Recensione a: Lorenzo Castellani, Eminenze grigie. Uomini all’ombra del potere, Liberilibri, Macerata 2024, pp. 176, 16 euro (scheda libro)
Scritto da Luca Picotti
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La letteratura sul potere e le sue forme è vastissima. Il potere è politico o economico? Chi comanda un Paese? Dove si prendono le decisioni più cruciali? Quanto contano i leader? In Italia gli studi di Lorenzo Castellani, storico e saggista, hanno il pregio di avere messo in luce le dimensioni meno note dell’esercizio del potere nella politica contemporanea e non solo. A partire dalla pubblicazione de L’ingranaggio del potere (Liberilibri 2020), Castellani ha proposto un impianto concettuale che ruota attorno alla centralità della tecnocrazia, ossia quella classe burocratico-manageriale che, in virtù delle competenze tecniche e dei titoli di cui dispone, rappresenta l’ossatura sempre più preponderante di ingranaggi statali costretti a muoversi in un mondo complesso, difficilmente circoscrivibile nelle logiche a breve termine della politica elettiva. Il nuovo libro dell’autore, Eminenze grigie (Liberilibri 2024), approfondisce questa prospettiva con un approccio piuttosto peculiare: non si tratta di un vero e proprio saggio, bensì di una rassegna di biografie, volti, personaggi storici che hanno influenzato da dietro le quinte passaggi cruciali della vita politica dei propri Paesi. Uno spaccato di alcune delle più interessanti eminenze grigie della storia, tra tecnici, banchieri, religiosi, strateghi, uomini che hanno sussurrato alle orecchie dei propri leader. Da Michel Debré, il sarto costituzionale di Charles de Gaulle, a Frederick Lindemann, lo scienziato di Winston Churchill, passando per Zhou Enlai, il mandarino di Mao, o l’immancabile Alberto Beneduce, quintessenza del tecnocrate, intelligenza rara al servizio di Benito Mussolini e di cui Castellani è tra i principali studiosi in Italia.
Perché queste biografie sono tanto sconosciute al grande pubblico quanto essenziali per comprendere non solo fasi decisive della storia recente, ma anche in generale la dimensione del potere? In altre parole, cosa vuole dirci Castellani con questo volume?
Lo snodo fondamentale dell’analisi poggia sul rapporto tra figure politiche e tecniche. Le prime rappresentano i volti noti, conosciuti dal popolo, spesso responsabili di fronte a questo in quanto sua espressione. Le seconde invece agiscono dietro le quinte, nell’anticamera del potere. È un rapporto che passa per diverse asimmetrie: il tempo della politica e quello della tecnica, le competenze della politica e quelle della tecnica, le esigenze della politica e quelle della tecnica. Sono temi cruciali, che l’autore ha affrontato ne L’ingranaggio del potere e che ritornano, talvolta in modo diretto, talvolta in modo indiretto, in questo libro, nelle dinamiche che hanno informato la complementarietà tra leader e consiglieri. Il tema ha poi assunto una portata di stretta attualità soprattutto negli ultimi anni e spesso in chiave critica: sulla scia delle riflessioni di Bernard Manin sulla “democrazia del pubblico”, si è sempre più diffusa la fotografia di una politica debole, di facciata, che tende a tradursi in comunicazione, estetica, spettacolo, mentre dietro le quinte continua a girare, spesso in modo autonomo, l’ingranaggio delle tecno-strutture. Nella “democrazia del pubblico”, la politica, poggiante su una tecnostruttura che si cerca invano di mascherare, si traduce in teatralità, intrattenimento, suggestione. Al punto da sollevare il sospetto che le decisioni fondamentali vengano partorite in altre sedi, o comunque suggerite da figure che conoscono la macchina dello Stato da molto più tempo del politico di passaggio. Se tale immagine può sembrare drastica, vi sono senz’altro diverse dinamiche che rendono attuali queste riflessioni.
È proprio, come si diceva, una questione di tempi, competenze ed esigenze diverse. Si pensi all’Italia. Il corpo politico si insedia a seguito dell’elezione ed è destinato a durare, se va bene, cinque anni. Nel mentre, i dirigenti più importanti dei vari ministeri sono nominati a tempo indeterminato a seguito di concorso, sicché rimarranno a gestire la macchina pubblica nonostante lo scorrere delle stagioni politiche. Ancora, il Ministro degli Esteri, rappresentativo di una certa maggioranza parlamentare appena insediatasi, arriva alla Farnesina e si trova a lavorare con un corpo diplomatico radicato e nominato anch’esso per concorso, che ha servito il precedente Ministro e che servirà il successivo. Burocrati, ambasciatori e dirigenti sono servitori dello Stato, ancora prima che del politico di turno. Vi è la discrasia, in sostanza, tra il tempo indeterminato del tecnico e quello determinato del politico: il che ha implicazioni anche in termini di esigenze (il primo non deve mantenere nessuno consenso, il secondo sì) ed esperienza (il primo dopo anni di servizio conosce perfettamente la macchina pubblica e i dossier, il secondo comincia da zero). Dall’altra parte, oltre alla dimensione dirigenziale basata sul concorso pubblico, vi è quella dei consiglieri fiduciari, dei capi di gabinetto o di segreteria tecnica, nominati di volta in volta dal Ministro, anche se spesso in continuità negli anni. Consiglieri economici, giuridici, strategici, figure che rappresentano l’evolversi delle biografie narrate da Castellani. Per non parlare, poi, dell’articolato mondo di incarichi cumulati, porte girevoli, organi influenti, ove si mescolano veri e propri burocrati, giudici e giuristi, consiglieri fiduciari, figure ibride.
Ora, è importante non cadere nell’errore di confondere la politica con l’amministrazione. Sono cose diverse. Dunque, è fisiologico che il politico si appoggi alla tecnostruttura una volta insediatosi. È chiaro, però, che proprio per la summenzionata discrasia in termini di tempo, esigenze ed esperienze, questo comporta un peso piuttosto notevole della voce che sussurra all’orecchio. Ossia, del consigliere nel caso concreto, colui che si muove nell’anticamera del potere. Il leader politico avrà sempre bisogno di qualche eminenza grigia. La politica è dialettica, creazione di consenso su determinati temi, decisione ultima tra due direzioni alternative. Ma queste decisioni si basano su consigli, suggerimenti, ricostruzioni e fotografie degli elementi di fatto avanzate da coloro che lavorano all’ombra del potere. A decidere alla fine è chi governa, questo è pacifico, e la decisione può essere anche presa in via autonoma, in contrasto rispetto ai sussurri delle eminenze grigie; ma molto spesso tali consigli sono piuttosto persuasivi, rappresentano soluzioni innovative, direzioni auspicabili in termini di ragion di Stato, seppure dubbie dal punto di vista morale, questioni di sopravvivenza. Ed è proprio questo che troviamo nel libro di Castellani: esempi poco noti dell’influenza concreta che hanno avuto queste eminenze grigie. Decisioni politiche che nascono dalle loro intuizioni.
Il libro di Castellani evidenzia l’intreccio fondamentale che vi è tra politica e tecnica, visibile e invisibile. Non a caso, il volume si apre proprio con una emblematica citazione di Carl Schmitt, ricavata dal Dialogo sul potere: «Davanti a ogni camera del potere diretto si forma un’anticamera di influssi e poteri indiretti, un accesso all’orecchio del potente, un corridoio verso la sua anima. Non c’è potere umano che non abbia questa anticamera e questo corridoio». È un’area grigia cruciale, troppo spesso trascurata dagli scienziati politici, ci dice l’autore, perché rappresenta l’eccezione del potere e non la sua regola, l’ambigua sostanza rispetto alla lineare forma.
Infine, merita evidenziare come tale dimensione abbia assunto negli anni un ruolo sempre più centrale: «Maggiore è dunque il livello di complessità, partecipazione e ampiezza di una organizzazione politica, più ampio è il potere degli “indiretti” poiché essi diventano sempre più indispensabili per il decisore supremo». (p. 11). È proprio la complessità delle società contemporanee che costringe a confrontarsi con l’importanza di questa anticamera del potere, rendendo senz’altro attuali gli esempi storici proposti da Castellani. Perché è il crescere di corpi burocratici, concorsi pubblici, task force, nomine fiduciarie, esperti di settore, consiglieri e collaboratori della macchina amministrativa – inevitabile traiettoria delle società avanzate – che ha approfondito la commistione tra politica e tecnica. Tra leader ed eminenze grigie. Diretti e indiretti. Il quadro che emerge riflette, in definitiva, l’intero filone teoretico che Lorenzo Castellani ha proposto negli ultimi anni con i propri studi: l’emergere delle burocrazie contemporanee, trattate ne L’incubo di Tocqueville e ne Il minotauro; l’aristocrazia dei competenti e i suoi eccessi a-politici e a-dialettici ne L’ingranaggio del potere e in Sotto scacco; infine, con quest’ultimo libro, il racconto di alcuni volti, aneddoti e fatti del passato che vanno a spiegare cosa troviamo, concretamente, nella storia e oggi, dietro alle analisi sulla tecnocrazia e sugli ingranaggi del potere.
A questo link è disponibile sul nostro sito, per gentile concessione dell’autore e dell’editore, il capitolo di Eminenze grigie dedicato al profilo di Alberto Beneduce.