Scritto da Jacopo Mazzuri
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Il fenomeno è ben spiegato nell’ultimo capitolo, in cui viene affrontato il periodo degli ultimi settanta anni: la vigenza (per ora) della Costituzione repubblicana.
Che essa potesse dispiegare appieno i suoi effetti di norma giuridica, con il conseguente e inevitabile spostamento di potere verso i giudici, è comprensibile che non fosse cosa universalmente accettata. La guerra iniziò già con offensive contemporanee alla Costituente (inter alia, si ricorda un noto articolo di Oreste Ranelletti, giuspubblicista sommo) o di poco successive, fra cui spicca la famosa (o famigerata) sentenza della Corte di cassazione del 7 febbraio 1948, la quale distinse le norme costituzionali in tre categorie e ad una sola di esse riconobbe di non contenere meri programmi o principi irrilevanti in giudizio, ma veri e propri precetti “ad applicazione immediata”. Andrebbe d’altronde precisato che non si trattava di un ostruzionismo fine a se stesso, ma della precisa conseguenza di una cultura giuridica in buona misura condivisa pure dai Padri Costituenti, i quali legittimamente immaginavano di inaugurare una fase “attuativa” della Carta essenzialmente tramite la legislazione, la politica parlamentare, limitando la sua applicazione giudiziale a casi eccezionali di patologico contrasto della seconda con la prima.
Ciò detto, è facile comprendere l’impatto che ebbe la prima sentenza della neo-istituita Corte Costituzionale (sent. 1/1956), con cui essa riconobbe la piena efficacia normativa di tutte le disposizioni della Carta e la loro conseguente idoneità ad essere pienamente applicate in giudizio; per non parlare del Congresso della ANM a Gardone (1965), in cui la magistratura ordinaria si sarebbe fatta carico di partecipare direttamente alla “costituzionalizzazione” del sistema giuridico, vuoi tramite l’utilizzo di strumenti già indiscutibilmente presenti in esso (i rinvii alla Consulta, disciplinati per legge) vuoi con la predisposizione di strumenti nuovi (l’interpretazione conforme alle norme costituzionali di quelle inferiori) nella sua giurisprudenza.
E proprio qui starebbe il punto problematico di maggiore attualità, messo in luce dall’autore. Egli sostiene (e non è solo)8 che l’ultimo settantennio può essere suddiviso in due parti: gli anni dell’attuazione della Costituzione e quelli caratterizzati dai tentativi di una sua riforma. Ebbene, se nel primo periodo il mondo politico si sarebbe fatto carico di realizzare l’indirizzo costituzionale e avrebbe dunque, seppur forse in modo imperfetto, varato numerose leggi in tal senso, nel secondo (a partire, grosso modo, dagli anni Ottanta) si sarebbe avvitato in una discussione su ipotetiche riforme con cui modificare la macchina istituzionale e avrebbe perso attenzione per quelle volte a instaurare la “società giusta” implicita nello stesso principio solidaristico dell’articolo 2.
Ecco il punto in cui sentenze come quella da cui è partito il nostro discorso di innestano nella storia costituzionale del Paese. Fioravanti usa a questo proposito la metafora dell’ellisse, che ha un duplice valore: da una parte essa sta a significare che l’ordine costituzionale contemporaneo, almeno in Italia, si regge sull’equilibrio instaurato fra due fuochi, rappresentati rispettivamente dai principi di solidarietà e inviolabilità più volte citati; dall’altra, che questo equilibrio dovrebbe riflettersi anche sulla forma di governo, a cui partecipano contemporaneamente il legislatore (nella veste, se vogliamo, di attuatore di un programma di solidarietà politica, economica e sociale) e una “sfera della iurisdictio, comprensiva della Corte e dei giudici ordinari (p. 107)” con funzioni di garanzia dei diritti. Un simile quadro, tuttavia, sembrerebbe entrato in crisi a causa della perdita di autorevolezza della classe politica (complice il tramonto dei partiti tradizionali), la quale avrebbe trascinato giù con sé anche la dimensione programmatica della Costituzione e lasciato sul proscenio la nuda norma giuridica. Proscenio dove, peraltro, quest’ultima non reciterebbe in solitudine quanto in compagnia di attori diversi, come quelle dichiarazioni e trattati internazionali sui diritti dell’uomo che fanno ormai parte a pieno titolo dell’ordine costituzionale evocato sopra.
A questa conclusione, si potrebbe forse obiettare come Fioravanti stesso ricordi che il principio di solidarietà è, e non potrebbe non essere, presente nella giurisprudenza della Corte Costituzionale a tal punto da imporre di precisare in che senso assisteremmo ad una “crisi della solidarietà” (Fioravanti, a p.116, propone la formula “inviolabilità senza solidarietà” e imputa questa deriva anche all’aggressione rivolta al secondo dei due termini dalle dottrine neo-liberal p.110): essa, sembra suggerire anche l’autore, si potrebbe predicare non ai principi del nostro ordinamento in sé considerati quanto al modo in cui la solidarietà viene perseguita, se posto in rapporto con il disegno originario della nostra architettura istituzionale (cfr. pp.122 e ss.).
Più che una crisi del principio, dunque, una crisi dell’istituzione: il primo, passato dal dominio della politica a quello del diritto e divenuto esso stesso inviolabile, vivrebbe oramai più nelle sentenze che nelle leggi. Chi scrive terrebbe ad aggiungere, d’altronde, che un esito simile non sembra comunque entusiasmante poiché rischia di scaricare sui giudici non solo l’esercizio della funzione di garanzia che è loro propria ma anche il compito di realizzare “in supplenza” quelle promesse che Parlamento e Governo non paiono più capaci di mantenere, di risolvere con gli strumenti del processo (in particolare quello costituzionale) tensioni e conflitti che, almeno nelle intenzioni del costituente, avrebbero dovuto essere affrontati con tecniche ben diverse.
1 http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2015-04-30/pensioni-consulta-boccia-norma-fornero-blocco-perequazione-vale-5-miliardi-155939.shtml?uuid=AB2pUYYD; la sentenza è disponibile, corredata (come tutte) anche da un elenco di note di autori vari, in https://www.cortecostituzionale.it/actionGiurisprudenza.do .
2 Il riferimento alla sentenza citata, invero stringatissimo, è a pp. 125-126.
3 Per tutti, se vada Appunti di storia delle costituzioni moderne. Le libertà fondamentali, Giappichelli, Torino, 2014, III ed., in particolare l’ultimo capitolo.
4 È questo: “Ogni società in cui la garanzia dei diritti non è assicurata, né la separazione dei poteri stabilita, non ha una costituzione”. E’ vero che la Francia degli anni successivi pullolerà di costituzioni, anche molto diverse fra loro, ma ciò non toglie che l’assunto di fondo rimanga lo stesso: strumento di tutela dei diritti è la legge e la legge la decide il legislatore sovrano, tendenzialmente senza vincoli. Non esiste un “diritto indisponibile”.
5 Esso recita al comma 1: “La libertà personale è inviolabile”.
6 Piace riportare un passo, dal par. 2.1: “La Costituzione italiana contiene alcuni principi supremi che non possono essere sovvertiti o modificati nel loro contenuto essenziale neppure da leggi di revisione costituzionale o da altre leggi costituzionali. Tali sono tanto i principi che la stessa Costituzione esplicitamente prevede come limiti assoluti al potere di revisione costituzionale, quale la forma repubblicana (art. 139 Cost.), quanto i principi che, pur non essendo espressamente menzionati fra quelli non assoggettabili al procedimento di revisione costituzionale, appartengono all’essenza dei valori supremi sui quali si fonda la Costituzione italiana”.
7 Cfr. M. Fioravanti, La trasformazione costituzionale, in “Rivista trimestrale di diritto pubblico”, (LXIV) 2014, 2, in particolare pp. 301-302.
8 Cfr. E. Cheli, Nata per unire. La Costituzione italiana tra storia e politica, Bologna, Il Mulino, 2012, pp. 29 e ss.