Scritto da Giuseppe Palazzo
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Insomma, le rinnovabili, la riduzione delle emissioni e l’aumento dell’efficienza energetica non sembrano essere dei sacrifici economici esagerati e nemmeno contribuiscono “solo” a preservare il pianeta ma hanno anche un senso economico. Anzi, le politiche climatiche, se ben progettate, permettono un percorso equilibrato tra crescita e ambiente. Gli USA, anche con Obama, hanno sempre preferito affrontare il tema tramite strumenti economici coerenti più con l’andamento dell’economia che con principi ambientalisti.[17] Con questo approccio Obama ha incoraggiato le rinnovabili. In particolare sono cresciuti eolico e solare[18]. Ma Obama ha anche sostenuto lo shale gas, a scapito del più inquinante carbone, approfittando delle potenzialità del fracking, ovvero la fratturazione degli strati rocciosi tramite il pompaggio di un fluido per estrarre più gas e petrolio. Certo, Obama ha fatto ricorso al Clean Power Plan, ma ha incoraggiato un declino del carbone già esistente.
Dopo una costante crescita decennale, il consumo di carbone globalmente cala dal 2015 e la produzione è scesa del 6,2%. I motivi sono non tanto legati alla bassa crescita economica ma alla maggiore competitività delle fonti rinnovabili e del nucleare, alle politiche volte all’aumento dell’efficienza energetica e, soprattutto, all’alta offerta di gas a prezzi bassi[19]. Riguardo gli USA, il consumo del carbone nel 2015 ha raggiunto il minimo dal 1987[20], il suo peso nella produzione di elettricità è sceso del 35% dal 2007[21] e negli ultimi anni il 19% delle miniere ha chiuso[22]. È una tendenza del mercato che Trump non può invertire. Mentre celebra l’apertura di una miniera in Pennsylvania più di una dozzina di centrali a carbone si prevede che chiuderanno quest’anno[23]. Perciò la mossa di abolire il Clean Power Plan sembra inutile a salvare King Coal, il “re carbone”. Intanto Pechino ha già superato Washington, essendo merito cinese il 40% dell’espansione delle rinnovabili nel 2015, e nel 2021 più di un terzo del fotovoltaico e dell’eolico onshore sarà in Cina[24].
Un altro segno del fatto che Trump non vuole valorizzare il lascito di Obama in campo energetico può essere visto nella decisione di allontanarsi dall’Iran in favore dell’Arabia Saudita. Mario Del Pero in “Era Obama” (recensito da Pandora) considera grandi successi dell’ex presidente la politica climatica, l’accordo di Parigi e l’accordo sul nucleare iraniano[25]. Certo, quest’ultimo riguarda la stabilità del Medio Oriente, ma è coerente con l’aumento della produzione petrolifera statunitense, che permetterebbe agli USA di fare maggiormente a meno di Riyad, attore non poco discusso riguardo il terrorismo[26], e guardare di più a Teheran. L’Iran ha un’economia più diversificata e con Rouhani mostra un volto moderato. Certo, il quadro è complesso, l’Iran ha le sue ombre ed è presto per capire come Trump si muoverà davvero. Ma potrebbe avvantaggiarsi della posizione statunitense più forte nel mercato petrolifero per evitare dure prese di posizioni a favore dell’Arabia Saudita. Invece ha addirittura accusato l’Iran sciita di essere protettore e finanziatore del terrorismo, in questi anni caratterizzato però dal Daesh sunnita[27]. Senza contare le mosse saudite degli ultimi anni per mettere in difficoltà lo shale oil statunitense sul mercato[28].
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