Recensione a: Giuseppe De Ruvo, Da Hegel a TikTok. Metafisica e geopolitica del capitalismo digitale, Prefazione di Lucio Caracciolo, EBS, Lesmo 2022, pp. 474, 18 euro (scheda libro)
Scritto da Giovanni Soda
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Il 14 ottobre 1806, sotto le mura di Jena passava un cavallo con in sella l’Empereur Napoleone Bonaparte. Georg Wilhelm Friedrich Hegel vide questa scena e la descrisse come la manifestazione dell’anima del mondo: era il compimento di un’epoca, veniva raggiunta una pietra miliare della storia. Duecentodiciassette anni dopo, dove vedremo, noi cittadini del XXI secolo, passare l’anima del mondo? Perché che essa passi ancora, che sia ancora condannata a passare, è indubbio, nonostante qualcuno, ingenuamente, abbia creduto il contrario.
In anni ricchi di turbamenti e segnati dal “ritorno della Storia” si sono moltiplicati i tentativi di fornire, nuovamente, una lettura alla nostra epoca: definirne i caratteri, comprenderne le logiche, formularne un giudizio e prospettarne il futuro. Ad oggi questo compito pare non più rimandabile. Da Hegel a TikTok. Metafisica e geopolitica del digitale di Giuseppe De Ruvo si muove esattamente in questa direzione. L’autore propone di interpretare la rivoluzione digitale non come una sorta di “evento” casuale, sorto spontaneamente e privo di un passato alle spalle; al contrario, ciò che noi chiamiamo “Internet” deve essere collocato nella Storia. In questa direzione si muove De Ruvo che, con sistematicità, dedica un capitolo ad ogni questione: il primo colloca l’ontologia digitale nella storia dell’ontologia, il secondo inserisce la vita online nella storia della Lebenswelt, il terzo situa il contemporaneo capitalismo digitale nella storia del capitalismo e, infine, il quarto pone la traccia informatica (i celebri Big Data) nella storia della traccia e della scrittura. Questo è il contenuto della prima parte del libro, è la “metafisica del digitale” che colloca Internet nella Storia e spalanca le porte alla riflessione sulla geopolitica, vale a dire sulla Storia analizzata al momento presente.
La prima parte del lavoro è intitolata “metafisica del digitale”. Un libro che voglia indagare una tale questione, il legame fra la storia della metafisica e Internet, non può che cominciare dalla filosofia di Hegel poiché in essa, secondo una celebre definizione data da Engels in Il socialismo dall’utopia alla scienza, «ci si presenta anzitutto il quadro di un infinito intreccio di nessi e di azioni reciproche, in cui nulla rimane ciò che era, dove era e come era, ma tutto si muove, cambia, nasce e perisce». Il grande filosofo idealista ha fornito, secondo De Ruvo, un concetto cruciale per comprendere la moderna struttura del digitale: è la nozione di Wirklichkeit. Termine intraducibile ma approssimabile come “realtà effettiva” che indica il fondamentale concetto (esposto nella Fenomenologia dello spirito e, soprattutto, nella Scienza della logica) secondo cui la realtà è il movimento della sostanza «che si pone e si toglie continuamente» (p. 57). A partire da questa idea, e dalla sua fondamentale rielaborazione in chiave sociologica operata da Georg Simmel all’inizio del Novecento, è possibile comprendere come la società online sia la massima espressione di quel modo di ragionare secondo cui ogni individuo è pensabile solo nel suo costante relazionarsi ad altro. Internet è Wirklichkeit nella misura in cui è un sistema di informazioni in continuo movimento che si riforma continuamente sulla base delle informazioni di cui dispone.
Il primo capitolo, dunque, si conclude con quella che potremmo chiamare un’ontologia relazionale di Internet e della società digitale, elaborata attraverso Hegel e Simmel. Proprio dal celebre sociologo berlinese, poi, ricomincia la riflessione. Non è, forse, Internet la nuova metropoli in cui ognuno si relaziona ad un’enorme massa di persone a partire da certi idealtipi? Anche nel mondo digitale è all’opera la medesima tipizzazione che investiva le città all’inizio del XX secolo. Proprio in quella circostanza la filosofia sentì il dovere di domandarsi “che ne è nella vita in questo contesto?”; similmente, De Ruvo si chiede “che ne è della vita su Internet?”. Per rispondere a questo interrogativo si aggiungono, accanto a Simmel, Husserl e Heidegger. La Lebenswelt, il mondo-della-vita, diviene progressivamente algoritmizzata, ovvero mediata nella specifica forma dell’algoritmo che non si limita ad essere un medium fra un individuo e un altro, ma che opera una radicale operazione di calcolo e previsione dei nostri comportamenti. In altre parole, l’algoritmo non è meramente il mezzo che filtra il mondo-della-vita ma diventa il mondo-della-vita. L’immensa capacità calcolante, profilante e “visionaria” dell’algoritmo comporta la completa “statisticizzazione” della società e la «perfetta sostituibilità del singolo» (p. 167).
In questo humus si instaura il capitalismo digitale, certamente un nuovo capitolo del capitalismo classico ma, argomenta l’autore, non inedito né astratto dalla storia del capitalismo, sia esso industriale o finanziario. Le odierne tecnologie di profilazione e di advertising personalizzato sviluppate da Google, Amazon e altri colossi contemporanei restringono eccezionalmente quella distanza tra produttore e consumatore che, secondo Marx, costituiva il «salto mortale della merce». Parallela alla metamorfosi del capitalismo avviene la metamorfosi del capitalista; Jeff Bezos, Elon Musk e Mark Zuckerberg vengono analizzati a partire dagli studi di Werner Sombart e Joseph Schumpeter per delinearne le caratteristiche e sottolinearne le differenze rispetto alla visione tradizionale del capitalista “tuba e orologio da taschino”, andando a considerare anche in che modo questo “cambio d’identità” influisca sulla vecchia intuizione marxiana della lotta di classe.
Si presenta, inoltre, un’altra questione strettamente connessa a quella economica: il problema politico di accesso ai dati. De Ruvo coglie quel sentimento di “essere tracciati” che ognuno di noi ha provato almeno una volta. Per analizzare questa tematica e ri-attualizzare le nozioni foucaultiane di sicurezza e sorveglianza in un’epoca che il grande “archeologo” francese non ha potuto vedere, l’autore si cimenta in una “genealogia dell’essere tracciati” a partire da Jacques Derrida. Nei testi del filosofo franco-algerino l’autore ritrova alcune idee fondamentali per afferrare l’odierno mondo digitale. I concetti di “traccia” e “archivio” permettono di riflettere sul modo tramite cui il web archivia i dati e permette la sorveglianza. L’archivio accumula tracce (cioè i dati) e le fa giocare fra di loro in un sistema in cui si genera la legge.
A partire da ciò l’autore critica l’idea secondo cui le big tech sarebbero aziende che superano e svuotano di potere i singoli Stati; piuttosto, il possesso dei dati costituisce tanto una questione economica quanto di sicurezza. Per chiarire l’odierno rapporto fra economia e Stato, l’autore – fedele alla traiettoria teoretica del libro – intende inserire anche quest’ultimo capitolo all’interno della sua storia. Seguendo l’analisi di Foucault, esposta in Nascita della biopolitica, vengono posti a confronto il paradigma liberale e quello neoliberale all’interno del quadro dell’interazione reciproca (Wechselwirkung) fra economia e Stato. Per Adam Smith l’economia aveva valore in quanto produttrice di “ricchezza delle nazioni”; contrariamente, per Friedrich von Hayek e gli economisti del Dopoguerra è piuttosto lo Stato a trovare legittimità nell’economia. Come stanno le cose al giorno d’oggi nel rapporto fra Stato e big tech? L’autore ricorda come i due paradigmi suddetti siano il prodotto di determinate circostanze geopolitiche (indicativamente la fine della Guerra dei trent’anni e della Seconda guerra mondiale); al giorno d’oggi la crescente minaccia cinese e russa all’egemonia degli Stati Uniti porta a ridefinire il rapporto fra economia (digitale) e Stato. I dati estratti dall’algoritmo non sono una mera questione economica, essi interessano anche la sicurezza nazionale, nel cui nome viene condotta la guerra digitale che ha come attori principali Cina e Stati Uniti.
A partire da questi ultimi rilievi De Ruvo inizia la seconda parte del testo dedicata alla “geopolitica del digitale”. Qui si potrebbe muovere un’obiezione all’autore, una critica che affonda le sue radici in un pregiudizio molto diffuso nel dibattito pubblico, e domandare quale sia “l’utilità” di svolgere una riflessione filosofica propedeutica ad una “concreta” analisi geopolitica. L’ingenuità della critica, in verità, viene già disinnescata da quanto abbiamo riassunto in precedenza: il tentativo di collocare Internet nella storia della filosofia ha prodotto una serie di scintille che gettano una luce peculiare sul presente nella misura in cui, fornendo un quadro storico, annullano i patetici sentimenti di “stupore” e “meraviglia” che proviamo d’innanzi alla novità tecnologica e che, se presi seriamente, non portano altro che emiplegia morale e politica.
Sulle nostre vite algoritmizzate si giocano i conflitti geopolitici. De Ruvo descrive il movimento delle due potenze in lotta: da un lato il vecchio impero americano, che deve difendere la sua egemonia; dall’altro la Cina, “nuovo” impero che pone una seria sfida a questo primato. Dal punto di vista digitale sono, rispettivamente, «la più grande potenza tecnologica del pianeta contro la più grande banca dati del pianeta» (p. 317). L’autore ripercorre, dal punto di vista della rivoluzione digitale e dell’innovazione tecnologica, l’itinerario storico che porta le due superpotenze allo scontro analizzando non solo politiche adottate e strategie formulate ma ponendo anche l’attenzione sui modi di ragionare, le idee e le filosofie adottate dai principali attori politici, tenendo fede all’antica intuizione di Aristotele secondo cui il politico opera tanto nell’azione quanto nella parola.
Affermare genericamente che Stati Uniti e Cina si scontrano “sui dati” e “sul digitale” non è sufficiente; lo scontro avviene, secondo l’autore, in due direzioni: una è all’opera nel presente, l’altra è proiettata nel futuro. A proposito di quest’ultimo punto: TikTok è un’applicazione utilizzata principalmente da giovanissimi under 18 è diffusa in tutto il mondo, tranne – non per caso – in Cina, dove viene utilizzato un alter ego locale: Douyin. Entrambe le applicazioni sono cinesi, simili nell’algoritmo e nel ruolo strategico giocato; proprio l’età bassissima della loro utenza è di importanza fondamentale: raccogliere i dati della classe dirigente del futuro tramite un algoritmo che decide i contenuti e indirizza i consumi implica la possibilità di dirigere realmente la formazione della personalità. D’altronde, ciò è già avvenuto, e sta avvenendo, in Cina, dove Douyin è un’arma nelle mani del Partito Comunista Cinese: unendo un Paese enorme e differenziato come la Cina, il social contribuisce alla costruzione del sentimento di unità nazionale e di uno spirito di mobilitazione che il Partito ricercava da tempo.
Oltre alle potenzialità future di tali algoritmi, deve essere indagato anche un conflitto già del presente. In questo senso, De Ruvo ricostruisce il processo che ha portato alla richiesta, poi negata da un giudice, di Donald Trump che, nel 2020, chiedeva il ban di TikTok. Nella vicenda, ancora una volta, agisce con forza l’azione reciproca (Wechselwirkung); un complesso gioco politico e diplomatico si consuma fra Cina, Hong Kong, TikTok, il suo CEO americano, l’America stessa – prima con Trump e poi con Biden – Zuckerberg e i giudici americani e che coinvolge anche l’Unione Europea. Lo spazio che separa Hong Kong, avanguardia orientale cinese, e Taiwan, retroguardia occidentale americana, è propriamente lo spazio dove si potrebbe giocare il conflitto militare. Il ruolo dell’algoritmo, specialmente dei social TikTok/Douyin sarà, secondo l’autore, quello ideologico di misurare, calibrare e dirigere l’opinione pubblica e il sentimento di partecipazione all’ipotetico scontro; oltre ad una potenziale funzione di spionaggio nonché di indirizzamento “in negativo” dell’opinione pubblica altrui.
Conclude De Ruvo: certamente “non moriremo per TikTok”, ma non possiamo nemmeno sottovalutarlo. Ritornare nella Storia, afferrare i tratti fondamentali del nostro tempo caotico e mettere a punto una strategia, questo è il compito che ci spetta. In questo senso, la missione della filosofia deve essere quella di risvegliare l’Occidente e armonizzare, ancora una volta, la Storia già fatta e quella ancora da fare; poiché, anche se l’abbiamo dimenticato, queste due dimensioni non possono essere separate. Solo così saremo, ancora una volta, all’altezza dei tempi: tempi caotici, confusi, sintomo di un’epoca in cui tutto è a soqquadro, al punto che l’anima del mondo, invece di passare a cavallo sotto le mura di Jena, ci sfila davanti su TikTok.