Recensione a: Valeria Termini, Energia. La grande trasformazione, Laterza, Roma-Bari 2020, pp. 256, 20 euro (scheda libro)
Scritto da Giuseppe Palazzo
10 minuti di lettura
Il nuovo libro di Valeria Termini, Professore ordinario di Economia politica all’Università Roma Tre e membro dell’High Level Dialogue on Energy delle Nazioni Unite per la COP26, ha il merito di integrare il corrente dibattito sul tema energetico collocando e analizzando la transizione energetica nelle sue diverse dimensioni: geoeconomiche, geopolitiche, sociali e culturali. La transizione, così, non è solo meglio compresa ma anche posta nella giusta luce che ne sottolinea la reale importanza storica, come “trasformazione” piuttosto che “transizione”.
Energia. La grande trasformazione, prende avvio fotografando le tendenze relative al mix energetico globale per poi concentrarsi sul Novecento, il secolo del petrolio, da cui trarre importanti lezioni. L’autrice in particolare sottolinea gli effetti dell’interrelazione tra commercio di petrolio e finanziarizzazione dell’economia. Dopodiché, Termini tratta le dinamiche rivoluzionarie attorno al gas e le ripercussioni della trasformazione in atto nei Paesi produttori di greggio, in particolare le monarchie del Golfo. Nell’ultimo capitolo lo sguardo si sposta verso Stati Uniti e Cina, i cui rapporti sono centrali nella portata della trasformazione. Infine nelle conclusioni si riepiloga il percorso del libro, sintetizzandone i principali aspetti nelle “leggi della trasformazione energetica”, una sintesi per punti del ciclo delle innovazioni: la vulnerabilità del sistema spinge a innovare per costruire alternative domenica > dalle innovazioni radicali si passa a quelle incrementali > queste portano all’abbassamento del prezzo delle nuove soluzioni, quindi alla loro diffusione > la diffusione porta alle implicazioni economiche e politiche. In chiusura del saggio l’autrice sottolinea inoltre l’importanza di responsabilità condivise per la costruzione di un mondo capace di governare la rivoluzione in corso.
Ad oggi il mix energetico globale è dominato ancora da carbone e petrolio (grafico 1) e una prima lettura dei dati può destare scetticismo sulla trasformazione ma la situazione sta mutando velocemente per via dei tassi di crescita delle rinnovabili (grafici 2 e 3, a titolo esemplificativo). Mentre le fonti fossili, dal 2007 al 2017, sono cresciute dell’1,3% annuo, solare ed eolico sono aumentati in media del 16,4% (dati British Petroleum) e oramai la competitività delle rinnovabili è indiscussa, anche senza incentivi[1]. Inoltre, è avvenuto il disaccoppiamento tra la crescita del PIL e le emissioni: non occorre scegliere tra crescita e tutela dell’ambiente ormai, due binari che dovranno incontrarsi nella direzione dello sviluppo sostenibile. In questa sede ci limitiamo a questi pochi dati ma il libro ne è ricco e per ulteriori informazioni, sulle rinnovabili in particolare, si consiglia il precedente libro di Valeria Termini, Il mondo rinnovabile.
Il secolo del petrolio
Il sistema energetico odierno è imperniato sugli idrocarburi, ed è importante comprendere come questo sistema sia nato, alla fine dell’Ottocento, e quali insegnamenti è possibile trarne. Non si tratta di una mera sostituzione di fonti di consumo, dalla preminenza del carbone a quella del petrolio allora, dal petrolio alle rinnovabili oggi. Si tratta delle infrastrutture necessarie per il consumo delle diverse fonti e delle opportunità che queste portano. Una volta che queste opportunità, sospinte dalle innovazioni, danno origine a nuovi prodotti e servizi accessibili dalla popolazione, la vita quotidiana dei singoli ne viene rivoluzionata. Intere catene del valore emergono, con il conseguente impatto sull’economia globale e sugli equilibri geopolitici. All’epoca si trattava di automobili e petrolchimica, oggi della home energy e dei prosumer (controllo dei consumi tramite app e produzione a livello domestico di elettricità grazie a piccoli impianti rinnovabili). Ma in quali modalità e tempistiche assisteremo a questo sconvolgimento epocale?
«Può avvenire tutto molto rapidamente. Accade quando tasselli diversi del cambiamento radicale si congiungono nella stessa direzione» (p. 33). Opinione diffusa vuole che la trasformazione possa concludersi in molto tempo, così la pensano la maggior parte di studiosi e governanti, ma la rivoluzione del petrolio avvenne circa dal 1860 al 1870. A dare la spinta furono allora, e sono oggi, da un lato la scoperta delle potenzialità della fonte alternativa, dall’altro la consapevolezza delle vulnerabilità del sistema imperniato sulla fonte dominante.
Il lavoro nelle miniere di carbone era disumano e il conflitto sociale portò all’organizzazione dei lavoratori – minatori, ferrovieri e portuali – che divennero potenzialmente in grado di paralizzare l’economia britannica. Per governo e imprese era necessario liberarsi da questa minaccia e le innovazioni necessarie arrivarono dagli Stai Uniti: la petrolchimica, le automobili e l’utilizzo del petrolio nel settore militare. Il prezzo pagato è stato la dipendenza dai pozzi in Medio Oriente, con tutto ciò che ne è conseguito. Il libro affronta la questione e riepiloga i principali avvenimenti nella regione dai primi decenni del XX secolo, ricordando come l’Occidente, per garantirsi l’accesso alla risorsa, preziosa e strategica, abbia contribuito a destabilizzare la regione.
Un sistema basato sul petrolio ha mostrato quindi la sua vulnerabilità geopolitica, ben esemplificata dalle crisi petrolifere degli anni Settanta e dall’affermazione del potere dell’OPEC (l’Organizzazione dei Paesi Esportatori di Petrolio): importanti vulnerabilità ben esposte nel volume. Per quanto riguarda valute e commercio si riuscì a costruire una governance internazionale, con l’ordine monetario basato sul dollaro ancorato all’oro (Bretton Woods, 1944). Così non fu per il mercato delle materie prime. In questo contesto nacque l’accordo tra Stati Uniti e Arabia Saudita, in cui quest’ultima accettò il compito di mantenere il mercato in equilibrio. Washington si garantì così l’egemonia sul settore del greggio, ma negli anni Settanta il contesto mutò e alle crisi petrolifere si assommò la fine del sistema di Bretton Woods nel 1971. Per difendere il ruolo della valuta, dopo la fine della convertibilità in oro, Nixon stipulò un altro accordo, segreto, con Riyad: l’Arabia Saudita si impegnò a trattare petrolio solo in dollari e a investire nel debito statunitense, cresciuto a causa della guerra in Vietnam, in cambio di copertura strategica e forniture militari. In questo modo gli Stati Uniti si garantirono importanti esportazioni dando stabilità al dollaro e al sistema monetario globale. Il forte aumento del prezzo del greggio negli anni Settanta creò tuttavia squilibri significativi che andavano “corretti” riciclando i petrodollari. Nuove opportunità per ripianare quei disavanzi vennero da liberalizzazioni e finanziarizzazione dell’economia. Ne derivarono cospicui investimenti di breve termine, a caccia del guadagno rapido, e prestiti erogati ai Paesi in via di sviluppo e industrializzati indebitati. Prestiti finalizzati più a mantenere questi Paesi nella posizione commerciale di importatori piuttosto che per costruire le basi per lo sviluppo dell’economica locale. In breve: i petrodollari così riciclati hanno “drogato” l’economia mondiale, dando luogo a prestiti spesso non ripagabili e contribuendo, sull’onda del neoliberismo, al potere della rendita e all’aumento delle disuguaglianze, un problema che esplode in Occidente soprattutto in seguito alla crisi finanziaria del 2008. Dinamiche perverse esistenti ancora oggi e che riguardano direttamente la Cina, in quanto creditrice nei confronti di Paesi produttori di petrolio con solvibilità incerta. Gli squilibri e le instabilità citate sono incentrate sul ciclo del petrolio, il cui impatto è esasperato dalla speculazione. I cicli funzionano in questo modo:
In quei decenni più l’economia cresceva più aumentava il consumo di energia e di petrolio. Ma oggi non è più così e il ciclo, come vedremo, si è spezzato.
Come ha inizio la grande trasformazione
Già negli anni Settanta si comprese che la dipendenza dal petrolio rappresentava un serio problema e si iniziarono a percorrere due vie: da un lato Washington guardò alla produzione interna, dall’altro si cominciò a studiare sistematicamente le fonti rinnovabili. Si è partiti dalla consapevolezza delle vulnerabilità del sistema, alle quali si è aggiunto il cambiamento climatico, e nel corso degli anni le innovazioni tecnologiche hanno fornito gli strumenti per superare lo status quo. La transizione energetica permette di produrre elettricità con fonti disponibili a livello distribuito, tramite impianti di varie dimensioni (dal pannello solare domestico ai parchi eolici offshore) e la transizione digitale, grazie alle smart grid (reti intelligenti), permette di gestire, in modo via via più accurato, l’immissione discontinua (in base all’irradiazione e alla ventilazione) di nuova elettricità da parte degli impianti diffusi sul territorio[2]. La digitalizzazione permette inoltre di avere maggiore consapevolezza dei propri consumi, grazie agli smart meter (contatori intelligenti) e, adoperando impianti rinnovabili domestici, di dare ai cittadini un ruolo attivo nel sistema energetico[3]. Ma i cittadini che potrebbero beneficiarne di più sono quelli dei Paesi cosiddetti in via di sviluppo, più vulnerabili agli impatti del cambiamento climatico, colpiti dai vari colonialismi economici derivanti proprio dalla sete di greggio dei Paesi più industrializzati e con ancora un basso accesso all’elettricità[4].
Fra le innovazioni vanno menzionati inoltre fracking e gas naturale liquefatto (GNL). La prima è una tecnica di estrazione di petrolio e gas tramite perforazione idraulica che, pur con le sue importanti criticità, ha portato gli USA a diventare i primi produttori di greggio al mondo nel 2019. L’offerta di gas in particolare è significativamente aumentata negli anni, creando un mercato saturo. Grazie al GNL, trasportabile via nave, il mercato del gas è diventato globale, non essendo più vincolato ai gasdotti[5], e sono comparsi nuovi produttori, in particolare il Qatar, e Washington e Mosca sono passati dal produrre l’80% del gas mondiale negli anni Settanta a produrne il 39% nel 2018 (dati BP). Il gas si è inoltro svincolato dal prezzo del petrolio e dalle sue fluttuazioni speculative. Tutte condizioni, insieme alle minori emissioni prodotte dal gas rispetto al carbone e al petrolio, che rendono questa fonte in grado di accompagnare il sistema economico globale verso il “mondo rinnovabile”.
Tutte queste innovazioni rompono il ciclo del prezzo del petrolio. Da una parte fracking e GNL contribuiscono a tenere alta l’offerta, dall’altra rinnovabili, auto elettriche ed efficienza energetica, insieme alla bassa crescita economica, ne riducono la domanda. Nonostante i tentativi dei Paesi produttori, dal 2016, di far risalire il prezzo riducendo la produzione, quest’ultimo è sceso dai 93 dollari medi al barile del 2014 ai 65,2 nel 2018. La pandemia ha portato addirittura a prezzi negativi ad aprile 2020[6].
“Il vecchio muore e il nuovo non può ancora nascere”
La celebre frase di Antonio Gramsci si presta a descrivere efficacemente questa grande trasformazione, e non a caso è utilizzata nel libro, la cui bibliografia ricchissima spazia dall’economia alla storia, dalla filosofia alla letteratura. Il nuovo “mondo rinnovabile”, potenzialmente più pulito e più democratico, infatti non è ancora “rinnovato”[7]. Non si tratta solo di sostituire petrolio e carbone con sole e vento, siamo dinanzi a una nuova fase del capitalismo. La grande trasformazione non è un fenomeno fuori dal nostro controllo ma non bisogna illudersi che abbia impatti solo benefici. La mancata costruzione di una governance relativa al petrolio, come si è visto, ha avuto e ancora ha impatti notevoli e anche inattesi. Occorre ora non ripetere gli stessi errori. Come erano terribili e insostenibili, a livello sociale e ambientale, le miniere di carbone in Europa lo sono anche quelle di metalli rari necessari alla transizione energetica e digitale (litio, gallio, neodimio…)[8]. Inoltre, anche queste risorse sono localizzate in alcune aree del mondo e sono principalmente sotto il controllo, diretto e indiretto, cinese. La dipendenza dal greggio e dall’OPEC potrebbe essere sostituita da una dipendenza da questi materiali e dalle relative filiere industriali.
Partendo da queste considerazioni il libro dedica ampio spazio alle ripercussioni geopolitiche, sociali e culturali della grande trasformazione. I Paesi produttori di petrolio dovranno riconvertire le proprie economie e, in base al peso delle esportazioni di greggio sul bilancio, riscrivere il proprio “contratto sociale”. Meno introiti dall’esportazione di barili implicano per questi Stati, in particolare per le monarchie del Golfo, la necessità di aumentare il gettito fiscale, oggi molto più basso rispetto ai Paesi occidentali. Termini invita, tuttavia, a non cadere nell’illusione che il nuovo contratto sociale che potrebbe derivarne porterà allo sviluppo della democrazia liberale, ricalcando la storia dell’Occidente.
Un intero capitolo analizza le politiche energetiche di Trump e Xi, inserendole in un discorso più ampio sul declino, apparente o meno, degli USA e sull’emergere della Cina. Nelle dinamiche della grande trasformazione la Cina si è posta in vantaggio e, dal 2008, ha contribuito al 40% della crescita globale e oggi è all’avanguardia nelle telecomunicazioni e nella filiera delle rinnovabili, dalle materie prime alla generazione di energia, dalla componentistica alle batterie. Pechino può dunque porsi in una posizione economica e tecnologica in grado di sfidare da pari Washington in molti settori. Oltre agli aspetti economici il libro sottolinea anche le differenze culturali con gli Stati Uniti. Da un lato le tecnologie che rendono possibile il “mondo rinnovabile” sono figlie dell’Occidente, forse perché l’innovazione radicale e trasformativa trova terreno fertile “nelle società aperte”, mentre in Cina l’innovazione ha avuto – finora – più una natura incrementale, per quanto molto importante. Dall’altro, per le sfide globali di oggi, pandemia compresa, l’impianto culturale e istituzionale cinese sembra più efficace: l’equilibrio sociale è posto sopra la libertà individuale, ma a costo di un accentramento e di una verticalizzazione del potere. Al momento i rapporti tra le due potenze sono conflittuali, ma è necessario mutino per governare la grande trasformazione, soprattutto considerate le tempistiche, molto più brevi di quanto ancora si pensi. Non si tratta solo di superare la centralità del petrolio, bensì la centralità degli Stati Uniti, del dollaro e di un intero ordine mondiale, da rivedere per riflettere un sistema di equilibri economici e geopolitici internazionali sempre più multipolare. Il fondamentale ruolo di mediazione tra le potenze e le culture è attribuito dall’autrice all’Unione Europea, in virtù della sua sensibilità per l’inclusione sociale: «Questa contaminazione è il volto luminoso della grande trasformazione energetica» (p. 205).
In sintesi, il quadro che il libro fornisce della grande trasformazione è sia ampio, nel passare con naturalezza dalla dimensione storica a quella economica fino a quella culturale, sia profondo, in quanto non si limita ad accennare i diversi aspetti, bensì li porta all’attenzione del lettore con tutte le loro complessità. Costruire un “mondo rinnovabile”, indispensabile dinanzi la sfida della decarbonizzazione, passa necessariamente per la costruzione di un mondo “rinnovato”. Rinnovato non può essere solo il sistema energetico, bensì l’intero ordine mondiale, in un processo che vede la transizione determinare rivolgimenti geopolitici e geoeconomici e questi ultimi a loro volta influenzare le modalità con cui la transizione ha luogo, tramite l’interazione di forze favorevoli e contrarie. Una grande trasformazione che è più della somma delle sue parti e che determinerà il nostro cammino presente e futuro.
[1] I LCOE, levelized cost of energy, comprensivi di tutti i costi principali di generazione, realizzazione e manutenzione, mostrano la competitività di solare ed eolico in particolare. Secondo l’International Renewable Energy Agency il nucleare non scende sotto i 97 $/MWh, il carbone non più in basso di 60 $/MWh e il gas utilizzato in impianti a ciclo combinato (il modo più efficiente di produrre energia con le fonti fossili) costa 48 $/MWh. Tutti numeri ben più alti dei circa 25 $/MWh dell’eolico e dei 17,9 $/MWh del solare. Dati riportati in Il mondo rinnovabile, sempre di Valeria Termini, edito nel 2018 da LUISS University Press.
[2] Si veda questo approfondimento e Valeria Termini, “Regolare il cambiamento: l’impatto delle fonti rinnovabili e dell’innovazione tecnologica sulle reti”, in Riforme elettriche tra efficienza ed equità a cura di Alberto Clô, Stefano Clô, Federico Boffa, pagg. 131-54, il Mulino, Bologna 2014.
[3] Già cittadini organizzati in cooperative rappresentano un importante attore del mercato elettrico europeo. Si veda l’intervista a Gianluca Ruggieri.
[4] Si veda Pippo Ranci Pippo, Matteo Leonardi Matteo e Laura Susani, Poveri d’energia, il Mulino, Bologna 2016, qui recensito.
[5] I gasdotti resteranno comunque rilevanti e l’autrice dedica spazio al “Corridoio Sud” del gas, dal Mediterraneo orientale all’UE: «non sarà mai troppo enfatizzata l’importanza di questa opportunità per promuovere la crescita integrata del (nostro) Paese, nella quale al Sud sia affidato un ruolo centrale e propulsivo» (p. 115). In proposito si veda questo approfondimento di Leonardo Franchi.
[6] Valeria Termini invita a non farsi ingannare da alcuni eventi che sembrano mettere in crisi la trasformazione. Alcuni ritengono che i bassi prezzi degli idrocarburi durante la pandemia abbiano reso meno competitive le rinnovabili, ma non è così, come spiega la stessa Termini in un’intervista.
[7] Questa l’arguta osservazione di Romano Prodi nella prefazione a Il mondo rinnovabile, precedente libro di Valeria Termini.
[8] Si vedano in particolare gli articoli di Alberto Prina Cerai su Pandora Rivista e su Formiche.net