Scritto da Giuseppe Russo
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La scienza moderna – detta, per antonomasia, classica – si è a lungo servita della nozione di necessità, descrivendo, deterministicamente, un mondo naturale disincantato: la viva phýsis dei Greci, l’esistenza dei quali – notò Bruno Snell – «si rispecchia[va] negli dèi»[1], fu infatti sostituita, nel Seicento, dall’infeconda e calcolabile natura meccanica, che Galileo Galilei, resecata la varia qualità degli oggetti, credeva scritta in un’algida «lingua matematica»[2]. Esito paradossale, questo, che Ilya Prigogine e Isabelle Stengers, ne La nuova alleanza (1978), riassumevano così:
La scienza […] ha rivelato all’uomo una natura passiva e morta, una natura che si comporta come un automa, che, una volta programmato, segue eternamente le regole scritte sul suo programma. In questo senso il dialogo con la natura ha isolato l’uomo dalla natura, piuttosto di metterlo a più stretto contatto con essa. Uno dei più grandi successi della ragione umana è diventato una triste verità. La scienza è stata vista come una cosa che disincanta tutto ciò che tocca[3].
Autómatos governato dalla ferrea disciplina delle traiettorie dinamiche, la natura sarebbe perciò manipolabile dagli uomini, spettatori estranei ma «quasi padroni e possessori»[4] di essa. Con Newton, Mosè dell’evo moderno, la scienza, identificati linguaggio fisico-matematico e meccanica, si illuse di aver definitivamente risolto l’enigma del cosmo, formulando la legge di gravitazione universale, capace di stringere insieme cielo e terra[5]. Unità del mondo, lunare e sublunare, conquistata a scapito del realismo, dal momento che la scienza raffigura una natura idealizzata e stupida, prevedibile e senza tempo (e prevedibile perché senza tempo, prigioniera della morta ripetitività dell’eterno)[6]. Esorcizzare l’abnorme, carattere del divenire, fu, del resto, il risultato, perseguito inconsapevolmente, dell’avventura della scienza classica, che, lungi dal comporre lo iato aristotelico tra fisica terrestre e fisica celeste, elideva uno dei due termini, installando Urano incorruttibile nel dominio caduco di Gea[7].
Il mondo eterno, descritto dalla dinamica, era contraddistinto, d’altronde, dalla reversibilità[8], stante la spazializzazione del tempo, percorribile in ogni senso (tempo ≡ movimento)[9]. Con buona pace di chi, nel riduzionismo scientista, vedeva frustrata l’intelligenza di «quella pura inquietudine della vita e distinzione assoluta, che è il tempo»[10]. Tale rappresentazione, del tutto controintuitiva, espelleva l’uomo, segnato dalla finitudine, dall’ambiente naturale, costituito, in ipotesi, da fenomeni sciolti dall’orizzonte diacronico. Di qui l’emergenza di sentimenti stranianti, giacché
quello che un’evoluzione dinamica ha compiuto, un’altra evoluzione, definita dall’inversione della velocità, lo può disfare e ripristinare una situazione identica alla situazione iniziale. […] \ La scienza attiva si trova così […] straniera nel mondo reversibile che essa descrive […]. Tutti conoscono l’impressione di assurdità che suscitano i film proiettati alla rovescia, lo spettacolo di un fiammifero che la sua fiamma ricostituisce, dei calamai rotti che si rimettono insieme e risalgono su una tavola dopo che l’inchiostro vi si sia concentrato, dei rami che ringiovaniscono e ridiventano germogli. Il mondo dinamico definisce simili evoluzioni come possibili, allo stesso titolo delle loro inverse che ci sono note[11].
Una scienza siffatta, preoccupata soltanto di comprendere l’estrinseco moto dei corpi, non era dunque in grado di penetrare la vita, che, produttrice di scarti inabolibili, ignora la reversibilità delle traiettorie, né risponde alla causalità efficiente, supponendola unica. Se ne avvedrà, nel Settecento, Diderot, contestando, fra i primi, le acquisizioni della meccanica razionale, in difesa di una presunta materia sensibile[12]; e poi, in epoca romantica, l’Hegel sistematico, che, nell’Enciclopedia, collocherà la Natura, quale termine medio, tra il Logo e lo Spirito[13], riabilitando
tutto ciò che era stato negato dalla scienza newtoniana, in particolare le differenze qualitative tra il comportamento semplice descritto dalla meccanica e quello degli esseri più complessi come gli esseri viventi. [La filosofia hegeliana] si oppone all’idea di riduzione, all’idea che le differenze sono soltanto apparenti e che la natura è fondamentalmente omogena e semplice. Ad essa contrappone l’idea di una gerarchia nel cui seno ogni livello è condizionato dal livello precedente che egli supera e di cui nega le limitazioni per condizionare a sua volta il livello successivo che manifesterà più adeguatamente, in modo meno limitato, lo spirito all’opera nella natura[14].
Consapevolezza maturata pure dall’epistemologia durante l’Ottocento, che, secolo della storia, infrangerà con la legge di Fourier l’eguaglianza, arbitrariamente postulata tra formalismo matematico e descrizione meccanica[15], congedando la scienza dell’oggetto adiabatico, sollecitato dagli urti esterni tra le masse, per inaugurare la più realistica scienza dei processi termici, trasformativi della stessa materia[16]. La storia, dunque, faceva prepotentemente ingresso nel dominio della natura, con l’escogitazione, a opera di Clausius, del concetto d’entropia, il quale, «“indicatore d’evoluzione”, esprime il fatto che in fisica esiste una “freccia del tempo”»[17]. Oggetto termodinamico, occorre inoltre dire, la cui evoluzione non poteva essere orientata a piacere, sviluppandosi, lontano dall’equilibrio, spontaneamente, fino all’estremo – impensabile, nell’ottica angosciosa dello stato attrattore più probabile, o morte termica – di operare vere e proprie scelte, del tutto individuali, sulla scorta dell’anteriore storia del sistema. Ciò perché,
lontano dall’equilibrio, un regime di funzionamento può assomigliare ad una organizzazione […] risultato dell’amplificazione di una deviazione microscopica che, al “momento giusto”, ha privilegiato un cammino reattivo a scapito di altri cammini ugualmente possibili[18].
Crollava, così, il mondo della necessità, a cui subentrava, libero di seguire un percorso evolutivo singolare, quello delle possibilità, in cui passato e futuro non sono tautologicamente compresi nell’adesso[19]. La stessa legalità fisica smetteva d’essere deterministica, per descrivere solo «probabilità d’evoluzione»[20]. In tal mondo possibile, dove il tempo permea di sé ogni scala, macro e microscopica, l’uomo non è più straniero; egli si riconosce invece figlio dalla natura[21] entro l’«Universo di partecipazione», in quanto
la scoperta che i processi irreversibili coinvolgono tutto, dalle particelle elementari agli eventi cosmologici, mostra che questo è un aspetto comune all’intero Universo. Più precisamente, l’irreversibilità, la nostra immersione in un’esperienza comune dà senso all’espressione «Universo di partecipazione», il senso che vogliamo attribuirle. […] \ Il concetto di Universo di partecipazione […] vuol dire che tutti gli eventi sono orientati nella stessa direzione: vengono da un comune passato e vanno verso un comune futuro[22].
La nuova immagine del cosmo, freno al potere d’intervento antropico sulla materia[23], impone allora d’instaurare un dialogo positivo con la phýsis, seguendo approcci eco-etici[24], poiché «la natura possiede un’attività intrinseca per cui tende a sfuggire alla dominazione»[25]. Dialogo preparato, anzitutto, dall’
ascolto poetico della natura – nel senso etimologico della parola, per cui un poeta è un artefice – cioè esplorazione attiva, manipolatrice e calcolatrice ma ormai capace di rispettare la natura che essa fa parlare. Fuori dal dialogo con la natura condotto dalla scienza classica, con la sua visione di una natura robotica, si è sviluppata una visione molto diversa, in cui proprio il fatto che noi interroghiamo la natura è parte dell’intrinseca attività della natura[26].
Io e Natura si scoprono, conclusivamente, un’unica entità – definitivo addio al dualismo cartesiano delle res. L’interrogazione scientifica, dunque, anziché dirigersi all’esterno, verso oggetti brutalmente manipolabili, diventa autoanalisi, ossia dialogo della natura con se stessa. È una prospettiva, questa, dispiegata da La nuova alleanza, che incrocia, tra l’altro, le più recenti meditazioni sull’ecologia profonda, prodotte specialmente da Arne Næss[27] a partire dal 1973, anno in cui apparve The Shallow and the Deep, Long-Range Ecology Movement[28].
I paradigmi scientifici, mai eticamente neutri, definiscono perciò la responsabilità morale dei ricercatori[29], i quali, se persuasi di essere nodi dell’onnicomprensiva «rete della vita»[30], agiscono nel rispetto di quella Natura che essi stessi sono, deponendo in contemporanea la logica perniciosa e ostinata della dominazione. Timori per il destino immediato della Terra condivisi anche dalla giurisprudenza, donde il recente progetto neokantiano, elaborato da Luigi Ferrajoli[31], di una costituzione globale, rimedio all’«ecocidio»[32] in atto. All’odierno anarco-capitalismo sarebbero infatti imputabili i «crimini di sistema»[33], inedita figura di illecito giuridico, che, portato della globalizzazione selvaggia, fuoriesce dai quadri della comune dottrina penalistica, a motivo delle difficoltà nell’accertamento sia degli attori coinvolti sia del nesso causale tra condotta delittuosa ed evento catastrofico.
Fin qui poteva spingersi la breve disamina, che intendeva esplicitare, in ultimo, il sottinteso etico politico giuridico della rivoluzione epistemologica cominciata nell’Ottocento, con la scoperta della scienza del calore, e giunta oggi ad annunciare, per bocca di Edgar Morin, l’esistenza dell’unica «comunità di destino uomo/natura»[34].
[1] Bruno Snell, La cultura greca e le origini del pensiero europeo [1946], traduzione di Vera Degli Alberti e Anna Marietti Solmi, Einaudi, Torino 2002, p. 67.
[2] Galileo Galilei, Il Saggiatore [1623], in Id., Opere, 2 voll., a cura di Franz Brunetti, Utet, Torino 1996, vol. 1, p. 631.
[3] Ilya Prigogine e Isabelle Stengers, La nuova alleanza. Metamorfosi della scienza [1978], a cura di Pier Daniele Napolitani, Einaudi, Torino 1999, p. 8 (il corsivo è nostro). Di «disincantamento del mondo» (Entzauberung der Welt) ha innanzitutto parlato, nel 1919, Max Weber, in La scienza come professione, illustrando il processo moderno di razionalizzazione, che, dismesse le anteriori credenze magico-religiose, stima gli oggetti scientificamente intelligibili e tecnicamente manipolabili: v., di lui, Il lavoro intellettuale come professione. Due saggi [1948], nota introduttiva di Delio Cantimori, traduzione di Antonio Giolitti, Einaudi, Torino 1966, p. 20.
[4] Cfr. Renato Cartesio, Discorso sul metodo [1637], traduzione di Adriano Tilgher, in Id., Opere, 2 voll., introduzione di Eugenio Garin, Laterza, Roma-Bari 1967, vol. 1, p. 172.
[5] Ilya Prigogine e Isabelle Stengers, La nuova alleanza, cit., p. 59: «Il trionfo della scienza newtoniana consiste nella scoperta che una sola forza, la forza di gravitazione, determina il movimento dei pianeti, delle comete, e, sulla terra, la caduta dei gravi».
[6] Cfr. ivi, p. 75: «“Tutto è assegnato” vuol dire qui che, fin dal primo istante, non può più “succedere” nulla, non può più “avvenire” alcuna interazione che possa perturbare il movimento pseudoinerziale. A questo punto non è più soltanto il sistema [dinamico], ma ogni sua unità costitutiva, che continua a ripetere, in forme equivalenti, uno stato iniziale di cui non può ignorare il minimo dettaglio» (il corsivo è nostro).
[7] Cfr. ivi, p. 266: «La scienza classica trasportò il Cielo giù sulla Terra. Essa realizzò il sogno di un mondo incorruttibile, che Aristotele considerò il vero oggetto della ricerca intellettuale. \ Tuttavia, apparentemente, questa non era l’intenzione dei padri della scienza moderna. Sfidando la pretesa aristotelica secondo cui la matematica finisce dove comincia la natura, essi non cercavano di scoprire l’immutabile nascosto dietro il cambiamento, ma piuttosto di estendere la natura mutevole e corruttibile fino ai confini dell’Universo» (il corsivo è nostro).
[8] Cfr. ivi, p. 61: «La dinamica fa della reversibilità la proprietà di ogni evoluzione dinamica».
[9] Cfr. ivi, p. 251: «Dall’avvento della dinamica in poi, il tempo ed il moto sono divenuti tanto strettamente legati che sembrava plausibile concludere che il tempo fosse movimento, che il tempo fosse semplicemente il parametro che descrive le traiettorie» (il corsivo è nostro).
[10] Georg Wilhelm Friedrich Hegel, Fenomenologia dello spirito [1807], traduzione di Enrico De Negri [1960], La Nuova Italia, Firenze 1996, p. 27.
[11] Ilya Prigogine e Isabelle Stengers, La nuova alleanza, cit., pp. 61-62 (il corsivo è degli autori).
[12] Cfr. Denis Diderot, Colloquio fra d’Alembert e Diderot [1769], in Id., Opere filosofiche, a cura di Paolo Rossi, Feltrinelli, Milano 1963, pp. 173-193, in part. p. 187: «Per non ammettere un’ipotesi semplice che spiega tutto, la sensibilità, proprietà generale della materia o prodotto dell’organizzazione, voi rinunciate al senso comune e precipitate in un abisso di misteri, di contraddizioni e di assurdità» (il corsivo è nostro).
[13] Cfr. Georg Wilhelm Friedrich Hegel, Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio [1817; 18303], traduzione, prefazione e note di Benedetto Croce [1907], con glossario e indice dei nomi a cura di Nicolao Merker [1967], con una introduzione di Claudio Cesa [1978], con aggiunta delle prefazioni di Hegel tradotte da Angelica Nuzzo [2002], Laterza, Roma-Bari 20092, pp. 217-368.
[14] Ilya Prigogine e Isabelle Stengers, La nuova alleanza, cit., p. 94.
[15] Cfr. ivi, p. 110: «[Nel 1811], nel momento in cui i seguaci di Laplace trionfano e dominano la scienza europea, il barone Jean-Joseph Fourier, prefetto dell’Isère, vince il premio dell’Académie per la sua trattazione teorica sulla propagazione del calore nei solidi. Laplace, Lagrange, e i loro allievi hanno un bel riunire le loro forze per criticare la nuova teoria: devono inchinarsi. Il sogno di Laplace, proprio nel momento della sua più grande gloria, ha subito un primo scacco: c’è ormai una teoria fisica, dotata dello stesso rigore matematico che hanno le leggi del moto e completamente estranea al mondo newtoniano. La fisica matematica e la scienza newtoniana non sono ormai più sinonimi» (il corsivo è nostro); e ivi, p. 269: «La legge della conduzione del calore di Fourier […] fu effettivamente il primo processo irreversibile ad essere espresso quantitativamente, e fu causa di scandalo: l’identità tra formulazioni matematiche di leggi della natura e meccanica classica era stata spezzata per sempre» (il corsivo è nostro).
[16] Cfr. ivi, p. 111: «La gravità agisce sulla massa, inerte, che subisce la gravità senza esserne altrimenti influenzata che dal movimento acquisito o trasmesso. Il calore, invece, trasforma la materia e determina cambiamenti di stato e modificazioni di proprietà intrinseche» (il corsivo è degli autori); e ivi, p. 263: «Nel bel mezzo del trionfo [della scienza newtoniana] giunse l’annuncio fatale della scoperta di una legge matematica della propagazione del calore che trasformerà per sempre la chimica fisica in una scienza irriducibile alla dinamica classica, che ne farà una scienza dei processi» (il corsivo è nostro).
[17] Ivi, p. 127. Cfr., su La storicità della natura, Giuseppe Gembillo e Giuseppe Giordano, Ilya Prigogine. La rivoluzione della complessità, Aracne, Roma 2016, pp. 45-99.
[18] Ilya Prigogine e Isabelle Stengers, La nuova alleanza, cit., pp. 168-169 (il corsivo è dell’autore).
[19] Cfr. ivi, pp. 267 («La descrizione dinamica ci porta ad una tautologia in quanto il presente contiene contemporaneamente il passato ed il futuro») e 270 («Il futuro non è più determinato. Esso non è più necessariamente implicato dal presente»).
[20] Ivi, p. XVI.
[21] Cfr. ivi, p. 275.
[22] Ivi, p. 255.
[23] Cfr. ivi, p. 260: «Non possiamo manipolare la natura a nostro piacimento. Dobbiamo riconoscere più precisamente quali siano le possibilità che ci sono date, a noi che siamo immersi nella natura che descriviamo. […] La scoperta dei processi irreversibili acquista il senso di un riconoscimento dei limiti della manipolazione».
[24] Cfr., per un sintetico sguardo d’insieme sulla recente letteratura eco-etica, Giuseppe Giordano, Risintonizzare i tempi. Nuove consapevolezze del pensiero ecologico, in AA.VV., Giusto in tempo. Pensare il contemporaneo-Just in time. Theorising the Contemporary, a cura di Aisling Reid e Valentina Surace, Mimesis International, s.l. 2023, pp. 17-31, in part. pp. 20-31.
[25] Ilya Prigogine e Isabelle Stengers, La nuova alleanza, cit., p. 269.
[26] Ivi, p. 282.
[27] Fritjof Capra, La rete della vita. Perché l’altruismo è alla base dell’evoluzione [1996], traduzione di Carlo Capararo, Rizzoli, Milano 20147, p. 22: «Questa dilatazione totale dell’Io fino all’identificazione con la Natura è il fondamento dell’ecologia profonda, come riconosce in modo chiaro Arne Naess».
[28] Cfr. Arne Næss, The Shallow and the Deep, Long-Range Ecology Movement. A Summary, «Inquiry», 16 (1973), pp. 95-100.
[29] Cfr., a tal proposito, Giuseppe Giordano, Dalla scienza “estranea” alla scienza “responsabile”. Per una ricostruzione dei fondamenti storico-filosofici e scientifici del pensiero eco-etico, in Id., Da Einstein a Morin. Filosofia e scienza tra due paradigmi, Rubbettino, Soveria Mannelli 2006, pp. 95-132.
[30] The Web of Life è il titolo originale dell’op. cit. di Fritjof Capra, che, a p. 47, dichiara essere «la trama della vita […] fatta di reti all’interno di reti», peraltro non disposte in ordine gerarchico.
[31] Cfr. Luigi Ferrajoli, Per una Costituzione della Terra. L’umanità al bivio, Feltrinelli, Milano 2022.
[32] Cfr. Jeremy Rifkin, Ecocidio. Ascesa e caduta della cultura della carne [1992], traduzione di Paolo Canton, Mondadori, Milano 2001.
[33] Luigi Ferrajoli, Per una Costituzione della Terra, cit., p. 43.
[34] Edgar Morin e Anne Brigitte Kern, Terra-Patria [1993], traduzione di Susanna Lazzari, Raffaello Cortina, Milano 1994, p. 191.