Edilizia possibile: l’intervento pubblico nell’immobiliare per il diritto alla casa
- 22 Marzo 2023

Edilizia possibile: l’intervento pubblico nell’immobiliare per il diritto alla casa

Scritto da Gabriele Giudici

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Le città sono da sempre il centro pulsante della civiltà. Nelle varie fasi dell’evoluzione e del progresso umano sono cambiate in funzioni, forme, stili, aggregazioni sociali e tipologie organizzative. Ciò che non è mai cambiato, però, è l’attitudine delle città a creare scambi. Ci sono metropoli la cui congiuntura storica o sociale porta ad un aumento vorticoso della contaminazione umana, culturale ed economica, e ci sono città che attraversano periodi di restringimento, ma il ruolo propulsore che esse hanno è la definizione stessa della vita comunitaria, della polis.

Questo movimento, nell’epoca globalizzata moderna, si intreccia con la dinamicità del mercato immobiliare dei centri urbani, in cui quantità sempre maggiori di persone aspirano a vivere, lavorare, spostarsi, fruire di servizi, nonostante la brutale battuta d’arresto della pandemia. Questo moto cinetico produce una domanda abitativa molto più elevata della quantità effettiva di immobili che sono disponibili ad uso immediato o che vengono realizzati. Se nelle città “terzomondiali” il problema è realizzare abitazioni abbastanza velocemente per fare fronte sia all’afflusso di persone dalle campagne che all’aumento della popolazione (situazione spesso disattesa dai governi locali con conseguente creazione autogestita di quartieri slum e baraccopoli), nel mondo occidentale e in particolare in Europa la domanda non deriva tanto dall’afflusso di nuovi e stabili abitanti quanto dal passaggio e dallo scambio, in particolare all’interno delle città universitarie, le quali sono soggette ad una fortissima pressione di domanda abitativa a breve termine (qualche anno al massimo); e all’intento delle città turistiche, soggette all’overturism e alla parcellizzazione e deregolamentazione delle strutture ricettive. Le realtà europee non solo sono soggette a richieste in aumento ma, non potendo per questioni di spazio o per ragioni politiche o ambientali, destinare aree di dimensioni importanti a nuove abitazioni (anche perché non è solo questa l’esigenza di mercato), non trovano una valvola di sfogo, con la conseguenza che i prezzi, nella maggior parte delle città italiane e del vecchio continente, sono esplosi o sono, in alcune realtà, letteralmente fuori controllo.

A ciò si aggiunge il paradosso derivante dall’innumerevole quantità di immobili sfitti e non utilizzati che caratterizzano le città e soprattutto le aree periferiche o interne del nostro Paese, spesso anche a pochi chilometri dalle mete urbane tanto ambite. Queste aree sono delle vere e proprie voragini, dei buchi neri nel tessuto urbano, che contribuiscono a diminuire l’offerta potenziale di immobili, e dei monumenti del declino dei centri storici dei piccoli e medi borghi e paesi che costellano la Penisola. Se a questi fatti si sovrappongono i dati sulla difficoltà dell’autonomia abitativa degli under 35, derivante principalmente dal fatto che in cinquant’anni è raddoppiato il costo di un’abitazione attualizzata al salario medio (se nel 1970 servivano sei anni di stipendio per acquistare un’abitazione standard oggi ne servono dodici per acquistare un bilocale), ne risulta un quadro sociale, urbanistico ed economico preoccupante, che pone interrogativi importanti sull’indirizzo di un settore tanto strategico per le sorti della nostra società.

Ulteriore fenomeno che desta, o dovrebbe generare, preoccupazione è la consapevolezza che troppo poco è stato fatto in questi anni dalla politica, se non qualche progetto pionieristico ostacolato da un lato da una destrutturazione crescente delle politiche abitative pubbliche iniziata dagli anni Novanta, dall’altro da risorse esigue e risultati ristretti che, nel contesto immobiliare, che si influenza agendo sui grandi numeri, si risolvono in un proseguimento del problema.

Ma il punto è che troppo spesso non vi è nemmeno la consapevolezza della problematica, anche perché spesso la pubblica amministrazione, depotenziata, non possiede sufficienti risorse umane e finanziare orientate alla tematica abitativa. Per molto tempo si sono infatti immaginate le istituzioni locali come mere regolatrici urbanistiche. A lungo amministrazioni comunali e cittadine hanno interpretando il loro ruolo pensandosi destinate soltanto a porre i paletti all’iniziativa privata o ad inserirsi con partenariati pubblici-privati in ambiti di rigenerazione urbana; come se nulla, o quasi, dell’azione urbana potesse svolgersi all’interno dei pieni confini della titolarità pubblica.

Ma esistono esempi molto prossimi a noi che possono fornire, con i giusti tempi, indirizzi interessanti per rendere le istituzioni pubbliche non solo incisive ma anche attori principali delle dinamiche immobiliari. Il caso più esemplificativo è quello della capitale austriaca: Vienna. Il mercato immobiliare a Vienna è considerato uno dei più stabili e accessibili d’Europa, caratterizzato da un elevato tasso di proprietà di case e appartamenti, con una percentuale di proprietari ben superiore alla media europea. Ciò è dovuto in parte alla politica di costruzione di alloggi sociali e al sistema di incentivi per l’acquisto della casa, che facilitano l’accesso alla proprietà.

L’housing sociale e più in generale le politiche pubbliche di accesso alla casa, a Vienna, hanno radici più profonde rispetto a qualsiasi altra città europea. Grazie ad un impulso pubblico nel settore, la capitale austriaca è stata, nel corso dei decenni, un laboratorio prolifico di nuovi modelli sperimentali e di diverse tecniche costruttive, dovuti anche all’applicazione di un orientamento che prevede che ‘‘le case dei poveri non devono essere povere”. Un pensiero che ha influenzato l’approccio metodologico, spostandolo dalla costruzione al risparmio quantitativo, alla costruzione per un benessere qualitativo per la persona. In sintesi: non basta dare un posto in cui vivere, ma occorre costruire un luogo che sia vivibile.

Nell’allora città asburgica le importanti opere di riqualificazione urbana portate avanti in epoca imperiale crearono solide basi per una grande capitale che dava spazio al verde nel cuore della città e che poteva contare su di un sistema di infrastrutture all’avanguardia. Al termine della Prima guerra mondiale, nel mezzo del “biennio rosso”, la città dovette fronteggiare una grande emergenza abitativa dovuta, come le sue omologhe continentali, ad una crescita troppo veloce. Per dare una risposta a queste problematiche il Partito Socialdemocratico, allora al governo, diede vita a una serie di programmi di riforma con la costruzione di più di 60.000 nuove unità di residenze sovvenzionate dal municipio dotate dei più vari servizi, che ancora oggi rappresentano il cuore pulsante del patrimonio pubblico dell’amministrazione cittadina. Il programma di acquisizione e costruzione di nuove abitazioni continuò spedito anche nel secondo dopoguerra, diminuendo con la fine della Guerra fredda e solo a partire dal 2015 la città di Vienna ha deciso di intervenire ancora una volta direttamente, riprendendo la tradizione della ‘‘Vienna Rossa’’.

All’attuale patrimonio pubblico, a cui si accede attraverso criteri non eccessivamente stringenti, il che porta a non dover riservare l’accesso alle graduatorie solamente a persone in condizioni di grave indigenza, si affiancano ulteriori tipologie di abitazioni come social housing comunitario e una regolamentazione sulle locazioni degli immobili. In sintesi: circa 220.000 unità immobiliari sono pubbliche, circa il 25% dell’intero parco residenziale, nel quale abitano 500.000 persone. Questo fa della dell’amministrazione cittadina il più grande possessore di immobili residenziali del continente.

Il risultato di questo poderoso patrimonio edilizio pubblico, molto diverso dall’edilizia popolare italiana (spesso confinata in periferia, parcellizzata e povera di pregi architettonici), oltre all’enorme impatto sociale, è un costo abitativo molto basso. Considerando che si tratta di una capitale europea di due milioni di persone, cuore pulsante del Paese, Vienna ha 8,7€/mq di costo medio netto per la locazione, quando Parigi è a più del doppio, Amburgo supera i 10 €/mq e Milano è stabilmente sopra i 12 €/mq. Inoltre, paragonando gli stipendi, Vienna è una delle città in cui si usa la minore percentuale del proprio salario per l’abitazione (mutuo o affitto): il 23% rispetto al 45% dei londinesi, il 40% dei berlinesi o il 31% dei parigini. A Milano, che si posiziona nella parte alta della classifica, si arriva al 40%.

Questa politica non solo porta alla creazione di una capacità amministrativa effettiva e potenziale di realizzare grandi opere di rigenerazione urbana, facendo in modo che l’amministrazione pubblica possa incidere con forza nelle dinamiche sociali che comportano determinate scelte urbanistiche, ma consente di avere soprattutto uno strumento formidabile per l’emancipazione sociale, la salvaguardia di un diritto fondamentale e un’influenza egualitaria sul mercato immobiliare che possa limitare eventuali bolle speculative o fenomeni di gentrificazione.

In molte città europee, la domanda di immobili residenziali supera l’offerta, soprattutto nelle aree centrali e nelle zone più ambite. Questo ha portato ad un aumento dei prezzi delle case e degli affitti, che spesso rappresenta una grande sfida per le famiglie a basso reddito e per i giovani che cercano di acquistare o affittare un’abitazione. Inoltre, molte città stanno vivendo un fenomeno di gentrificazione, che ha portato a un crescente divario socioeconomico e culturale tra i quartieri. Berlino e Barcellona, ad esempio, stanno cercando di contrastare la gentrificazione attraverso politiche di costruzione di alloggi a basso costo e la protezione dei diritti degli inquilini, ma i risultati sono lungi dal manifestarsi nei prossimi anni. La realizzazione di programmi di social housing richiede una forte collaborazione tra il governo locale, i proprietari immobiliari e i costruttori. Il governo locale può fornire incentivi fiscali e finanziari per incoraggiare la costruzione di alloggi sociali, mentre i proprietari immobiliari possono collaborare attraverso la concessione di terreni e la vendita di proprietà a prezzi accessibili.

Tutto ciò non può non interrogare il nostro Paese e le nostre amministrazioni locali sulla possibilità di eliminare gli ostacoli di carattere amministrativo che limitano indirizzi urbanistici volti ad una prospettiva espansiva del patrimonio edilizio pubblico. Le possibilità professionali e le tecnologie energetiche attuali consentono, non solo l’efficientamento di un parco edilizio per il 50% costituito, in Italia, da immobili realizzati durante il boom economico e oramai datati, ma la possibilità di migliorare l’economicità dei processi di acquisizione anche rispetto all’accesso al credito. Questo potrebbe portare ad una rivoluzione all’interno di un settore privato che in molte aree del Paese non riesce ad agire in assenza di condizioni favorevoli. Secondo l’Istat riguardo alle case vuote Italia, si stima che su un totale di trenta milioni di abitazioni che esistono, sette milioni, risultano inabitate. È un buon 23% in termini percentuali. Una casa su quattro è vuota. Se una percentuale è derivante dalle seconde case la fetta principale è costituita dalle abitazioni invendute, sfitte o abbandonate, spesso anche a causa di eredità condivise con una moltitudine di proprietari che complica ulteriormente il panorama.

La realizzazione di interventi edilizi pubblici (principalmente di acquisto) da parte delle amministrazioni locali tramite finanziamenti, anche a tasso agevolato per mezzo di politiche statali, non solo darebbe impulso al comparto edilizio e finanziario, ma porterebbe ad una sostenibilità sul lungo periodo e ad un successivo ampliamento delle possibilità di spese correnti a disposizione degli enti locali per ulteriori investimenti in servizi territoriali. Questo è soprattutto vero per le piccole realtà locali delle aree interne, di pianura o montane, del nostro Paese.

Le realtà minori, più che una politica di tutela dei prezzi delle locazioni devono fare fronte all’abbandono del territorio e allo svuotamento dei centri storici, con problematiche non solo edilizie o estetiche, ma anche sociali ed economiche. Sono per questo nati programma di riqualificazione urbana come il progetto “Case a 1 euro” a Mussomeli, in Sicilia, attività replicata in tanti altri centri, soprattutto di montagna. I nostri borghi minori sono oramai svuotati, circondati da hinterland di villette e condomini intervallati da capannoni: un suburbio lunare che non può non destare angoscia e colpire il cuore di chi quei territori li vive e li chiama ‘‘casa’’. Per una soluzione a lungo termine, una risposta potrebbe derivare da un’azione degli enti locali e dello Stato mediante maggiori investimenti e l’adozione di politiche più efficaci per incentivare la costruzione e l’acquisizione di alloggi sociali e garantire che questi siano accessibili a coloro che ne hanno bisogno. Un problema che arriva da un mercato selvaggio è principalmente affrontabile se opportunamente colto dalla politica all’interno di una gestione in mano ad attori pubblici.

Scritto da
Gabriele Giudici

Vicesindaco di Ciserano, laureato al Politecnico di Milano e libero professionista nel ramo dell’Architettura. Attivista nel Partito Democratico.

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