Ecologia politica di André Gorz. Note su un discorso insostenibile
- 05 Giugno 2017

Ecologia politica di André Gorz. Note su un discorso insostenibile

Scritto da Simone Benazzo

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Il filosofo francese André Gorz (1923-2007) è stato tra i principali animatori della teoria della ecologia politica a partire dai primi anni Sessanta. Vedere come nasce e come si sviluppa questa teoria nella sua riflessione cinquantennale permette di rintracciarne alcuni elementi costitutivi che sono oggi, forse più di ieri, estremamente attuali. Forse più di ieri, perché alcuni elementi della peregrinazione filosofica di André Gorz, in primis il precoce distacco dall’impianto socialista e la lucida denuncia di qualsiasi soluzione tecnocratica come ecofascismo, danno al suo approccio e ad alcune delle sue conclusioni quella coloritura visionaria che consentirebbe agevolmente al lettore italiano (spesso digiuno) di  scambiarlo per un autore della Generazione Y. L’annichilimento dell’ecosistema è in Gorz un problema secondario a quello dell’annichilimento del soggetto. Secondario non nel significato di meno urgente, bensì in senso cronologico e soprattutto causale. L’oppressione primigenia è quella del soggetto, a cui quella della biosfera è inestricabilmente legata.

Capitalismo, socialismo, ecologia

Il Leitmotiv dell’eclettico pensiero di André Gorz, necessario per cogliere tutte le evoluzioni concettuali seguenti, è quello che ne è sempre rimasto il fine ultimo: l’emancipazione del soggetto, la sua sottrazione all’eteroregolazione operata dagli automatismi sociali. Il soggetto è, per Gorz, oppresso dalla società e dalle aspettative che essa su di lui coltiva: «chi agisce non è ‘io’, ma è la logica automatizzata delle disposizioni sociali che agisce attraverso di me e, in quanto Altro, mi fa concorrere alla produzione e riproduzione della megamacchina sociale»[i]. Questa megamacchina sociale è nel momento attuale il capitalismo, che, ben lungi dall’essere un mero sistema economico, è difatti un sistema sociale, nel suo determinare i valori sociali di riferimento, e politico, nella riduzione che attiva del soggetto a mero lavoratore o consumatore. Nelle parole di Gorz: «che noi si sia dominati dal lavoro è un’evidenza da centosettanta anni. Ma non lo è il fatto che siamo dominati nei nostri bisogni e desideri, nei nostri pensieri e nell’immagine che abbiamo di noi stessi»[ii]. Nucleo valoriale del capitalismo, la centralità del lavoro, principalmente ma non solo salariato, nella definizione – e auto-definizione – dell’individuo, lo connota come un meccanismo oppressivo.

Nel suo dubitare della sacralità del lavoro, inteso come impiego di salariati a tempo pieno, si consuma, anche il progressivo distacco di Gorz dal pensiero socialista, con il quale aveva lungamente interloquito. Se inizialmente aveva, infatti, abbracciato gli strumenti analitici marxiani, pur nella mediazione esistenzialista di Jean-Paul Sartre, la biografia intellettuale di Gorz può anche essere globalmente interpretata come un graduale affrancamento dal pensiero marxista classico, confermato dalla sua turbolenta relazione con le varie riviste vicine alla sinistra francese (Les Temps Modernes, Le Nouvel Observateur e, dal 1973, Le Sauvage) che ospitano i suoi interventi. La prospettiva gorziana arriverà a cogliere sempre meno le differenze tra sistema socialista e sistema capitalista, specialmente a partire dal Maggio Francese. Già le sue prime opere evidenziano i limiti della prospettiva socialista, proponendo l’ecologia politica come una sua possibile evoluzione: in Ecologié et liberté (1977) il  filosofo francese si limitava, infatti, ancora a scrivere che «il socialismo non vale più del capitalismo, se non cambia strumenti»[iii] e a stigmatizzare l’evidenza che «gli economisti, classici o marxisti, hanno rigettato come ‘regressivi’ o ‘reazionari’ i problemi riguardante il lungo termine: quelle del pianeta e della biosfera»[iv]. Ma in Addio al Proletariato (1980)[v] il distacco diviene più profondo: qui Gorz denuncia un limite quasi epistemologico della sinistra tradizionale, sostenendo che «lo scopo ultimo, la natura e l’organizzazione del sistema produttivo non possono essere compresi e sfidati dall’interno di ogni singolo sotto-gruppo o ruolo lavorativo. Possono essere compresi e sfidati solo quando i lavoratori, invece di identificarsi con il loro ruolo lavorativo, ne prendono le distanze e lo pongono in prospettiva»[vi].

Pragmaticamente, la conseguenza è oggi che i sindacati potrebbero risultare utili soltanto qualora riconoscessero e proteggessero «i bisogni, le aspirazioni e gli interessi che i lavoratori maturano come persone, cittadini, abitanti, genitori, consumatori, etc., al di là del posto di lavoro»[vii]. È Capitalisme, socialisme, écologié (1991) che celebra la sua definitiva abiura al socialismo, megamacchina sociale che Gorz non rimpiange, ritenendo che abbia fallito proprio nella sua incapacità di ristabilire una nuova relazione tra individui e tra individuo ed ambiente. Se il socialismo ha errato nel reiterare l’oppressione del soggetto, esaurendo presto il suo potenziale di manumissio dell’individuo, è perché non ha generato un cambio di mentalità, da concretizzarsi nell’abbandono del mito del progresso materiale e della dinamica produttivismo/consumismo. La finalità di oppressione, tuttavia, è rimasta intatta nel capitalismo. Secondo Gorz, anche dopo il crollo dell’antagonista socialista, quindi con l’ottenimento dell’egemonia planetaria da parte del sistema capitalista, pensare di salvare l’ecosistema mantenendo in vita tale megamacchina è comunque impossibile: deleterio nel breve periodo, poiché l’oppressione del soggetto continuerebbe e ne risulterebbe anzi enfatizzata, e insostenibile nel lungo periodo, poiché, non modificandone gli elementi intrinseci (lo sfruttamento di persone e ambiente), ma tentando semplicemente di addolcirli e contenerli, verrebbero riproposti gli stessi problemi, soltanto dilazionati nel tempo. Il capitalismo, per Gorz, non può avere altro esito se non l’emergenza dei limiti fisici della biosfera: «l’uscita dal capitalismo dunque avrà luogo in un modo o nellaltro, sarà civilizzata o barbara. La questione riguarda soltanto la forma che questa uscita prenderà e la cadenza secondo la quale essa andrà a realizzarsi»[viii]. Per comprendere appieno il contenuto, il significato e la sua portata innovativa, uno sguardo integrale alla produzione di Gorz vede l’autore francese definire l’ecologia politica con due movimenti concettuali, una pars destruens ed un pars construens. Il primo movimento la individua per negazione, per alterità, per distanza, ovvero definisce cosa non è l’ecologia politica; il secondo, più connesso con la pratica, la tratteggia per affermazione, per riempimento, descrivendo cosa può essere l’ecologia politica.

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Indice dell’articolo

Pagina corrente: Capitalismo, socialismo, ecologia

Pagina 2: Pars destruens

Pagina 3: Pars construens


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Scritto da
Simone Benazzo

Nasce in Valtellina, studia Comunicazione a Bologna, dove conosce la semiotica. Va poi a Torino, laurea magistrale in Scienze Internazionali. Adesso è a Sarajevo per una ricerca sul campo. Oltre a Pandora, scrive per East Journal, Il Caffè Geopolitico e Cafébabel.

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