Scritto da Lorenzo Benassi Roversi
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Deglobalizzazione, inflazione persistente, stretta generalizzata sui tassi d’interesse e timori di recessione globale: è questo il quadro che la congiuntura attuale ci consegna. Il tutto in un contesto internazionale che sembra aver superato la logica della mera concorrenza di mercato per orientarsi verso forme di competizione geopolitica in cui le tecnologie – intelligenza artificiale in primis – avranno parte centrale. I fenomeni dell’attualità si ripercuotono in modo diverso nei singoli contesti nazionali e il sistema produttivo italiano, che finora ha sopportato bene gli stress, rischia di soffrire particolarmente in ragione della dimensione delle sue imprese. La presenza di tante piccole imprese e microimprese costituisce uno dei tratti caratteristici del Paese e già oggi i rialzi dei tassi operati dalla Banca centrale europea sembrano mettere in difficoltà le realtà meno strutturate. La facilità e la tempestività nel ricorso al credito, insieme alla digitalizzazione, possono essere un fattore decisivo di resilienza per l’intero sistema delle piccole e medie imprese. Ma il modello tradizionale di relazione tra banca e impresa deve cambiare e in questa trasformazione l’intelligenza artificiale può avere parte importante. Ne abbiamo parlato con Roberto Nicastro, banchiere, già direttore generale di Unicredit e vicepresidente di Ubi Banca, oggi alla presidenza di AideXa, banca fintech che ha contribuito a fondare. Nicastro è inoltre fondatore di Rnk, società che lavora con il fondo di investimento Cerberus e che investe in startup tecnologiche.
Prima i tassi negativi durante il periodo pandemico, poi il più generalizzato aumento dei tassi che si ricordi. In che momento ci troviamo? Come valuta le politiche della BCE e delle altre banche centrali?
Roberto Nicastro: La quantità di moneta immessa nel sistema finanziario negli ultimi anni – a partire da ancor prima della pandemia, dall’adozione del quantitative easing – è stata di dimensioni imponenti, come emerge dall’incremento materiale degli attivi delle banche centrali. In condizioni più vicine alla norma, l’inflazione avrebbe dovuto iniziare già da tempo, ma è stata frenata da vari fattori. Tra questi anche la globalizzazione, che ha portato dentro i mercati e i circuiti di produzione masse ingenti di cittadini di aree del mondo prima escluse. Ciò ha limitato le ripercussioni in termini inflattivi. Lo shock pandemico prima e quello bellico a seguire hanno determinato esiti di deglobalizzazione che, in un quadro di aumento della massa monetaria in circolazione, hanno finito per contribuire all’ondata inflattiva, divenuta inevitabile. A questo punto le banche centrali hanno cominciato a stringere, forse con un po’ di ritardo, pur sapendo di rischiare di ingenerare dinamiche di recessione.
L’inflazione è un nemico così temibile da dover rischiare una recessione globale per frenarla? Non teme che la cura sia troppo drastica?
Roberto Nicastro: Possiamo chiederci se l’aumento generalizzato dei tassi non sia stato troppo brusco e se non sia arrivato troppo tardi, ma sappiamo bene che non si può fare diversamente: l’inflazione penalizza i ceti più deboli, pensionati e lavoratori subordinati. Va combattuta con decisione perché, oltre un certo livello, mette a rischio la tenuta sociale.
Ad oggi però registriamo un doppio svantaggio: l’inflazione è scesa sotto il 6% ma è ancora alta, e soprattutto rimane elevata – sopra al 10% – l’inflazione del carrello della spesa, che incide sui consumi più difficilmente comprimibili. Al contempo, i tassi sui mutui sono schizzati in alto: il Barometro Crif registra aumenti delle rate che in media arrivano al 28%, con punte fino al 40%. La Federazione autonoma bancari italiani (Fabi) segnala 15 miliardi di rate di mutui non pagate dalle famiglie italiane. Rischiamo una nuova ondata di crediti deteriorati?
Roberto Nicastro: L’incremento forte dei tassi ha il fine di raffreddare l’economia. Non esiste la formula magica per cui si abbassa l’inflazione mentre si continua a crescere come se niente fosse. Dal momento in cui si alzano i tassi al momento in cui si ottiene il raffreddamento dell’economia c’è un lag temporale noto che va da 6 a 12 mesi. L’impazienza dei falchi del Nord Europa, tradizionalmente meno inclini a tollerare l’inflazione, rischia di spingere la Banca centrale europea ad alzare troppo i tassi in attesa di vedere presto i risultati, con il rischio di un atterraggio tutt’altro che morbido. Oggi l’impatto maggiore, in termini di rallentamento dell’economia, sembra colpire più la Germania che noi. Questo stato di cose potrebbe indurre i falchi della Banca centrale europea ad una linea più mite nei prossimi tempi. Per quanto riguarda i mutui: chi ne ha contratti a tasso fisso non ha sorprese. Chi ha fatto mutui a tasso variabile incorre in un aumento della rata. Se il mutuo era acceso da tempo possiamo immaginare che i vantaggi ottenuti in tempi di tassi bassi in qualche modo compensino gli attuali incrementi delle rate, mentre se il mutuo è acceso da poco è difficile negare che ci sia un problema di equità. Ovviamente, l’aumento dei tassi e il rallentamento dell’economia possono generare rischi di deterioramento dei crediti, ad oggi però i segnali sono deboli. Sul tema, tutte le banche sono in allerta.
Finora l’aumento dei tassi di interesse ha inciso positivamente sull’attività bancaria e sul valore dei titoli in borsa. Ora con il “decreto Omnibus” il governo ha preso l’iniziativa inattesa di tassare al 40%, in via straordinaria, gli extraprofitti bancari legati agli aumenti dei tassi, per finanziare taglio del cuneo fiscale e fondo per i mutui. Che dire a riguardo?
Roberto Nicastro: Si è trattata di quella che potremmo definire una “manovra balneare”, anche po’ incauta. Andava preparata meglio sentendo le parti in causa e coinvolgendo le strutture competenti. Le modalità di annuncio sono state irrispettose di mercati e risparmiatori e hanno fatto male alla credibilità del sistema Paese verso gli investitori internazionali. Tecnicamente è una tassa irrituale, su una porzione dei ricavi, che penalizza allo stesso modo sia quegli operatori del mondo bancario che praticano margini più ampi tra tassi attivi e tassi passivi, sia quelli che stanno aumentando i volumi di credito verso l’economia reale – il che appare decisamente controintuitivo. Non si risolve il problema citato della sottoremunerazione dei correntisti e si producono gli stessi effetti sia su banche in utile, sia su banche in perdita. La norma non tocca invece chi fa solo reddito commissionale. Speriamo che in sede di conversione vengano apportati correttivi equilibrati e non prevalgano istinti superficiali e populisti.
Torniamo sulla deglobalizzazione. A seguito della pandemia e ancor più con la guerra in Ucraina, si è incominciato a parlare di reshoring e friendshoring, la tendenza a riportare a casa o nei Paesi amici le produzioni industriali, così da limitare i rischi geopolitici. Questo però riduce i rapporti economici su scala globale, segmenta i mercati, tende a dividere il mondo in blocchi. Si tratta di trend inevitabili?
Roberto Nicastro: Al momento sembra di sì. Da una parte ci sono le tendenze sovraniste, nazionaliste; dall’altra la percezione di rischi geopolitici che vanno accentuandosi. Il punto è capire quanto saranno forti tali tendenze, quanto dureranno e quanto incideranno sull’andamento dell’inflazione. Perché la deglobalizzazione restringe i circuiti economici e aumenta gli effetti inflattivi. In termini deflazionistici, continua a funzionare la leva dell’innovazione tecnologica, che genera aumenti di produttività.
Arriviamo ad AideXa che applica l’intelligenza artificiale all’attività bancaria, col target delle imprese piccole e micro. Con che idea nasce?
Roberto Nicastro: Siamo partiti dal problema da risolvere: i ticket finanziari più contenuti – prestiti da 50-100.000 euro –, che rischiano di venire trascurati dalle banche perché molto labour intensive e poco remunerativi. Ci si trova, in questi casi, in una situazione di market failure: i costi operativi rendono sconveniente alle banche trattare i piccoli prestiti e i tempi di attesa scoraggiano le imprese. Microimprese e piccole imprese raramente hanno pianificazioni finanziarie sofisticate di lungo periodo, quando si recano in banca hanno bisogno di risposte se non immediate, molto veloci. Aspettare mesi rende inutile la richiesta.
Qual è stata la soluzione proposta?
Roberto Nicastro: Importante è stata la direttiva europea PS2, che ha reso possibile la condivisione dei dati di conto corrente. Ciò permette ad AideXa di dare risposte immediate, applicando l’intelligenza artificiale ai dati che il cliente mette a disposizione. Abbiamo realizzato un algoritmo di intelligenza artificiale che esamina i flussi di conto degli ultimi 12 mesi del cliente. La decisione si prende sulla base di un modello proprietario di stima della probabilità di default di chi richiede il prestito. Questo metodo ha due vantaggi: il primo è relativo ai dati di flusso, che sono più freschi e più attendibili di quelli di bilancio. Il bilancio ha un potere preventivo piuttosto parziale, perché non è aggiornato, è sintetico, a volte non del tutto veritiero. Il secondo vantaggio è che l’applicazione automatica dell’intelligenza artificiale ai dati permette di realizzare una valutazione creditizia molto attendibile in tempi brevissimi, ottenendo risposte rapide e veloci, evitando alla banca i costi operativi del personale e al cliente i tempi di attesa.
La quantità delle piccole e microimprese, molto più alta che nelle altre economie avanzate, è spesso indicata come uno degli elementi di limite del Paese. Che dire a riguardo?
Roberto Nicastro: Le microimprese – sotto i 10 addetti e i 2 milioni di fatturato – sono oltre 4 milioni e rappresentano il 27% del PIL italiano. Se saliamo fino ai 10 milioni di fatturato, troviamo un altro milione di imprese e ci avviciniamo alla metà del prodotto interno lordo del Paese. Si dice che le piccole imprese dovrebbero fondersi, questa però non è la strada intrapresa finora dagli imprenditori. Forse, se vogliamo, anche perché il nostro è un Paese che tende all’individualismo. Bisogna considerare che, aldilà di ogni teoria, è questa la struttura del nostro sistema produttivo, il suo DNA. Possiamo incentivare fusioni e acquisizioni, ma non possiamo cambiare i cromosomi della nostra economia. Piccolo non è né bello, né brutto. È un fatto. Più che lamentarsene, è necessario adoperarsi per mettere le imprese in condizione di lavorare al meglio possibile.
Quale ricetta propone?
Roberto Nicastro: Innanzitutto, l’obiettivo è da perseguire attraverso la crescita delle competenze, quelle digitali in primis. La capacità di usare la tecnologia almeno in parte può supplire ai limiti dimensionali. Il punto non è fare sconti alle PMI, proteggendole o sussidiandole, ma farle crescere in termini qualitativi. Credito e competenze sono centrali.
Non la preoccupano i rischi che da più parti si accusano nella scelta di affidare quote crescenti di attività agli algoritmi?
Roberto Nicastro: Gli strumenti a disposizione sono potenzialmente produttivi di impatti ancora difficili da valutare. Per cui è giusto e prudente uno stato di allerta, che non deve però trasformarsi in allarme ingiustificato. Se guardo all’intelligenza artificiale generativa vedo anche molti benefici potenziali. Una migliore gestione delle richieste di credito delle PMI è la nostra scommessa, ma già ora stiamo immaginando altre applicazioni. Ad esempio, la possibilità di usare soluzioni che permettano una migliore comprensione da parte del cliente delle condizioni alle quali ottenere credito, soluzioni per gestire le interlocuzioni dirette. Si tratta di attività difficili da garantire per prestiti di entità ridotta, sui quali le marginalità sono contenute e non riescono ad assorbire il costo dei collaboratori dedicati.
Torniamo alle aziende di piccole dimensioni. I dati della Banca centrale europea e di Banca d’Italia mostrano come la stretta creditizia provochi una contrazione dei prestiti che tocca in primis le piccole e medie imprese.
Roberto Nicastro: La contrazione c’è. La stretta finanziaria già ora impatta sulle PMI, le prime a sentire il cambio di aria. A marcare la differenza saranno le scelte del governo nella legge finanziaria, in particolare se verranno confermati o meno gli attuali sistemi di garanzia per le PMI. Se si andrà verso forme di ridimensionamento, dovranno essere graduali e venire accompagnate da un sistema progressivo che preveda aliquote di garanzia più alte per le imprese più piccole. In alternativa, si rischia di subire un duro colpo.
Non di rado le PMI in Italia lamentano una certa ritrosia delle banche nel riconoscere il merito di credito. È possibile guardare alle piccole imprese anche in considerazione della solidità delle filiere in cui si inseriscono?
Roberto Nicastro: Il tema è corretto. Teniamo conto però che le piccole e le microimprese inserite in filiera sono una parte del totale ben lontana dalla maggioranza. Di norma, le imprese che hanno ruolo stabile in filiera sono già più strutturate. Come dicevo, la difficoltà di relazione con le banche è dovuta agli scarsi incentivi economici che i piccoli prestiti comportano: assorbono tempo, richiedono burocrazia e rendono poco.
Lei ha trascorso una vita nell’alta finanza, con ruoli di vertice in una delle più importanti banche del Paese, Unicredit. Perché la scelta di fondare una startup nel mondo bancario?
Roberto Nicastro: Da sempre sono convinto che il credito alle PMI sia uno dei problemi irrisolti del nostro Paese, data anche la struttura del sistema produttivo. Oggi la tecnologia permette di dare una risposta, che non passa per forza dalle grandi banche, ma si riferisce soprattutto alla capacità di applicare soluzioni intelligenti. La startup che abbiamo fondato interpreta questo paradigma.
Il suo nome è associato anche a Rnk, realtà attiva nel fintech. Cosa racconta tale esperienza?
Roberto Nicastro: Rnk fa advisory al fondo di investimento Cerberus in materia di real estate e npl a livello europeo. Ci occupiamo inoltre di investimenti in startup tecnologiche, anche in ambito finanziario. Le aziende fintech tendono a concentrarsi su un bisogno specifico, tentando di dare una risposta efficace ad esso. Per massimizzare i vantaggi delle iniziative di startup di tecnologia finanziaria spesso si promuove un’alleanza con le grandi aziende del settore. Un po’ come accaduto nell’ambito farmaceutico con i vaccini, messi a punto da startup spesso vicine all’Università, come Biontech e Moderna e poi sviluppati da grandi aziende farmaceutiche. Non di rado, l’innovazione si produce attraverso questa alleanza. Con AideXa abbiamo tentato una via differente, scegliendo di trasformarci in una banca a tutti gli effetti. In Italia, abbiamo varie startup del mondo finanziario che hanno saputo affermarsi, penso a Mutui Online o Satispay, che oggi sta avendo grande successo.