi sistema operativo compatibile; per le app e i sistemi operativi, segnalare all’utente situazioni potenzialmente pericolose, come l’utilizzo prolungato o notturno e acquisire solo i dati strettamente necessari per il loro funzionamento, mantenendoli in locale e senza trasmetterli altrove.

Pur essendo tale call to action lodevole, la realizzazione incontra alcuni ostacoli. Se intervenire sulla catena produttiva delle componenti fisiche è complicato per via degli attuali conflitti e tensioni geopolitiche, le modifiche software sarebbero invece tecnicamente concretizzabili con costi ragionevoli, se solo si anteponesse la tutela dell’utente alle logiche di profitto. A prescindere dall’impatto sull’effettivo utilizzo da parte del consumatore finale e dall’attuazione dei punti del manifesto, merito indiscusso di Contro lo smartphone rimane l’aver reso meno oscura quella che è diventata a tutti gli effetti, e non solo sul grande schermo[5], la scatola nera delle nostre vite.


[1] Huawei, unica produttrice cinese arrivata a competere agli stessi livelli – sia per vendite che per caratteristiche qualitative del prodotto – con Apple e Samsung, è stata di fatto estromessa dal mercato occidentale dalle pesanti sanzioni comminate dal Presidente statunitense Donald Trump per ragioni di sicurezza nazionale.

[2] A titolo di paragone, quello dei televisori vale circa 259 miliardi, quello del vino 453 miliardi e quello delle automobili circa 2.900 miliardi di dollari (p. 66).

[3] Vanessa Forti, Cornelis Peter Baldé, Ruediger Kuehr e Garam Bel, The Global E-waste Monitor 2020. Quantities, flows, and the circular economy potential, United Nations University (UNU)/United, Nations Institute for Training and Research (UNITAR) – co-hosted SCYCLE Programme, International Telecommunication Union (ITU) & International Solid Waste Association (ISWA), Bonn/Geneva/Rotterdam.

[4] Reg. UE n. 2023/1542 del 12 luglio 2023.

[5] Cfr. Perfetti sconosciuti, regia di Paolo Genovese (2016).

Scritto da
Francesco Manfrida

Laureato in international management presso l’Università LUISS “Guido Carli” di Roma e la Nova SBE (School of Business and Economics) di Lisbona, è ora funzionario nella Pubblica Amministrazione. Tra i suoi interessi il diritto pubblico, l’attualità politica interna e internazionale e l’ambiente. Ha partecipato al corso 2023 “Traiettorie. Scuola di lettura del presente”.

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