Recensione a: Jan Zielonka, Contro-rivoluzione. La disfatta dell’Europa liberale, Laterza, Roma-Bari 2018, pp. 216, 18 euro, (scheda libro)
Scritto da Luca Picotti
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A maggio 2019 si terranno le elezioni per il rinnovo del Parlamento Europeo. Questa tornata elettorale, rispetto alle precedenti, sembra essere veramente incentrata sull’Europa e il suo futuro; paradossalmente, non tanto per un forte sentimento europeo radicato nell’opinione pubblica, anzi, è proprio la presenza di numerose forze cosiddette anti-europeiste, critiche verso la gestione da parte di Bruxelles della crisi economica, sociale e migratoria degli ultimi anni, a focalizzare l’attenzione sull’Unione europea.
Questa ondata di protesta, spesso sopravvalutata numericamente attraverso una narrazione allarmistica che non aiuta a comprendere il fenomeno – è improbabile che queste forze ottengano una maggioranza, per essere chiari – presenta radici profonde che vanno analizzate senza pregiudizi. Come mai oggi il sogno europeo pare affievolito? Cosa sta portando molte persone al rifiuto dell’ordine liberale così come lo conoscevamo? Cosa è stato sbagliato dopo la caduta del Muro di Berlino, quando sembrava che il capitalismo e la liberal-democrazia avessero trionfato e la storia, per citare Francis Fukuyama, fosse finita?
Jan Zielonka, docente di Politiche Europee alla University of Oxford e Ralf Dahrendford Fellow al St Antony’s College, nel suo ultimo libro Contro-rivoluzione. La disfatta dell’Europa liberale, edito da Laterza, riflette in modo critico e autocritico sul declino del liberalismo e l’emergere dei movimenti populisti[1] in tutto il continente. L’analisi di Zielonka è impietosa e mette a nudo gli errori e le ipocrisie dei liberali dal 1989 ad oggi.
Solo se questi comprenderanno le proprie colpe, sostiene l’Autore, sarà possibile rendere di nuovo credibile il progetto liberale; qui risiede il cuore e l’obiettivo del volume: porre lo sguardo non sui pericoli che, a ragione o a torto, si pensa i movimenti populisti portino con sé, ma sulle politiche e gli approcci sbagliati che hanno permesso a questi movimenti di nascere ed espandersi a dismisura. «Questo non è un libro sul populismo. È un libro sul liberalismo. Il populismo è diventato un tema di discussione privilegiato dei circoli liberali, e nessuno mai ha messo in luce gli inganni e i pericoli populisti meglio degli autori liberali. Ma i liberali si sono dimostrati più abili nel puntare il dito contro gli altri che nel riflettere su sé stessi. Rifiutano di guardarsi nello specchio e riconoscere le loro insufficienze, che hanno portato alla marea populista in tutto il continente. Il mio libro intende concentrare l’attenzione su questo squilibrio; è il libro autocritico di uno che è liberale da sempre».
Del volume di Zielonka è bene evidenziare, a parere di chi scrive, più la prospettiva da questi suggerita – di cui abbiamo accennato qui sopra – che le analisi vere e proprie: in centocinquanta pagine, all’incirca la lunghezza del libro, risulta difficile affrontare con profondità tematiche di così alto rilievo senza cadere in approssimazioni e generalizzazioni. La prospettiva invece è singolare, soprattutto dal momento che si allontana da una letteratura sul tema vastissima e quasi unicamente orientata a deprecare i cosiddetti populismi: «Per tornare a splendere, i liberali dovrebbero ripensare la loro visione della democrazia, del capitalismo, e dell’integrazione europea. Non basteranno la semplice predicazione di astratti principi liberali e la stroncatura costante degli oppositori antiliberali. Per tornare al centro della scena, i liberali devono cambiare i loro leader, perché coloro che hanno pregiudicato – o addirittura tradito – il progetto liberale non possono essere incaricati del suo rinnovamento. Soprattutto i liberali devono ammettere i loro errori, non solo per riguadagnare credibilità fra gli elettori, ma anche per capire dove vanno operati i miglioramenti» (p.42). Negli ultimi trent’anni le disuguaglianze sono aumentate, il ceto medio dei paesi occidentali ha visto i propri redditi stagnare, lo stato sociale così come si era configurato nel secondo dopoguerra ha subito un notevole ridimensionamento. Globalizzazione e nuove tecnologie hanno contribuito al senso di smarrimento e sradicamento territoriale che caratterizza la nostra epoca. Per comprendere la portata di questi processi bisogna anzitutto maturare un nuovo pensiero critico e, per quanto concerne i protagonisti degli ultimi trent’anni, anche autocritico, come suggerisce Zielonka.
La suggestione da cui muove l’analisi dell’autore è che siamo di fronte ad una «contro-rivoluzione», una reazione volta a smantellare quell’ordine che si è cristallizzato dopo la caduta del Muro di Berlino. La rivoluzione – termine usato da Ralf Dahrendford, autore delle Riflessioni sulla rivoluzione in Europa e maestro intellettuale di Zielonka, nonché destinatario della lettera nella cui forma si manifesta questo volume – contro cui muovono queste forze è quella culturale, economica e geopolitica dal cui grembo è stata partorita l’Europa attuale, impietosamente tratteggiata dal professore come patria del neoliberismo, della deregolamentazione, di una politica sempre più configurata «come un’arte di ingegneria istituzionale anziché come arte di negoziazione fra élites e l’elettorato», di cittadini che «[devono] essere educati, piuttosto che ascoltati». Il nuovo ordine, continua Zielonka, si è instaurato in modo pacifico ed è stato sostanzialmente disegnato attraverso patti tra le vecchie e le nuove élite. È una critica di per sé condivisibile, anche se poggia più su intuizioni intellettuali che su solidi argomenti; interessante invece è l’immagine della contro-rivoluzione, che trascende i diversi colori e le diverse istanze dei partiti o movimenti che ne fanno parte, ma che poggia su un denominatore comune ben identificabile: il rifiuto delle persone e delle istituzioni che hanno guidato l’Europa nell’ultimo trentennio. «Sotto attacco non è solo l’Unione Europea, ma anche altri simboli dell’ordine attuale: la democrazia liberale e l’economia liberista, la migrazione e una società multiculturale, “verità” storiche e correttezza politica, partiti politici moderati e media tradizionali, tolleranza culturale e neutralità religiosa» (p.5). Solo in questo modo è possibile sintetizzare l’anti-austerity di Syriza in Grecia con l’anti-immigrazionismo della Le Pen in Francia, e così via, in un mosaico che ricopre gran parte della mappa politica europea.
Zielonka non vuole con questa aspra critica sdoganare i movimenti che definisce contro-rivoluzionari, anzi, nell’introduzione lascia intendere tutta la sua avversione verso l’ordine che potrebbero costruire queste forze una volta smantellato quello attuale. Il suo messaggio è rivolto ai liberali: innanzitutto, a seguito delle trasformazioni, anche tecnologiche, che stiamo vivendo, è necessario per un nuovo progetto credibile riconsiderare la relazione fra demos, telos e kratos, anche attraverso lo strumento di Internet e comunque considerando l’importanza delle regioni e delle città nell’articolazione del potere delle reti globali. Vi è poi la necessità, sostiene Zielonka, di un cambiamento radicale che poggi sulla riconquista di tre termini: uguaglianza, impossibile da perseguire senza uscire dall’attuale gabbia del sistema neoliberista, comunità, perché è imprescindibile una narrazione volta a tutelare il bene comune e non solo l’individuo nella sua singolarità, e infine verità, intesa come capacità critica e onestà intellettuale per capire il presente, la complessità e gli interessi dei cittadini, nonché per trovare soluzioni concrete alle sfide del ventunesimo secolo.
In particolare, la sfida più importante è quella contro l’attuale sistema neoliberale, nato negli anni Ottanta e responsabile, secondo l’autore, della lenta e inarrestabile erosione del tessuto sociale: «La disuguaglianza sta aumentando […] il denaro pubblico è usato principalmente per aiutare grandi banche multinazionali, e non invece i piccoli imprenditori in fase di decollo o i ricercatori che inventano nuove tecnologie […] I governi sembrano determinati a dare un giro di vite sulle indennità di disoccupazione, ma non sugli enormi bonus di amministratori delegati o Ceo» (pp. 67-68). Dinanzi a questo drammatico scenario, Zielonka invita i liberali ad uscire dall’idea – portata avanti da quelli che il professore battezza come politici, giornalisti e banchieri mainstream – che non vi sia alternativa al dogma del libero mercato, mentre tutto il resto è stigmatizzato come irrazionale ed irresponsabile; con questa continua stigmatizzazione «i neoliberisti hanno potuto definire la nozione di normalità, che è la definizione perfetta del predominio ideologico sopravvissuto al crollo finanziario senza significative alternative in vista» (p.74) e che va, secondo l’autore, combattuta proponendo valide alternative.
Come si ricordava all’inizio di queste note, il libro merita attenzione più per la prospettiva di analisi offerta che per le analisi stesse, raramente sorrette da argomentazioni solide ed esaustive. In queste considerazioni sul libro ci siamo limitati ad evidenziare gli aspetti più interessanti di detta prospettiva: l’immagine della contro-rivoluzione, la necessità di ripensamento radicale del presente e di ricambio della leadership, e infine la critica al neoliberalismo.
Per quanto concerne le prospettive future, Zielonka si pone – con la consueta ambiguità tipica di ogni conclusione dei saggi di critica politica – in una posizione intermedia, affermando come sia impensabile il sogno della federazione europea («un suicidio collettivo degli stati membri») ma allo stesso tempo come sia deleterio il mantenimento dello status quo. L’autore prova a tratteggiare alcune bozze affinché l’Europa esca da questa tenaglia, insistendo molto sulla costruzione di reti tra Stati-nazione, regioni, città, organizzazioni non governative e aziende europee – insomma, una diversa articolazione del potere che prenda in considerazione le realtà che si pongono in mezzo alla dialettica tra uno Stato-nazione sempre più debole ed un’Unione Europea intrinsecamente fragile. Inventare e sperimentare è il motto dell’autore, che invita a ripensare l’ordine costituito in tutte le sue forme, anche per quanto riguarda la rappresentanza parlamentare e le possibili prospettive che Internet può offrire in termini di dialogo civico e azione politica.
Questi appunti conclusivi rimangono, a parere di chi scrive, troppo fumosi rispetto alla complessità nella quale siamo immersi. Il volume rappresenta invece un ottimo manifesto a favore del pensiero critico, troppo spesso dimenticato nei circoli intellettuali. Critica e autocritica sono necessarie per comprendere gli errori del passato, pensare il presente e progettare il futuro. Contro-rivoluzione ha il merito di ricordarcelo.
[1] Questo termine, a parere di chi scrive molto riduttivo, verrà utilizzato per comodità ed esigenza di sintesi.