“Energia arcobaleno” di Alessandro Lanza
- 27 Novembre 2023

“Energia arcobaleno” di Alessandro Lanza

Recensione a: Alessandro Lanza, Energia arcobaleno. Il futuro è dell’idrogeno?, il Mulino, Bologna 2023, pp. 136, euro 13 (scheda libro)

Scritto da Giacomo Centanaro, Giuseppe Palazzo

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Quello tra le diverse forme di energia utilizzate da comunità umane più o meno complesse e l’identità di quelle stesse comunità è forse uno dei rapporti più interessanti che si possano indagare nello studio dello sviluppo economico. A definire questo complesso rapporto concorrono caratteristiche tipiche non solo dell’economia, ma anche dei rapporti sociali e degli interessi politici dei diversi Paesi. Si potrebbe dire che la conversione a differenti fonti energetiche primarie o a diversi vettori, così come a fornitori – pubblici o privati – di una nazionalità piuttosto che di un’altra, abbia sempre rappresentato un’equazione con una pluralità di variabili. Le conseguenze dell’attacco russo all’Ucraina, la centralità di forniture di energia sicure per la vita sociale ed economica e la sempre più pressante questione della sostenibilità ambientale hanno riconfermato la centralità del tema. In questo dibattito si inserisce Energia arcobaleno (il Mulino 2023) di Alessandro Lanza, un contributo che proviene da un’esperienza personale di contaminazione tra il management di alto livello nella grande impresa e il mondo della ricerca e dell’accademia e, per questo, è capace di portare un duplice valore aggiunto. Sia sul fronte della comprensione del settore dei grandi operatori di mercato che su quello dell’analisi delle potenzialità di un’alternativa energetica, l’idrogeno, che negli ultimi anni ha goduto di una sempre maggiore attenzione, anche su mezzi di informazione non specializzati.

Sulla Terra l’idrogeno esiste solo combinato con altri elementi e non consente di produrre energia ex novo. In particolare, l’idrogeno è presente nell’acqua, nella cui molecola si lega con l’ossigeno (H2O), e negli idrocarburi, come il metano e il petrolio, nei quali si lega con il carbonio. Per ottenere l’idrogeno in forma pura, H2, occorre estrarlo, separarlo dagli altri elementi, con processi che, a loro volta, implicano il consumo di energia. Successivamente l’idrogeno può essere usato per produrre nuova energia. L’idrogeno, dunque, non è una fonte, bensì un vettore, perché conserva l’energia usata per estrarlo, permette di trasportarla, e la rilascia in un secondo momento, quando e dove si decide di utilizzarlo. In questo processo possono essere utilizzate diverse fonti per l’energia necessaria all’estrazione dell’idrogeno e diverse tecnologie per lo svolgimento dei diversi passaggi. In base alla fonte di energia e alle tecnologie usate per estrarre l’idrogeno, il processo produce più o meno emissioni di CO2, da cui dipende il “colore” che attribuiamo all’idrogeno. Si distinguono in particolare: idrogeno nero/marrone – prodotto utilizzando carbone/lignite come fonte di energia; idrogeno grigio – prodotto utilizzando metano; idrogeno blu – idrogeno nero, marrone o grigio con l’aggiunta della cattura e stoccaggio della CO2 a valle (la CCUS, carbon capture utilisation and storage); idrogeno giallo – prodotto dall’acqua tramite elettrolisi, ovvero separando l’idrogeno dall’ossigeno utilizzando l’energia elettrica della rete; idrogeno verde – prodotto tramite elettrolisi utilizzando interamente elettricità da rinnovabili, quindi senza alcuna emissione; idrogeno rosa (o viola) – prodotto tramite elettrolisi utilizzando energia nucleare, senza emissioni.

Secondo la International energy agency (IEA) il 75% circa dell’idrogeno viene prodotto ogni anno utilizzando metano, con un costo, secondo Ricerca sul sistema energetico (RSE), tra 1,5 e 2,3 $/kg, aggiungendo 0,2-0,3 $/kg in caso di adozione della CCUS. Per una riduzione delle emissioni tra il 55 e il 90% si stimano costi aggiuntivi tra i 53 e i 115 $ a tonnellata di CO2, con un aumento dei costi all’aumentare delle emissioni catturate. La IEA stima che solo 0,5 Mt (milioni di tonnellate) annue di idrogeno sono prodotte con la CCUS, contro le 70 Mt complessive (a cui ne vanno aggiunte altre 48, prodotte nei settori della chimica e della raffinazione). Più si punta alle soluzioni meno impattanti e più i costi aumentano. L’idrogeno verde costa oggi 2,5-4,5 $/kg e per essere competitivo con le fonti fossili dovrebbe costare 2 $/kg. Il costo è legato al prezzo dell’elettricità usata, che pesa per il 60-80% dei costi totali, e, in base al tipo di elettrolizzatore, alla necessità di utilizzare materiali costosi come il platino. Non vi sono, tuttavia, emissioni di CO2 da catturare e si consumano 9 kg di acqua per chilo di idrogeno, contro i 13-18 kg necessari per la produzione di idrogeno blu dal gas e i 40-85 kg per la produzione dal carbone. Oggi solo il 4% dell’idrogeno è prodotto tramite elettrolisi (idrogeno verde, giallo e rosa) contro il 75% prodotto usando gas e il 23% usando carbone. Secondo dati IEA del 2022, tra idrogeno verde e blu, con alti livelli di cattura delle emissioni, si tratta di una produzione di solo 1 Mt[1].

Secondo la IEA il 33% dell’idrogeno oggi è usato per la raffinazione del petrolio, il 27% per la produzione di ammoniaca, l’11% per quella di metanolo, il 3% per quella dell’acciaio. L’autore si chiede come questi utilizzi, e i nuovi che possono emergere, potranno svilupparsi in vista degli scenari di forte crescita dell’idrogeno. Il libro si sofferma in particolare su riscaldamento e trasporti. Secondo SNAM e McKinsey in Italia entro il 2050 si potrà decarbonizzare il 20-25% del riscaldamento degli edifici miscelando idrogeno e altri combustibili verdi nelle reti del gas, mentre il resto sarà decarbonizzato da pompe di calore e teleriscaldamento. Previo adeguamento della rete per il trasporto dell’idrogeno, molecola molto diversa dal metano. Per le automobili l’applicazione migliore legata all’idrogeno è, al momento, la cella a combustibile, in cui l’idrogeno viene fatto reagire con l’ossigeno producendo elettricità (in questo caso, ma anche calore) e rilasciando acqua, con efficienza molto elevata. Tuttavia, oltre ai costi ancora alti delle celle, vi è un limite infrastrutturale. A fine 2020 c’erano 600 stazioni di rifornimento di idrogeno nel mondo, di cui 200 in Europa (100 solo in Germania). Numeri molto bassi rispetto alle 220.000 colonnine per la ricarica elettrica solo in Europa, di cui 25.000 di ricarica veloce. I vantaggi rispetto all’elettrico sono l’autonomia, di 400-500 km, un peso inferiore del veicolo e un tempo di rifornimento di 3-5 minuti. Tuttavia, S&P Global Platts stima che, in Germania, tra i Paesi più attrezzati di pompe a idrogeno, l’approvvigionamento costi 9,5 €/kg. Considerando che un chilo di idrogeno permette di percorrere 100 km, i prezzi sono ancora alti. In generale, più si tratta di veicoli grandi e pesanti, usati in modo vincolato su lunghe distanze, prima le celle a combustibile saranno competitive. Sui treni le celle a combustibile sono adatte per tratte non elettrificate, lunghe, a bassa frequenza e con brevi periodi di inattività. Treni già operativi ci sono in Germania e presto in Italia[2] e in Giappone. Maggiori opportunità per l’idrogeno vi sono nel trasporto aereo e marittimo. Molto interessante è il potenziale ruolo dei porti come hydrogen valley, luoghi in cui integrare diverse parti della filiera dell’idrogeno.

Una hydrogen valley permette di ridurre le barriere all’utilizzo diretto dell’idrogeno nel settore energetico. Utilizzo che ne aumenterebbe la domanda e ne sosterrebbe le catene del valore, ma vi sono degli ostacoli. A monte, occorre molto idrogeno, meglio se verde, e a questo lato del problema si può rispondere ricorrendo a un aumento significativo delle rinnovabili e sfruttando i periodi giornalieri e stagionali in cui la produzione rinnovabile è alta e i consumi bassi. A valle, anche la successiva conversione dell’idrogeno verde in elettricità ha dei limiti: le celle a combustibile, per la durata tecnica e la potenza limitate, si prestano più a una generazione decentralizzata. L’idrogeno può anche essere usato al posto del metano nelle turbine a ciclo combinato, con altre sfide legate all’adeguamento della rete e degli impianti. Anche la fase intermedia, che include stoccaggio e trasporto, tra produzione dell’idrogeno e sua conversione in elettricità, è ricca di sfide. Lo stoccaggio e il trasporto in forma gassosa hanno il limite della bassa densità energetica: i volumi sono grandi e i serbatoi commerciali contengono quindi poca energia. La conversione in forma liquida implica il raffreddamento a -253 °C, l’utilizzo di serbatoi isolati e un consumo di energia pari al 20-45% del contenuto energetico dell’idrogeno stesso (dati della International renewable energy agency). Non sorprende che oggi, secondo la IEA, l’idrogeno produca solo lo 0,2% dell’elettricità globale.  Concentrare queste infrastrutture in una hydrogen valley diminuisce alcuni di questi costi, in particolare riducendo le distanze e i tempi tra produzione e utilizzo. I limiti odierni all’utilizzo dell’idrogeno su vasta scala nel mondo dell’energia riguardano principalmente tre fattori: i costi di produzione alti e il livello di maturità tecnologica basso per l’idrogeno verde; il livello di maturità della CCUS, non sufficiente; la competizione con l’elettrificazione dei consumi. Per superare questi ostacoli è indispensabile l’impegno in ricerca e innovazione e anche l’implementazione gioca un ruolo fondamentale nell’accumulare esperienze, nel dare il via a una serie di innovazioni incrementali, nel creare una catena del valore e, pertanto, nel ridurre i costi. In particolare, Lanza sottolinea l’importanza di superare i limiti di efficienza e ridurre i costi degli elettrolizzatori e delle celle a combustibile per l’idrogeno verde, e di lavorare per rendere la CCUS utilizzabile su vasta scala per l’idrogeno blu.

A stabilire quali soluzioni si affermeranno, e quale sarà il ruolo dell’idrogeno, è l’evoluzione della tecnologia, ma anche l’interesse delle imprese e degli Stati. Chi vuole difendere la posizione acquisita guarderà ad alcune soluzioni piuttosto che ad altre, così come un Paese, se deve o vuole dipendere meno da fornitori esterni[3], punterà sulle risorse e sulle competenze che possiede. La sfida sta nel trovare l’equilibrio tra la convenienza politica ed economica e la necessità di evitare l’accumularsi di infrastrutture che rischiano di diventare presto obsolete o il cui utilizzo oltre un certo periodo, per quanto coerente con il recupero dei costi, non è in linea con i piani di riduzione delle emissioni e di transizione, con ricadute negative per ambiente e competitività. Infatti, l’Unione Europea punta su uno sviluppo graduale dell’idrogeno: secondo la Commissione europea fino al 2040 occorrerà puntare soprattutto sull’idrogeno blu, in quanto a basse emissioni e a costi contenuti, contribuendo a far nascere un mercato e a ridurre i costi, creando le condizioni per lo sviluppo dell’idrogeno verde. L’obiettivo è portare il peso dell’idrogeno nel mix energetico europeo dal 2% odierno al 13-14% entro il 2050. Secondo dati al 2021 riportati da Wood Mackenzie, sono stati presentati progetti per una capacità di elettrolizzazione globale di 26 GW, di cui due terzi in Europa. Capacità che cresce esponenzialmente. La strada da fare è comunque lunga, dovendo raggiungere quasi 1.000 GW entro il 2050 per coprire una produzione di idrogeno verde che dovrà essere il 75% del totale prodotto, assorbendo il 12% dell’elettricità mondiale, più dell’offerta annua per il mercato statunitense. Così l’idrogeno verde coprirà il 7% della domanda mondiale di energia. Tuttavia, secondo la Fondazione Eni Enrico Mattei, di cui Lanza è Direttore esecutivo, le strategie degli Stati non affrontano i veri nodi del mercato. Le sfide principali dell’idrogeno, che ne tengono alti i costi, riguardano da un lato l’assenza di prospettive di economie di scala e dall’altro i costi-opportunità rispetto all’utilizzo di altre soluzioni oggi più economiche o più facilmente utilizzabili (ad esempio l’elettrico per le auto e le pompe di calore per il riscaldamento). È necessario, come accaduto per lo sviluppo di altre tecnologie, come il fotovoltaico, che il pubblico incentivi domanda e offerta, creando le condizioni affinché la filiera e l’utilizzo dell’idrogeno si diffondano, fino a quando il settore non potrà procedere con le sue forze.

La Net Zero Roadmap della IEA, che indica le misure necessarie per restare sotto i +1,5°C, pubblicata a settembre, conferma i limiti tecnologici e di mercato. La domanda di idrogeno al 2030, nello scenario emissioni nette 0 al 2050, dovrebbe fondarsi per l’80% su nuove applicazioni, ancora immature, limitando l’utilizzo di idrogeno verde e blu a specifiche applicazioni consolidate. Gli investimenti globali nella filiera dell’idrogeno verde e blu ammontano a 1 miliardo di dollari annuo, ma ne servirebbero 250 entro il 2030. Al momento «l’idrogeno costituisce un problema climatico, piuttosto che una soluzione», considerando le 0,9 miliardi di tonnellate di emissioni dovute alla sua produzione nel 2022. Pesa lo scarso utilizzo della CCUS, «una storia di aspettative disattese», frenata da alti costi e lunghi tempi per gli impianti e per le infrastrutture di trasporto e accumulo della CO2. Affrontare le sfide tecnologiche e di mercato è necessario, a maggior ragione perché la IEA, pur constatandone i limiti attuali, considera idrogeno, CCUS e carburanti a base di idrogeno necessari per il 20% della riduzione delle emissioni da conseguire tra il 2030 e il 2050[4].

Una prospettiva che supporta il ruolo dell’idrogeno è lo sviluppo del sistema energetico integrato e del sector coupling, ovvero l’integrazione, fondata su efficienza e circolarità, tra diverse reti, vettori e usi energetici (elettricità, gas[5], calore, carburanti e idrogeno) e tra il settore energetico e altri settori in grado di “dialogare” con le reti dell’energia, ovvero i trasporti, le industrie – i cui processi consumano ma possono anche rendere disponibile energia – e il “costruito” (edifici e infrastrutture), i consumi, l’accumulo (batterie) e la conversione dell’elettricità in idrogeno o in carburanti. La conversione dell’energia elettrica in altri vettori permette, inoltre, di usare l’energia rinnovabile[6] per processi difficilmente elettrificabili (ad esempio con l’idrogeno verde nella siderurgia). Viceversa, se di energia ve n’è poca se ne fa rilasciare agli accumuli e si disincentiva il consumo. Fondamentale è, infatti, abilitare la domanda a contribuire all’equilibrio della rete e all’efficienza del sistema tramite dispositivi automatici in grado di, esigenze del consumatore permettendo, ridurre/aumentare i consumi se vi è poca/troppa energia in rete (ad esempio demand response e smart charging)[7]. Nel sistema energetico integrato l’idrogeno può avere un importante ruolo di cerniera tra generazione di elettricità, accumulo e altri usi. L’idrogeno prodotto, ad esempio, usando l’elettricità generata da impianti eolici nelle ore notturne (quando i consumi sono bassi), può essere usato per produrre nuovamente elettricità o calore tramite celle a combustibile o per produrre carburanti sintetici. Il sistema energetico integrato, a cui l’Unione Europea guarda per il 2050[8], è la concretizzazione di quanto Lanza sottolinea in apertura e in chiusura del volume, ovvero che non esiste una fonte o tecnologia che risolverà tutti i problemi, bensì esistono più soluzioni da utilizzare in modo integrato, valorizzando e “bypassando”, rispettivamente, le potenzialità e i limiti di ognuna[9]. A tutto ciò si aggiunge la riflessione, oltre lo scopo del libro, del limite fisico all’utilizzo delle risorse e alla necessità di riconsiderare il nostro modello di sviluppo[10].

La ricerca contemporanea di vettori o di fonti di energia più affidabili ed efficienti, ha assunto i caratteri di una questione vitale per gli equilibri globali, equilibri che si celano, spesso, anche in fondamentali aspetti tecnici. Il lavoro di Alessandro Lanza offre una trattazione efficace di alcune delle nuove risposte energetiche, e ci riporta a questioni, rimaste pressoché identiche nel corso dei secoli. Per esempio, come ha scritto lo scienziato Vaclav Smil: «Il lavoro di Filippo Brunelleschi per la cattedrale di Santa Maria del Fiore è un esempio perfetto del ruolo dell’ingegno umano nel riuscire a produrre la quantità di energia richiesta per un certo scopo in modo funzionale», l’inedita dimensione della cupola e la tecnica senza precedenti «mettono ancora più in risalto il ruolo fondamentale del genio di Brunelleschi e l’importanza delle sue nuove macchine»[11].  La soluzione, oggi come allora, è ancora in mano alla scienza e al genio umano.


[1] International Energy Agency, Net Zero Roadmap. A global pathway to keep the 1.5°C Goal in Reach 2023 Update, settembre 2023, paragrafo 3.2.2.

[2] F. Greco, In Germania debuttano i treni a idrogeno, in Italia arriveranno a fine 2023, «il Sole24Ore», 24 agosto 2022.

[3] Sulla necessità, invece, della cooperazione, piuttosto che della competizione, si veda: Cooperare per innovare. Lo Strategic Energy Technology Plan dell’UE e il ruolo delle imprese di G. Palazzo, Capitolo 3 nel Rapporto Osservatorio Innov-E 2023 dell’Istituto per la Competitività (I-Com) – L’innovazione energetica bussola del cambiamento.

[4] International Energy Agency, Net Zero Roadmap. A global pathway to keep the 1.5°C Goal in Reach 2023 Update, settembre 2023, paragrafi 3.1.2, 3.2.1, 3.2.2, citazioni pp. 136 e 132.

[5] Sempre meno metano e sempre più biogas.

[6] Le principali fonti rinnovabili producono energia sotto forma di elettricità (solare, eolico, idroelettrico).

[7] Sistemi in grado di modulare l’intensità di utilizzo dell’energia da parte di certi elettrodomestici o impianti industriali, che possono andare a pieno regime o al minimo tecnico. Applicazioni interessanti riguardano i desalinizzatori dell’acqua sulle isole, contesti interessanti per sperimentazioni, o i data center, che producono anche calore.

[8] Per approfondire si veda: ETIP SNET, Vision 2050, 2017.

[9] Alcuni limiti che si constatano oggi nella produzione di elettricità da idrogeno, ad esempio i limiti di durata tecnica e di potenza delle celle a combustibile, nell’ambito di un sistema integrato possono anche non essere più un problema. L’integrazione del sistema, basato su produzione rinnovabile distribuita sul territorio, non più centralizzata, e su un uso efficiente e circolare delle risorse, consente di ottimizzare l’utilizzo di più soluzioni insieme (rinnovabili, idrogeno, batterie, sistemi di conversione, modulazione dei consumi, ecc.). Perciò, i dubbi “basta il solare?”, “basta l’eolico?” o “basta l’idrogeno?”, non hanno senso: singolarmente non bastano, ma tutti insieme, se gestiti opportunamente, possono bastare.

[10] Si veda: G. Ruggieri, Il percorso delle energie rinnovabili. Stiamo già abitando il futuro, «pandorarivista.it», 4 febbraio 2021.

[11] V. Smil, Energia e civiltà. Una storia, Hoepli, Milano 2021.

Scritto da
Giacomo Centanaro

Laureato presso la Scuola di Scienze Politiche “Cesare Alfieri” di Firenze. Ha conseguito titoli post-laurea presso l’Università LUISS di Roma e ha completato un periodo di studio presso l’Université Paris 1 Pantheon-Sorbonne. È stato coordinatore del Limes Club Firenze ed è alumno della Scuola di Politiche.

Scritto da
Giuseppe Palazzo

Laureato in Scienze Internazionali e Istituzioni Europee presso l’Università degli Studi di Milano, si è poi specializzato nel settore energetico, conseguendo un MSc in Global Energy and Climate Policy presso la SOAS University of London e un master in Energy Management presso il MIP Politecnico di Milano. Ha intrapreso percorsi legati alle politiche pubbliche ed europee, presso ISPI e Scuola di Politiche, e legati alla regolazione del settore energetico italiano presso l’Università di Siena. Ha lavorato come consulente in BIP, ora è project manager per le attività internazionali di RSE (Ricerca sul Sistema Energetico), dipartimento Sviluppo sostenibile e Fonti energetiche.

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