Recensione a: Remo Bodei, Dominio e sottomissione. Schiavi, animali, macchine, Intelligenza Artificiale, il Mulino, Bologna 2019 / 2023, pp. 408, 28 euro (scheda libro)
Scritto da Giulio Pignatti
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La scomparsa di Remo Bodei ha scosso tanto il mondo accademico quanto il pubblico più ampio. L’importanza rivestita dagli originali studi del filosofo di origine sarda su un esteso ventaglio di autori e temi della tradizione occidentale non è stata minore dell’influenza avuta su quella discesa – o forse “ridiscesa” – nelle piazze della filosofia a cui assistiamo da qualche anno. Bodei, infatti, è stato tanto il geniale interprete hegeliano di Sistema ed epoca in Hegel (riedito e ampliato nel 2014 con il titolo La civetta e la talpa) quanto uno dei principali animatori dell’ormai celebre Festivalfilosofia di Modena, Carpi e Sassuolo.
Trovarsi a leggere l’ultimo libro di un grande maestro, il cui insegnamento ha lasciato tracce profonde nel lungo periodo pisano, durante il quale è stato docente alla Scuola Normale Superiore e all’Università della città toscana, come anche negli ultimi anni di attività alla University of California a Los Angeles, conduce inevitabilmente a cercare in ogni pagina un qualche ultimo monito, un lascito da custodire gelosamente. Dominio e sottomissione. Schiavi, animali, macchine, Intelligenza Artificiale, uscito nel 2019 per il Mulino e riedito nel 2023 nella collana Biblioteca paperbacks, facilita estremamente tale compito. È Bodei stesso a dichiarare nell’Introduzione di aver avuto in testa il progetto di lavorare sul concetto di subordinazione tra gli uomini fin dagli inizi della sua riflessione, a partire dal confronto con le pagine della Fenomenologia dello spirito dedicate alla cosiddetta «dialettica servo-padrone». Sono stati però «questi ultimi lustri» a vedere prendere forma, attraverso la raccolta e il vaglio di un’enorme quantità di materiale, quello che può essere considerato come il “testamento spirituale” di Remo Bodei.
Un testamento decisamente ambizioso – come ammette l’autore stesso –, che si propone una grande «cavalcata» lungo la storia dell’Occidente e del suo pensiero. Da Aristotele all’Intelligenza Artificiale, il tema della schiavitù e del dominio si sviluppa e si coniuga con questioni quali la dignità umana, il senso del lavoro o il logos incarnato nelle macchine, producendo torsioni inattese ed originali. Ambiziosa è pertanto, come accennato, anche la mole di fonti e di materiali mobilitati: basta scorrere le pagine del libro per notare la quantità e la varietà di riferimenti bibliografici. Il che, tra l’altro, indica la possibilità di diversi livelli di lettura di Dominio e sottomissione: se il testo è accessibile a chiunque desideri approfondire questioni e problemi che innervano la nostra contemporaneità, attraverso l’apparato di note gli studiosi e i più interessati potranno trovare spunti di ulteriore analisi e rimandi sempre puntuali.
Il lettore si incammina dunque lungo un percorso che dalla concezione della schiavitù nell’antica Grecia e dalla sua giustificazione aristotelica «per natura» conduce alla «servidumbre natural de los indios» dei tempi della colonizzazione del Nuovo Mondo, fino alle condizioni di lavoro durante la rivoluzione industriale. Si intreccia a questa storia dei rapporti di dominio, forse più conosciuta, una avvincente e interessante ricostruzione del rapporto tra uomo e macchina. Il punto di partenza sono sempre le nostre radici greche, l’epoca in cui la mechané è considerata un’astuzia con la quale ingannare le leggi della natura, al fine di provocare stupore e meraviglia. Il punto di svolta è Galilei, grazie al quale la meccanica diventa a tutti gli effetti una scienza razionale: il funzionamento delle macchine stesse viene indagato e ricondotto dunque alle leggi fisiche. L’utilità diviene il fine principale dell’impiego e della progettazione delle macchine, le quali cominciano così a sostituire gli uomini in un numero sempre maggiore di mansioni, fino a rendere svantaggiosa la stessa schiavitù. Inizia in questo modo a emergere il nodo problematico che oggi si presenta – e nel futuro sarà sempre più così – inaggirabile. Il rapporto tra automazione e lavoro, binomio complesso che non può che sottendere la questione della libertà – altra grande protagonista del libro di Bodei – e della dignità, è tutt’altro che lineare e diretto univocamente verso il meglio: illuminanti pagine (forse le più dense del libro) dedicate alle riflessioni del Marx de Il Capitale mostrano il «lato oscuro», neanche troppo celato, del progresso tecnologico. E si arriva così alle sfide del presente: alla I.A., che ha incorporato i «ciechi pensieri», che pur non esauriscono la ricchezza della mente umana, e che minaccia di stravolgere la civiltà come l’abbiamo conosciuta finora.
Tanti altri sono gli argomenti e le vicende «narrate» – la fluidità del testo e le molte digressioni storiche e aneddotiche, che rendono la lettura appassionante, giustificano l’uso di tale verbo – nelle quasi quattrocento pagine di Dominio e sottomissione. E tuttavia il libro non cede mai né al rischio banalizzante dell’operare un’unica grande ricostruzione onnicomprensiva e lineare, né a quello opposto di presentare una semplice rassegna di fatti e teorie giustapposte. Il procedere di Bodei avviene piuttosto per «cristalli di storicità», secondo un termine impiegato dal filosofo stesso e fondamentale più in generale per tutta la sua riflessione, cioè «formazioni perspicue di pensiero dovute al depositarsi, disporsi, articolarsi e consolidarsi nel tempo di eventi e idee secondo determinazione combinazioni e specifiche modalità “figurali”» (p.25).
La storia ha senza dubbio un ruolo centrale all’interno del libro tanto quanto l’ha avuto nell’itinerario di ricerca di Bodei. In tal senso, la divisione fondamentale è tra quanti via via considerano l’ordine delle cose immutabile e quanti, invece, spingono a un cambiamento: è «l’opposizione tra l’immodificabile primato normativo assegnato alla spontaneità della natura e il diritto di modificarlo attribuito alla civiltà e alla storia» (p.21). Si tratta di una concezione della storia come inestricabilmente legata al pensiero, che dà vita a un rapporto complesso e dialettico. La teoria di Aristotele per la quale esistono degli schiavi «per natura», che devono svolgere i lavori manuali, e invece dei cittadini liberi che hanno il diritto e il dovere di volgersi alle attività più elevate (la politica e, ancor più, la speculazione), ad esempio, è comprensibile solo in relazione all’assetto politico e sociale della Grecia antica. Ma allo stesso tempo Bodei mostra quanto le formulazioni aristoteliche e i dibattiti ad esse legati abbiano influito sui comportamenti e le scelte politico-militari durante la conquista e la colonizzazione del Nuovo Mondo. E questo «a dispetto della convinzione diffusa che la filosofia non abbia alcuna incidenza sulle vicende del mondo» (p.93).
Dalla storia nasce la teoria e la teoria ricade e si cristallizza nella storia, secondo un gioco di influenze e di trasformazioni reciproche. Questo assunto fondamentale ci permette anche di provare a gettar luce sul senso complessivo del libro di Bodei. Se, come abbiamo accennato, l’applicazione di categorie inadeguate e di pregiudizi ha come effetto ideologico il perpetuarsi e addirittura il «naturalizzarsi» di rapporti di dominio – il libro racconta di un episodio in cui i pregiudizi di superiorità dei conquistadores spagnoli arrivano addirittura a stravolgere la percezione visiva degli avvenimenti –, il filosofo riscontra nella nostra epoca di passaggio un fatale deficit di comprensione della realtà. Pensare con concetti e categorie inadatte il nuovo e l’inedito, ad esempio quello rappresentato dall’Intelligenza Artificiale, non può che portare a reazioni irrazionali e pericolose. Ne è fulgido esempio la spaccatura netta degli atteggiamenti, entrambi estremi e immediati, di chi vede con terrore e ansia il «farsi macchina» del logos, e di chi, al contrario, ripone una cieca fede nel progresso tecnologico, rimedio di tutti i mali. È così che nasce la consapevolezza, più volte ribadita nel testo, di trovarci «dinanzi all’urgenza di rimodellare dalle fondamenta il nostro apparato concettuale» (p.22).
Come un vero testamento, dunque, Dominio e sottomissione è rivolto al passato, ripercorre la storia – o meglio, delle storie – ma sempre in funzione del presente e del futuro, in un’epoca in cui la talpa del cambiamento scava rapidamente. Si vedrà dunque come la divisione tra padroni e sottomessi innervi tutta la tradizione occidentale, mutando nella forma ma non nella sostanza: da una parte vi è l’anima, l’attività intellettuale, la scienza, il possesso dei mezzi di produzione, dall’altra vi è il corpo, il lavoro manuale, lo strumento, il lavoro ripetitivo e meccanico. Questa dicotomia, che ha sempre visto una élite godere di una libertà totale solo a prezzo della schiavitù dei più, arriva fino ai giorni nostri: fittizia è la differenziazione totale – insegna Bodei sulla scia di Marx – tra schiavitù e lavoro salariato. In un tempo, quello presente, in cui non solo il lavoro delle macchine virtualmente potrebbe soddisfare tutti i bisogni immediati degli uomini, ma addirittura l’I.A. rappresenta il superamento di quella divisione tra braccia e mente che fondava il rapporto di dominio tra padrone e servo, il rischio è che vecchie categorie e quindi vecchie gerarchie di potere si insinuino surrettiziamente e si rigenerino sotto mutata forma. È così che Bodei mette in guardia, piuttosto che dallo sviluppo tecnologico dei robot, dai rischi connessi al capitalismo algoritmico – «gli algoritmi, infatti, non sono neutri» (p.331). O ancora, la possibilità epocale che siano le macchine a svolgere il ruolo di «schiavi», sicché tutti possano riappropriarsi del proprio tempo – Bodei cita Marx, per il quale «la ricchezza non è altro che tempo disponibile» (p.271) –, non basta di per sé a educare a un utilizzo di questo tempo libero, spesso consumato nella fretta e nell’ansia prodotta dalla società delle prestazioni piuttosto che impiegato per uno sviluppo delle proprie facoltà.
Di fronte a ciò, nasce un’urgenza di educazione al cambiamento: Dominio e sottomissione non si limita a denunciare tale necessità, ma ad essa cerca anche di rispondere. In un libro in cui dalle vicende della Rivoluzione haitiana si passa alla Fenomenologia dello spirito, quindi al rapporto tra animalità e umanità e poi alla disamina del concetto di dignità, la strutturazione dell’esposizione per «cristalli di storicità» e per macro-tematiche può dare a tratti l’impressione della giustapposizione, ma ciò è dovuto al fatto che l’obiettivo non è quello di compiere una minuziosa ricostruzione storica o storico-filosofica, bensì di fornire una “cassetta degli attrezzi concettuale”. Ed è questo il modo più efficace per affrontare il presente con lucidità, accorciando le «doglie del parto» del nuovo mondo. Per il resto, per chi si aspettasse previsioni per il futuro e ricette per l’avvenire, significativa è la citazione di Seneca posta in conclusione al libro, e quindi all’intera opera di Remo Bodei: «Quante cose sono avvenute inaspettate e, viceversa, quante, che erano aspettate, non sono avvenute!» (p.387).