“Costituzione italiana: articolo 2” di Maurizio Fioravanti
- 02 Gennaio 2018

“Costituzione italiana: articolo 2” di Maurizio Fioravanti

Recensione a: Maurizio Fioravanti, Costituzione italiana: articolo 2, Carocci, Roma 2017, pp. 160, 13 euro (scheda libro)

Scritto da Jacopo Mazzuri

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Poco più di due anni fa, la Corte Costituzionale prese una decisione che fece molto discutere tanto gli esperti quanto l’opinione pubblica: ci si riferisce alla sentenza cd. “Sciarra” (dal nome di Silvana Sciarra, giudice redattore; al secolo, sentenza 70/2015), con la quale venne dichiarata incostituzionale una norma (art. 24, comma 25, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, cd. “Salva Italia”) che bloccava, per gli anni 2012 e 2013, la piena rivalutazione automatica delle pensioni superiori a tre volte il minimo riconosciuto dall’INPS.1

Non si intende qui discutere il merito della questione, tanto meno sotto l’aspetto della tenuta delle finanze pubbliche. Piuttosto, si vuole sottolineare come da questa pronuncia emergano distintamente due aspetti di grande rilievo per comprendere la natura della nostra Costituzione. Da una parte, si osserva come il diritto che viene riconosciuto e tutelato dal giudice delle leggi sia quello ad una prestazione economica (una pensione, appunto), nell’ambito di un più vasto disegno di equità sociale. Dall’altra, il provvedimento con cui essa viene garantita è, in ultima analisi, la sentenza emessa da un giudice; più precisamente, da un giudice che ha come sua specialità quella di sindacare l’attività del legislatore, in particolare qualora essa violi un nucleo essenziale di diritti.

In altre parole, si può dire che casi come quello “Sciarra” mettano in evidenza proprio quei “due lati” (costruzione di una “società giusta” e inviolabilità dei diritti) del costituzionalismo democratico che Maurizio Fioravanti vede consacrati all’articolo 2 della nostra Costituzione (“La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale [corsivi miei]”) come ben spiega in Costituzione italiana: articolo 2.2

Non è certo la prima volta che il professore pratese affronta il tema in questione:3 tuttavia, questo specifico libro si fa apprezzare, insieme agli altri della collana, come parte di una “didattica dei principi fondamentali” contenuti negli articoli 1-12 che per ciascuno di essi evidenzia le radici storico-ideologiche “remote”, la genesi nell’Assemblea Costituente, il significato attuale, le prospettive future (pp. VIII-IX e XIII-XV).

Per quanto riguarda l’articolo 2, l’intenzione di Fioravanti è niente meno che dimostrare come esso “contenga in forma sintetica la Costituzione intera” (p.1), scandendo l’analisi in tre capitoli preceduti da una breve introduzione: il primo riguarda il retroterra plurisecolare della disposizione in esame; il secondo ripercorre il dibattito che portò alla sua redazione, svoltosi fra il 1946 e il 1947, per poi spiegare come essa si inscriva nella “rottura” che la Carta opera con il passato; il terzo espone i problemi dell’attuazione costituzionale negli ultimi settanta anni.

 

Archeologia costituzionale e Assemblea Costituente

Nel primo capitolo l’autore tenta quindi una “archeologia della Costituzione” (p.16) in chiave comparata, da cui emergerebbe che essa rappresenta il (momentaneo) punto di approdo di una linea evolutiva le cui radici affondano in due grandi tradizioni: da una parte quella anglo-sassone, da cui sono ricavati il garantismo e l’inviolabilità dei diritti, dall’altra quella europeo-continentale di matrice francese, che invece è fonte di ispirazione per quanto riguarda la dimensione progettuale, di indirizzo politico, della legge fondamentale. Ovviamente si tratta di schematismi, ma è difficile negare che quel principio di anteriorità dei diritti rispetto al comando politico, di cui si sente l’eco nell’articolo 2 quando esso predica la loro inviolabilità (nel senso di “indisponibilità da parte del potere politico”, che è diretta conseguenza, appunto, della loro anteriorità), sia più riconducibile alla Magna Carta del 1215 e al Bill of Rights del 1689 che al costituzionalismo rivoluzionario francese della fine del XVIII secolo. Mentre infatti questi documenti, per tacere dell’esperienza americana, rivendicano spazi intangibili di libertà in opposizione a poteri considerati dispotici, la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789 delega interamente la disciplina di quelli stessi diritti al legislatore sovrano, senza apparentemente curarsi della possibilità che egli possa abusarne. È questo il significato delle numerose “riserve di legge” che la costellano, mentre la dimensione costituzionale del limite, del freno al potere, è confinata nel celeberrimo articolo 16.4

Ora, secondo Fioravanti i nostri costituenti mossero sì da questa seconda tradizione (a cui, in misura diversa, apparterrebbe anche lo Statuto del 1848), ma attinsero con abbondanza anche alla prima. In altre parole, pur riconoscendo il “valore della legge [quale espressione, anche se mediata, della volontà popolare, NdR] come valore costituzionale primario, insostituibile strumento di affermazione e di tutela dei diritti” (p. 30), essi convennero sulla necessità di non fare di essa un mezzo onnipotente e di sovra-ordinarle una fonte normativa superiore, la Costituzione (fortissima qui è l’influenza americana), in cui inserire un espresso riconoscimento dei “diritti inviolabili” (cfr. anche l’articolo 13 in materia di libertà personale)5: ecco che viene a definizione il primo lato di un nuovo costituzionalismo, quello “democratico”, grosso modo ibrido di tutta la tradizione giuridica occidentale.

D’altra parte, il lato della “solidarietà” oggetto dei “doveri inderogabili”, quello da cui invece originano i diritti sociali, sarebbe da ricondurre all’esperienza di Weimar e ad alcuni celebri precedenti francesi risalenti al periodo giacobino, ossia la seconda Dichiarazione dei diritti, (1793) e l’Atto costituzionale che la seguì. La nostra Costituzione così prende corpo come atto contenente un indirizzo politico di fondo (costituzione-indirizzo) volto alla trasformazione di lungo periodo dei rapporti politici e socio-economici, distanziandosi dall’ideale “anglo-americano” della garanzia delle libertà dall’ingerenza degli apparati statali (costituzione-garanzia) ma senza negarne il contenuto, bensì arricchendolo.

Nel secondo capitolo, Fioravanti si cala nel contesto italiano e indaga il modo in cui l’indivisibilità dei diritti civili, politici e sociali è stata elaborata nel dibattito che portò alla redazione dell’articolo 2. In questo contesto emergono, fra tutte, le figure di Dossetti, Basso e Togliatti, espressione delle tre anime maggioritarie della Costituente, i quali riscrissero la bozza inizialmente proposta da La Pira depurandola da ogni riferimento ad un ordine “naturale” e giusto precedente al patto costituzionale. Ad accomunare i Padri Costituenti fu, piuttosto, la necessità di edificare il catalogo dei diritti su di un fondamento storico-materiale (p.49; sarebbe quindi fuori luogo ogni interpretazione della legge fondamentale in chiave giusnaturalistica), il quale impedisse di scinderli privilegiando gli uni a scapito degli altri. Una base simile sarebbe stata rappresentata proprio dalla Carta repubblicana, espressione diretta non di una qualche natura, bensì della società in cui questi diritti (intesi come necessità, aspirazioni, bisogni materiali, spazi di libertà…) hanno concretamente origine e che solo in questo senso li “riconosce” come anteriori e superiori alla politica “ordinaria” e alle sue leggi, vale a dire “inviolabili”. Tutto questo, stando all’autore, avrebbe però una portata che va oltre il “compromesso costituzionale” nazionale, di cui comunque Fioravanti riconosce la grandezza (cfr. p.78): contribuirebbe anzi a quella ridefinizione (avvenuta sia in Italia che all’estero fra il Primo e il Secondo Dopoguerra) dell’idea stessa del soggetto titolare dei diritti, che lo ha mutato da individuo in persona. Ciò, con duplici effetti: da una parte scompare l’individuo astratto “liberale” immaginato nelle costituzioni e nei codici sette-ottocenteschi (quello, per intenderci, che non aveva bisogno dello Stato sociale); dall’altra, proprio la proclamazione dei diritti come attributi universali eleva chi li porta sullo stesso piano, ossia lo denazionalizza e apre la strada ad un nuovo riconoscimento giuridico dello straniero.

Ovviamente, tutte queste conquiste sarebbero costantemente messe a repentaglio senza l’irrigidimento della Costituzione (costituto, come si sa, da un procedura aggravata per la sua modifica nonché dalla presenza di un nucleo che sfugge in ogni caso ad essa) previsto dagli articoli 138 e 139 e meglio definito dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale (su tutte, sent. 1146/1988, sulla dottrina dei “principi supremi”)6.

Fin qui, già chiaramente contaminati dall’ideale solidaristico, i diritti; ma che dire dell’indirizzo, della dimensione progettuale? Proprio in ciò sta uno degli aspetti più interessanti di questo passaggio storico: si potrebbe dire che essi stessi ricevano una carica formidabile proprio dalla rivalutazione della Costituzione come atto pienamente giuridico, col conseguente riconoscimento del carattere prescrittivo delle sue norme (anche di quelle “di principio”) e quindi della inevitabilità di una “applicazione” giurisdizionale del programma politico solidaristico (a cui alludono i “doveri di solidarietà”) contenuto in esse anche qualora il legislatore appaia disinteressato alla loro “attuazione” in via legislativa (e alla conseguente attività amministrativa).

Rifondata su inviolabilità e solidarietà, la costituzione dunque muta e con essa muta lo Stato (diventando da legislativo-amministrativo, costituzionale), e muta il soggetto di diritto: è davvero il tempo, per usare un’espressione cara all’autore, della “trasformazione costituzionale” 7, di un cambiamento che nei decenni successivi avrebbe investito anche la forma di governo del Paese. In questo senso, si può affermare che l’intera nostra Carta, nella sua forza dirompente, sia già contenuta in nuce nel suo secondo articolo.

 

Articolo 2 fra attuazione e trasformazione: inviolabilità senza solidarietà?

Il fenomeno è ben spiegato nell’ultimo capitolo, in cui viene affrontato il periodo degli ultimi settanta anni: la vigenza (per ora) della Costituzione repubblicana.

Che essa potesse dispiegare appieno i suoi effetti di norma giuridica, con il conseguente e inevitabile spostamento di potere verso i giudici, è comprensibile che non fosse cosa universalmente accettata. La guerra iniziò già con offensive contemporanee alla Costituente (inter alia, si ricorda un noto articolo di Oreste Ranelletti, giuspubblicista sommo) o di poco successive, fra cui spicca la famosa (o famigerata) sentenza della Corte di cassazione del 7 febbraio 1948, la quale distinse le norme costituzionali in tre categorie e ad una sola di esse riconobbe di non contenere meri programmi o principi irrilevanti in giudizio, ma veri e propri precetti “ad applicazione immediata”. Andrebbe d’altronde precisato che non si trattava di un ostruzionismo fine a se stesso, ma della precisa conseguenza di una cultura giuridica in buona misura condivisa pure dai Padri Costituenti, i quali legittimamente immaginavano di inaugurare una fase “attuativa” della Carta essenzialmente tramite la legislazione, la politica parlamentare, limitando la sua applicazione giudiziale a casi eccezionali di patologico contrasto della seconda con la prima.

Ciò detto, è facile comprendere l’impatto che ebbe la prima sentenza della neo-istituita Corte Costituzionale (sent. 1/1956), con cui essa riconobbe la piena efficacia normativa di tutte le disposizioni della Carta e la loro conseguente idoneità ad essere pienamente applicate in giudizio; per non parlare del Congresso della ANM a Gardone (1965), in cui la magistratura ordinaria si sarebbe fatta carico di partecipare direttamente alla “costituzionalizzazione” del sistema giuridico, vuoi tramite l’utilizzo di strumenti già indiscutibilmente presenti in esso (i rinvii alla Consulta, disciplinati per legge) vuoi con la predisposizione di strumenti nuovi (l’interpretazione conforme alle norme costituzionali di quelle inferiori) nella sua giurisprudenza.

E proprio qui starebbe il punto problematico di maggiore attualità, messo in luce dall’autore. Egli sostiene (e non è solo)8 che l’ultimo settantennio può essere suddiviso in due parti: gli anni dell’attuazione della Costituzione e quelli caratterizzati dai tentativi di una sua riforma. Ebbene, se nel primo periodo il mondo politico si sarebbe fatto carico di realizzare l’indirizzo costituzionale e avrebbe dunque, seppur forse in modo imperfetto, varato numerose leggi in tal senso, nel secondo (a partire, grosso modo, dagli anni Ottanta) si sarebbe avvitato in una discussione su ipotetiche riforme con cui modificare la macchina istituzionale e avrebbe perso attenzione per quelle volte a instaurare la “società giusta” implicita nello stesso principio solidaristico dell’articolo 2.

Ecco il punto in cui sentenze come quella da cui è partito il nostro discorso di innestano nella storia costituzionale del Paese. Fioravanti usa a questo proposito la metafora dell’ellisse, che ha un duplice valore: da una parte essa sta a significare che l’ordine costituzionale contemporaneo, almeno in Italia, si regge sull’equilibrio instaurato fra due fuochi, rappresentati rispettivamente dai principi di solidarietà e inviolabilità più volte citati; dall’altra, che questo equilibrio dovrebbe riflettersi anche sulla forma di governo, a cui partecipano contemporaneamente il legislatore (nella veste, se vogliamo, di attuatore di un programma di solidarietà politica, economica e sociale) e una “sfera della iurisdictio, comprensiva della Corte e dei giudici ordinari (p. 107)” con funzioni di garanzia dei diritti. Un simile quadro, tuttavia, sembrerebbe entrato in crisi a causa della perdita di autorevolezza della classe politica (complice il tramonto dei partiti tradizionali), la quale avrebbe trascinato giù con sé anche la dimensione programmatica della Costituzione e lasciato sul proscenio la nuda norma giuridica. Proscenio dove, peraltro, quest’ultima non reciterebbe in solitudine quanto in compagnia di attori diversi, come quelle dichiarazioni e trattati internazionali sui diritti dell’uomo che fanno ormai parte a pieno titolo dell’ordine costituzionale evocato sopra.

A questa conclusione, si potrebbe forse obiettare come Fioravanti stesso ricordi che il principio di solidarietà è, e non potrebbe non essere, presente nella giurisprudenza della Corte Costituzionale a tal punto da imporre di precisare in che senso assisteremmo ad una “crisi della solidarietà” (Fioravanti, a p.116, propone la formula “inviolabilità senza solidarietà” e imputa questa deriva anche all’aggressione rivolta al secondo dei due termini dalle dottrine neo-liberal p.110): essa, sembra suggerire anche l’autore, si potrebbe predicare non ai principi del nostro ordinamento in sé considerati quanto al modo in cui la solidarietà viene perseguita, se posto in rapporto con il disegno originario della nostra architettura istituzionale (cfr. pp.122 e ss.).

Più che una crisi del principio, dunque, una crisi dell’istituzione: il primo, passato dal dominio della politica a quello del diritto e divenuto esso stesso inviolabile, vivrebbe oramai più nelle sentenze che nelle leggi. Chi scrive terrebbe ad aggiungere, d’altronde, che un esito simile non sembra comunque entusiasmante poiché rischia di scaricare sui giudici non solo l’esercizio della funzione di garanzia che è loro propria ma anche il compito di realizzare “in supplenza” quelle promesse che Parlamento e Governo non paiono più capaci di mantenere, di risolvere con gli strumenti del processo (in particolare quello costituzionale) tensioni e conflitti che, almeno nelle intenzioni del costituente, avrebbero dovuto essere affrontati con tecniche ben diverse.


1 http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2015-04-30/pensioni-consulta-boccia-norma-fornero-blocco-perequazione-vale-5-miliardi-155939.shtml?uuid=AB2pUYYD; la sentenza è disponibile, corredata (come tutte) anche da un elenco di note di autori vari, in https://www.cortecostituzionale.it/actionGiurisprudenza.do .

2 Il riferimento alla sentenza citata, invero stringatissimo, è a pp. 125-126.

3 Per tutti, se vada Appunti di storia delle costituzioni moderne. Le libertà fondamentali, Giappichelli, Torino, 2014, III ed., in particolare l’ultimo capitolo.

4 È questo: “Ogni società in cui la garanzia dei diritti non è assicurata, né la separazione dei poteri stabilita, non ha una costituzione”. E’ vero che la Francia degli anni successivi pullolerà di costituzioni, anche molto diverse fra loro, ma ciò non toglie che l’assunto di fondo rimanga lo stesso: strumento di tutela dei diritti è la legge e la legge la decide il legislatore sovrano, tendenzialmente senza vincoli. Non esiste un “diritto indisponibile”.

5 Esso recita al comma 1: “La libertà personale è inviolabile”.

6 Piace riportare un passo, dal par. 2.1: “La Costituzione italiana contiene alcuni principi supremi che non possono essere sovvertiti o modificati nel loro contenuto essenziale neppure da leggi di revisione costituzionale o da altre leggi costituzionali. Tali sono tanto i principi che la stessa Costituzione esplicitamente prevede come limiti assoluti al potere di revisione costituzionale, quale la forma repubblicana (art. 139 Cost.), quanto i principi che, pur non essendo espressamente menzionati fra quelli non assoggettabili al procedimento di revisione costituzionale, appartengono all’essenza dei valori supremi sui quali si fonda la Costituzione italiana”.

7 Cfr. M. Fioravanti, La trasformazione costituzionale, in “Rivista trimestrale di diritto pubblico”, (LXIV) 2014, 2, in particolare pp. 301-302.

8 Cfr. E. Cheli, Nata per unire. La Costituzione italiana tra storia e politica, Bologna, il Mulino, 2012, pp. 29 e ss.

Scritto da
Jacopo Mazzuri

Nato a Bagno a Ripoli nel 1992, è dottorando in Scienze Giuridiche (curriculum: Diritto Pubblico) presso l’Università degli Studi di Firenze, città dove ha sempre vissuto. Dopo la laurea in Giurisprudenza presso l’ateneo fiorentino, ha frequentato il Seminario di Studi e Ricerche Parlamentari “Silvano Tosi” e svolto il praticantato forense presso l’Avvocatura Distrettuale dello Stato. I suoi principali interessi di ricerca riguardano l’ordinamento giudiziario (anche in chiave storica, europea e comparata) e il sistema delle fonti normative.

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