Recensione a: Lorenzo Tanzini, Cosimo de’ Medici. Il banchiere statista padre del Quattrocento fiorentino, Salerno Editrice, Roma 2022, pp. 376, 25 euro (scheda libro)
Scritto da Andrea Raffaele Aquino
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Se parliamo di Firenze rinascimentale, la prima parola che siamo portati ad associare a questo concetto storiografico tanto affascinante quanto cronologicamente difficile da collocare è “Medici”; la famiglia Medici, ovviamente, che governò la città, non senza soluzione di continuità, in forme e con strumenti eterogenei, tra 1434 e 1737, il cui membro più importante e conosciuto fu indubbiamente Lorenzo il Magnifico (1449-1492). Eppure, la fortuna dei Medici (e di Firenze) si deve, in grande parte, all’operato del nonno di costui, Cosimo il Vecchio (1389-1464), il vero costruttore del Banco e, insieme ad altri attori, della complicata e funzionale rete diplomatica italica del Quattrocento. Malgrado questo importante ruolo, Cosimo è stato studiato e approfondito meno del nipote. Per colmare questo, relativo, vuoto storiografico, Lorenzo Tanzini, professore associato di Storia medievale all’Università di Cagliari, ha pubblicato con Salerno Editrice una monografia di carattere biografico sul personaggio, che si pone in dialogo con la prestigiosa tradizione di studi scientifici sulla Firenze quattrocentesca: se è vero che Curt Gutkind aveva proposto, nel 1938, una prima biografia Cosimo, va detto che il genere fu subito completamente abbandonato, a beneficio di studi diversi, di carattere istituzionale (Rubinstein[1]), economico-aziendale (De Roover[2]), politico (Molho[3]) e sociale (Kent[4]). La monografia di Tanzini si propone, dunque, di mettere insieme, in una sintesi scientifica, i tasselli prestigiosi di un mosaico complesso, per la peculiare struttura del quale non si può parlare di Cosimo senza parlare di Firenze e non si può parlare di Firenze senza parlare di Cosimo.
Ma chi fu Cosimo? Occorre ragionare per “livelli”. Anzitutto un autorevole cittadino di Firenze, ben istruito grazie alla posizione conquistata dal padre Giovanni di Bicci, e profondamente amante dell’arte, dei libri e della cultura, come, del resto, testimoniano tutte le prestigiosissime opere di cui si fece promotore, a cominciare dalla magnifica Cappella dei Magi, ancora oggi visitabile a Palazzo Medici-Riccardi. In secondo luogo, un autorevole proprietario di banca, che seppe ingrandire grazie alla sua abilità, riconosciutagli dai contemporanei, di valutare oculatamente situazioni e selezionare personale, dote che, invece, il nipote Lorenzo non riuscì a perfezionare, con grave nocumento per la sua figura e i suoi affari. C’è da dire, tuttavia, che Cosimo aveva ereditato un’attività moderna (basti pensare al fatto che alcuni concetti economici fondamentali ancora nella contemporaneità nacquero tra Trecento e Quattrocento) e già in discreta fioritura dal padre, vicina, per altro, al pontefice, elemento di grandissimo prestigio che apriva possibilità politiche straordinarie. Arriviamo al terzo livello: essere a capo di un’azienda così importante e ramificata in Europa, con tentacoli anche in Nord-Africa e nel Levante, forniva a Cosimo notizie e informazioni fondamentali per costruire la sua strategia politica. Il quarto livello, quindi, è quello di Cosimo politico e, in virtù di questi suoi vantaggi (economici e informativi – e le due cose, bisogna notare, vanno di pari passo) “criptosignore” della città. Cosimo non rivendicò mai titoli straordinari a Firenze ma tutti sapevano che nessuna decisione importante poteva essere presa senza il suo appoggio.
Bisogna, tuttavia, fare, un passo indietro, per comprendere la parabola del patriarca Medici. Se non al tumulto dei Ciompi (1378) che aveva allargato la partecipazione politica del “popolo” all’amministrazione della città, almeno agli anni Trenta del Quattrocento, quando la famiglia Medici e la famiglia Albizzi ingaggiarono un acceso conflitto per il potere. L’assetto istituzionale di Firenze prevedeva elezioni dei rappresentanti (i Tre Uffici Maggiori e i Collegi) molto frequenti mediante complicati sistemi ai quali Nicolai Rubinstein ha dedicato il suo intero studio del 1966 e che, dunque, non sarebbe possibile nemmeno riassumere in questa sede. Si dirà solamente che il meccanismo si basava sull’estrazione dei cittadini ritenuti idonei da apposite borse larghe e da borse più ristrette. Responsabili delle operazioni erano gli Accoppiatori ma quella che a noi contemporanei può sembrare una mera operazione tecnica, aveva forti significati politici. Risulta allora chiaro come chi fosse riuscito a controllare gli Accoppiatori avrebbe ottenuto la chiave della politica fiorentina. Nel 1433 un’elezione avversa dà il potere a Rinaldo degli Albizzi di esiliare Cosimo, i suoi familiari e i suoi amici dalla città. Il vincitore, tuttavia, non affondò il colpo, perse il controllo e l’anno successivo subì un rovescio particolarmente doloroso. L’elezione di diversi partigiani medicei non esiliati permise il ritorno di Cosimo, accompagnato da alleati potenti, e comportò l’esilio di Rinaldo e di tutti coloro che potevano essere scomodi per il nuovo regime. Cosimo seppe utilizzare con discrezione, ma efficacemente, gli Accoppiatori, ottenendo la possibilità di estrarre nomi tecnicamente provvisori da liste formate ad hoc, ricorrendo ai sistemi tradizionali di elezione solo nei momenti di maggior tranquillità per il regime; un sistema astuto che gli assicurò un potere decisivo.
Ma il controllo di Cosimo sulla città non si fermò ai soli meccanismi elettorali; esso fu il risultato di un sapiente bilanciamento diplomatico tra amici, nemici e opportunisti. Ai Medici e alle loro fortune, come sempre accade verso chi detiene il potere, si erano legate una serie di persone animate dagli intenti più diversi, di cui Cosimo si serviva e da cui si guardava. A differenza di Lorenzo, che deteneva un potere molto più solido, Cosimo aveva bisogno di continue legittimazioni, che traeva dallo stato di salute della Repubblica. La necessità, chiave per mantenere la sua posizione, di rinforzare Firenze, impoverita da un secolo di guerre, lo aveva condotto a scelte di rottura, come quella di rinunciare all’alleanza con Venezia per passare dalla parte di Milano (1450), tradizionale nemica e guidata da un signore della guerra, Francesco Sforza, che aveva necessità del denaro fiorentino, da comprare attraverso la protezione militare; non meno dirompente fu la posizione riguardante lo scenario del Mezzogiorno italico, dove dal 1442 gli Aragonesi si erano sostituiti agli Angioini. In questa problematica, Cosimo mantenne una posizione piuttosto ambigua: senza rinunciare ad appoggiare economicamente Renato e Giovanni d’Angiò nel loro tentativo di riconquista del Regno, il patriarca aveva condotto Firenze nella Lega Italica (1455), alleanza militare di cinque potenze peninsulari (Milano, Venezia, Firenze, Roma, Napoli) finalizzata più a controllarsi vicendevolmente che ad aiutarsi, nella quale figurava in prima linea l’aragonese Alfonso il Magnanimo, detentore del trono napoletano e molto vicino allo Sforza. Questi equilibri fragili subivano tentativi di sbilanciamento a destra e a manca da parte di fiorentini schierati per l’una o per l’altra fazione. Così, nel 1460, quando sembrò che gli angioini fossero sul punto di sopraffare gli avversari, dopo il fortunato esito della battaglia di Sarno, Cosimo dovette allontanarsi, almeno momentaneamente, dagli aragonesi, per evitare di perdere campo contro lo zoccolo duro della fazione filo-angioina a Firenze, capitanata da Neri di Gino Capponi. Insomma, la politica di Cosimo era sì strategia, ma anche tattica, come molto spesso accade quando non c’è un potere forte e apertamente riconosciuto.
La politica fiorentina, dominata dallo stesso gruppo per trent’anni, versava in una situazione quantomeno inconsueta, della quale tanto gli amici di Cosimo quanto i suoi avversari erano coscienti. Lo spettro della tirannia, particolarmente osteggiato nella tradizione repubblicana fiorentina, aleggiava su qualsiasi mossa di Cosimo, che, dagli anni Cinquanta, cercò di rimanere quanto più possibile nell’ombra, delegando ai suoi fedelissimi le manovre necessarie per assestare il regime. Una fitta rete di clientele rendeva il patriarca Medici praticamente inattaccabile tanto che persino le sacche di resistenza al suo potere furono costrette a un quasi totale immobilismo nel trentennio, escludendo gli ultimi anni, quando molti fedelissimi di Cosimo cominciarono a tramare contro il suo potere. Finché Cosimo visse, tuttavia, nessuna seria minaccia fu portata al governo mediceo e le poche avanzate furono gestite con armi “istituzionali”, in primis il Parlamento del 1458. Questi rapporti hanno fatto domandare ad Anthony Molho nel 1979 se Cosimo fosse stato davvero un pater patriae come mesi dopo la sua morte venne definito, o piuttosto un padrino. Al di là della provocazione, insita nella stessa formulazione del titolo dell’articolo, il quesito ci aiuta a comprendere l’importanza delle reti sociali e informative che Cosimo aveva costruito, per il suo governo.
Mediante esse, il patriarca era riuscito a fare di Firenze, la potenza più debole tra le cinque maggiori a livello militare e produttivo, un tassello chiave della politica italica, quell’ago della bilancia perfezionato, poi, dal nipote Lorenzo, politico forse più accorto, ma amministratore più distratto. Uomo devoto e spregiudicato, Cosimo morì il primo giorno di agosto del 1464, mentre provava a mettere a segno il suo ultimo capolavoro diplomatico: tenere aperta la porta del commercio col Turco senza chiudere definitivamente quella della crociata organizzata da Pio II (poi fallita per la morte, pochi giorni dopo del pontefice): ancora una volta, un complesso bilanciamento tra tante necessità che richiedeva una macchina diplomatica complessa composta tanto da agenti ufficiali, quanto da operatori non convenzionali, in costruzione a Firenze a quell’altezza cronologica. La morte di Cosimo aprì una stagione difficile, connotata da malumori cittadini e dagli interrogativi sulla collocazione in politica estera della Repubblica, che esploderanno nella congiura del Poggio del 1466 e nell’attacco della fazione antimedicea con l’appoggio veneziano nel 1467.
Scrivere una biografia di Cosimo de’ Medici non era certo un’impresa semplice e il rischio si presentava quello di un grande racconto, forse adatto al pubblico, ma meno agli addetti ai lavori. Lorenzo Tanzini, invece, cogliendo lo spirito che anima le pubblicazioni di Salerno Editrice, è riuscito a scrivere un libro dall’alto valore scientifico, saldamente ancorato alle fonti (edite e inedite) e alla bibliografia, ma capace di interessare anche i lettori curiosi che approcciano l’argomento per la prima volta. Non si tratta di un semplice riassunto della vita di Cosimo, ma ha la forma di una vera trattazione critica, che in alcuni casi procede in ordine cronologico, ma più spesso si distende per materia, indagando in ogni capitolo un aspetto diverso della vita del patriarca e della politica che orientava. L’uomo, il politico, il devoto fedele, l’appassionato d’arte, il padre di famiglia, l’amico, l’avversario, l’anziano capo della famiglia, il padre della patria: il libro offre una panoramica lucida su tutti questi tratti della vita di Cosimo. Dopo averne terminato la lettura, la sensazione è quella di un cantiere ancora aperto, con alcune risposte, ma tante domande ancora presenti, che attendono ancora una trattazione scientifica, di cui il testo di Tanzini può essere il punto di partenza.
[1] Nicolai Rubinstein, The government of Florence under the Medici (1434 to 1494), Clarendon Press, Oxford 1966. Traduzione italiana: Il governo di Firenze sotto i Medici (1434-1494), a cura di Giovanni Ciapperli, La Nuova Italia, Firenze 1999.
[2] Raymond de Roover, The Rise and Decline of the Medici Bank, 1397-1494, Harvard University Press, Cambridge 1963.
[3] Anthony Molho, Cosimo de’ Medici: Pater Patriae or Padrino?, «Stanford Italian Review», I (1979), pp. 5-23.
[4] Dale Kent, Cosimo de’ Medici and the Florentine Renaissance. The Patron’s Oeuvre, Yale University Press, New Haven e Londra 2000.