Scritto da Andrea Baldazzini
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Karl polanyi nel XV paragrafo di ‘La grande trasformazione’, intitolato ‘Il mercato e la natura’, scriveva: «quella che noi chiamiamo terra è un elemento della natura inestricabilmente intrecciato con le istituzioni dell’uomo. Isolarlo e farne un mercato è stato forse la meno naturale di tutte le imprese dei nostri antenati». L’autore afferma qui l’idea secondo cui «la funzione economica sia solo una tra le molti funzioni vitali della terra» e in quanto tale non dovrebbe in alcun modo porre l’uomo o la natura in una posizione di subordinazione rispetto ai meccanismi di mercato. Principio questo che ha attraversato molte coscienze durante il secolo scorso fino a trovare nella sensibilità dell’attuale Papa un importante alleato. La realtà degli ultimi decenni ha infatti dimostrato il prevalere dell’interesse commerciale sul benessere umano e dell’ambiente, così non stupisce che l’ultima enciclica Laudato si’ porti come sottotitolo “Sulla cura della casa comune”, dove con casa comune si deve intendere proprio quella terra sulla quale l’uomo costruisce da sempre la propria esistenza ed oggi tanto minacciata. L’intera riflessione del Pontefice è a sua volta costruita a partire da una prospettiva complessa che vede nella problematica ambientale e in quella sociale due facce di una stessa medaglia, due volti di un’unica questione, due strade che hanno lo stesso inizio e la stessa fine. Non vi può insomma essere separazione tra natura, società e politica.
Per troppo tempo si è guardato alla crisi ecologica con uno sguardo riduzionista: ecologia non è solo inquinamento o questione energetica, essa comprende la vita di ogni uomo nel suo farsi sociale, relazionale, emotivo, e politico. Proprio la politica ancora fatica a cogliere l’importanza cruciale del tema, non riesce a comprendere come l’ambiente (inteso nel senso più ricco del termine, cioè quale ecosistema naturale-umano) e la sua cura non devono essere una prerogativa di ONG, movimenti extraparlamentari, o di semplice cittadinanza attiva, ma siano invece un suo dovere e una sua responsabilità. Inoltre un simile esercizio di ascolto da parte della politica classica nei riguardi delle sensibilità emergenti non potrebbe che migliorarla, aiutandola a fare un passo in avanti verso la costruzione di un futuro che oggi non riguarda più la sola popolazione di una nazione o di un continente ma si prende carico del destino del mondo intero.
É comunque molto difficile fornire una ricostruzione complessiva dell’intera articolazione dell’Enciclica, e non è nemmeno lo scopo di queste poche pagine, piuttosto risulta interessante rivolgere l’attenzione su alcune tematiche specifiche e vedere in che modo il Pontefice ne da conto, esercizio questo che potrebbe rivelare notevoli sorprese al punto che a tratti sembra impossibile che quanto scritto provenga dalla massima carica della Chiesa cattolica (altra grande realtà in profonda trasformazione). Tre (oltre all’ecologia che fa da sfondo) sono infatti i temi che scorrono lungo tutto il testo, in maniera più o meno esplicita, e sui quali vale la pena di spendere due parole: il primo è quello del Comune, il secondo quello di natura e il terzo quello di lavoro.
Si vada con ordine: la questione del Comune (da non confondersi con quella dei Beni Comuni) risulta oggi al centro di molte riflessioni teorico-politiche di respiro internazionale, in quanto con esso si vuole intendere un nuovo principio politico a partire dal quale avanzare proposte concrete per una prassi trasformatrice. Lentamente, ma in modo inesorabile, sta nascendo la consapevolezza che ogni proposta di lotta va avanzata a partire non da un interesse di parte, una volta si sarebbe detto di classe, ma in base a ciò che viene considerato comune: «Per comune (scrive Negri) si deve intendere tutto ciò che si ricava dalla produzione sociale, che è necessario per l’interazione sociale e per la prosecuzione della produzione, come le conoscenze, i linguaggi, i codici, l’informazione, e così via. La cognizione del comune non presuppone la separazione dell’umanità dalla natura, bensì essa mette in evidenza le pratiche dell’interazione, della cura e della coabitazione in un mondo che è oltremodo comune». Ecco che così viene tra l’altro a chiarirsi ulteriormente il significato dell’espressione “casa comune” utilizzata dal Pontefice. Già da ora è importante far presente che nonostante non compaiano mai riferimenti espliciti, il sottofondo dell’intera riflessione risulta di carattere politico, ma su questo torneremo in seguito perchè sarà importante definire la politicità di un tale messaggio.
Non solo ecologia e Comune ma come accennato anche natura. Termine spinoso e dalla semantica alquanto articolata, però completamente rimosso dallo scenario filosofico-politico attuale. Se ciò è dovuto in parte all’ottusità di un mondo accademico e dirigente privo della sensibilità necessaria per anticipare le problematiche future, bisogna però riconoscere un’oggettiva difficoltà nel mettere a fuoco in modo corretto il rapporto che intercorre (o che dovrebbe intercorrere) oggi tra uomo e natura. Come fa notare Papa Francesco, è tramontata l’epoca del puro dominio di stampo medioevale, mentre rimane vivissima l’equazione di baconiana memoria fra sapere e potere, che arriva a generare una nuova forma perversa di antropocentrismo tecnologico. Il problema è che nel corso dei secoli la natura è passata da essere questione per filosofi (sia nella sua accezione di natura umana sia come phyusis) a questione di competenza esclusiva degli scienziati: dalla biologia, alla chimica, dalla fisica, alla geometria, c’è una folle corsa a volerne scoprire i segreti, le leggi, le coincidenze e le mostruosità, sempre con l’intento del controllo e mai della cura, sempre a giocare a voler essere Dio e mai i suoi giardinieri: «l’interpretazione corretta del concetto di essere umano non è quella di signore del mondo ma di amministratore responsabile», scrive il Papa. Ancora risuona come domanda senza risposta l’interrogativo che apriva la Dialettica dell’Illuminismo: perchè la terra, nonostante sia interamente illuminata, brilla all’insegna di una trionfale sventura? A partire dal tema della natura questa enciclica offre la possibilità di una riflessione più ampia sulle forme e i modi del sapere che contraddistinguono il mondo contemporaneo, mettendo in chiaro come proprio il sapere, o se si preferisce la conoscenza, saranno un altro dei grandi problemi che bisognerà affrontare, perchè anche verso di esso manca una posizione seria e ragionata. Volendo essere essenziali e usando le parole del Pontefice si può affermare che: «Non ci sarà una nuova relazione con la natura senza un essere umano nuovo. Non c’è ecologia senza un’adeguata antropologia».
Come si può facilmente intuire questa enciclica rappresenta una riflessione a trecentosessanta gradi sul rapporto uomo-ambiente, l’intento è proprio quello di mostrare la complessità del tema, la pluralità delle problematiche che la questione ecologica pone e l’impossibilità di continuare a chiudere gli occhi davanti a preoccupazioni che vanno a toccare la pelle di tutti, tanto degli sfruttatori quanto degli sfruttati. Oltre a quelli già citati, il Papa affronta in modo più diretto le tematiche: dell’inquinamento, del cambiamento climatico, del rapporto tra esegesi dei testi biblici e il mistero dell’universo, dell’ecologia culturale, del principio del bene comune, nonché la radice umana della crisi ecologica, quindi tecnologia e potere, globalizzazione, ingegneria genetica, rapporto tra potere spirituale e politica internazionale, postmodernismo ecc… Come ha scritto Carlo Petrini nell’introduzione: «credo che questa Enciclica scontenterà molti potenti e per questo forse sarà aspramente criticata da alcuni, ma è quanto una moltitudine enorme di esseri umani chiedeva e aspettava».
Andando al terzo tema preannunciato, il lavoro, interessante è osservare il modo in cui viene affrontato nel paragrafo ad esso dedicato, dal titolo al quanto eloquente, “La necessità di difendere il lavoro”. Qui Papa Francesco inizia affermando come proprio il lavoro sia l’espressione massima di quell’agire che dovrebbe essere sempre mosso dal principio della cura e mai dello sfruttamento. Il sottotitolo “Sulla cura della casa comune” può essere quindi inteso anche come riferimento diretto al tema del lavoro nulla sua accezione di agire volto alla conservazione e riproduzione di tutto ciò che ci è comune. Ciò rappresenta un attacco diretto a tutte quelle realtà o ideologie (basti pensare al neoliberismo) che fanno del lavoro uno strumento di sottomissione e di distruzione della soggettività umana. Perciò, la realtà sociale del mondo di oggi, al di là degli interessi limitati delle imprese e di una discutibile razionalità economica, deve impegnarsi a fare del lavoro uno dei pilastri sui quali ricostruire la lotta per una forma di vita dignitosa e sostenibile, in cui l’istruzione, la salute, la sicurezza, il mangiare, insomma la vita, sia un diritto e non una concessione: «Conviene ricordare sempre che l’essere umano è capace di divenire lui stesso l’attore responsabile del suo miglioramento materiale, del suo progresso morale e dello svolgimento pieno del suo destino spirituale». Mai si dovrebbe essere costretti a vivere per lavorare, piuttosto sempre si deve lavorare per vivere.
Insomma, è impossibile non considerare l’enciclica ‘Laudato si’ come una delle opere più rivoluzionarie degli ultimi decenni, un’opera di ecologia integrale che mette in dialogo l’uomo, la natura, l’esistenza e il lavoro, il tutto in un’ottica politica, dove con politica qui va inteso l’interesse per il bene della collettività, o ancora meglio, l’interesse per il Comune. Papa Francesco scrive: «La cultura ecologica […] dovrebbe essere uno sguardo diverso, un pensiero, una politica, un programma educativo, uno stile di vita e una spiritualità che diano forma ad una resistenza di fronte all’avanzare del paradigma tecnocratico». Politica quindi come prendersi cura, come amore per l’altro da sé nella sua singolarità e nella sua collettività. Con questo Papa i precetti della solidarietà, dell’altruismo, della carità, della generosità, dell’accoglienza, della liberazione, diventano veri e proprio precetti militanti.
Tutto questo non ha poi niente a che fare con la presunta rinascita di alcuna forma di teologia politica, piuttosto la Chiesa sta dando prova della capacità di sapersi rinnovare in maniera radicale, sincronizzando la propria sensibilità con la realtà del mondo contemporaneo. Essa ha intuito come il futuro di ciò che chiamiamo oggi politica passerà per quello che oggi chiamiamo sociale, la dimensione del Comune a cui si faceva riferimento in precedenza, e questo le ritaglierà un ruolo di primo piano nel panorama pubblico futuro. Come, tra l’altro, ha affermato Rawls: «la secolarizzazione dello stato non ha affatto implicato una secolarizzazione della società» e con questo si dovrà presto fare i conti. Dall’altra parte è il mondo laico ad essere messo alla prova, se eviterà di chiudersi su se stesso, restando aperto a una pratica di dialogo vero, potrà forse costruire un fronte di lotta comune in grado di superare qualunque frontiera etnica, religiosa, geografica, economica e culturale: dagli intellettuali ai giovani studenti, dalle casalinghe ai professori, dagli operai agli imprenditori, tutti sono chiamati a difesa della casa comune e solo una politica condivisa, organizzata e prioritaria rispetto ad ogni altra forma di potere potrà realmente generare un percorso alternativo a quello che oggi si chiama sviluppo, ma che sempre più si muove con il passo del gambero.
Ecco che così ritorna anche il tema dell’ecologia integrale, concepito nei termini del rapporto complessivo tra la realtà umana e quella specificatamente naturale, rapporto che nella sua molteplicità definisce la forma propria dell’ambiente in cui ci si trova a vivere, in cui le moltitudini progettano il proprio avvenire. Da qui verrebbe spontaneo lanciare la questione di una politica globale, di forme di agire organizzato che sappiano superare qualunque confine nazionale, perchè è solo prendendo consapevolezza della contingenza e mai della necessità dei fenomeni, che ci si può impegnare in un serio processo di trasformazione. Inoltre, ciò costituisce un altro dei messaggi profondi che Papa Francesco ha voluto mandare con l’Enciclica, bisogna stabilire quali interessi e forze rappresentare, dalla parte di chi si vuole stare, quale razionalità (neoliberale o ecologica) si vuole seguire: «Il salvataggio ad ogni costo delle banche, facendo pagare il prezzo alla popolazione, senza la ferma decisione di rivedere e riformare l’intero sistema, riafferma un dominio assoluto della finanza che non ha futuro e che potrà solo generare nuove crisi dopo una lunga, costosa e apparente cura».
Dopo quanto detto, per concludere, non vi sono forse parole migliori che queste di San Franscesco: «cominciate col fare ciò che è necessario, poi ciò che è possibile. E all’improvviso vi sorprenderete a fare l’impossibile».
1 Karl Polany, La grande trasformazione: le origini economiche e politiche della nostra epoca, introduzione di Alfredo Salsano ; traduzione di Roberto Vigevani, Torino : Einaudi, 2010, p. 228.
2 Antonio Negri, Michael Hardt, Comune: oltre il privato e il pubblico, Milano: Rizzoli, 2010, p. 28.
3 Papa Francesco, Laudato si’. Enciclica sulla cura della casa comune, con guida alla lettura di Cristina Simonelli, Piemme: Casale Monferrato, 2015. p. 28.
4 Ivi., p. 92
5 Ivi., p. 20.
6 Ivi., p 98.
7 Ivi., p. 88.
8 Ivi., p. 144.
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