Scritto da Giuseppe Palazzo
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“Il concetto di riscaldamento globale è stato creato da e per i cinesi così da rendere l’industria statunitense non competitiva”
Questo è un tweet di Donald Trump del 2012, ricordato durante la campagna elettorale.
Se in altri casi Trump ha agito contro quanto dichiarato precedentemente, riguardo energia ed ambiente pare che non si discosti dalle promesse della campagna elettorale, durante la quale ha dichiarato di voler terminare la “guerra al carbone” di Obama ed uscire dall’accordo di Parigi sul clima. Diversi ruoli dell’amministrazione Trump sono affidati a figure legate agli interessi del settore delle fonti fossili e con posizioni che oscillano tra lo scetticismo nei confronti dell’”allarmismo del riscaldamento globale” ad accuse rivolte agli scienziati di diffondere menzogne.[1]
Tre personalità della nuova compagine sono Scott Pruitt, ex procuratore generale dell’Oklahoma e ora capo dell’Environmental Protection Agency (EPA), Rick Perry, ex governatore del Texas e segretario all’energia, e Rex Tillerson, ex ad di ExxonMobil e segretario di Stato. Pruitt, durante la sua carriera giuridica, ha portato avanti battaglie legali contro l’agenzia che ora comanda e ha fatto parte di una coalizione di procuratori generali contro il Clean Power Plan, una delle principali politiche di Obama per ridurre le emissioni. È stato inoltre capo della Republican Attorneys General Association (associazione di procuratori repubblicani), finanziata dall’industria del petrolio.[2]
Perry si distingue rispetto a posizioni come quelle di Pruitt, diffuse nella nuova amministrazione, per via del successo dell’energia eolica in Texas durante il suo mandato. Tale successo consiste in un abbassamento del prezzo dell’elettricità per i consumatori, nei profitti dei proprietari dei terreni su cui le pale eoliche sono state installate, nella creazione di decine di migliaia di posti di lavoro e nell’attrazione di decine di miliardi di investimenti. Tutto ciò governando per più tempo di qualsiasi suo predecessore e quindi mantenendo un buon rapporto con l’industria petrolifera del Texas, primo produttore di greggio degli USA. Perry è quindi considerato un pragmatico, non chiuso nei confronti delle potenzialità, almeno economiche, delle rinnovabili.[3]
Tillerson è una figura ambivalente rispetto al cambiamento climatico. Da una parte ha sostenuto l’accordo di Parigi e ha cercato di convincere Trump a non uscirne[4]. Dall’altra la ExxonMobil, la compagnia che dirigeva, è sotto inchiesta per delle posizioni sul rapporto tra consumo di petrolio e riscaldamento globale. Sarà interessante vedere quanto del suo trascorso alla Exxon sarà portato nelle politiche degli USA. La sua esperienza nello stipulare accordi e interagire con diversi governi non è da poco, inoltre è un sostenitore dell’utilizzo di strumenti economici in politica estera, piuttosto che dell’uso della forza. Tuttavia gli interessi della ExxonMobil si sono scontrati spesso con la Casa Bianca, come sulle sanzioni contro la Russia, agendo in favore di Putin. Ha dichiarato nel 2014 che la Exxon non si schiera geopoliticamente ma oggi lui personalmente non può evitarlo[5].
In generale il ceto dirigente giunto al potere con Trump accusa Obama di aver portato avanti la lotta al cambiamento climatico a scapito dell’economia e dell’occupazione. La nuova amministrazione invece propugna la protezione dell’ambiente senza limitare la libertà delle imprese.[6] Tuttavia diversi studi rivelano come la contrapposizione crescita e competitività da una parte e lotta al cambiamento climatico dall’altra non sia vera.
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Indice dell’articolo
Pagina corrente: L’amministrazione Trump e l’ambiente
Pagina 2: Politiche climatiche ed economia
Pagina 3: Le scelte energetiche dell’amministrazione Trump
Pagina 4: Trump e l’Accordo di Parigi