Enrico Mattei e il potere. Intervista a Sabino Cassese
- 22 Aprile 2024

Enrico Mattei e il potere. Intervista a Sabino Cassese

Scritto da Valerio Galletta

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Enrico Mattei è stato una figura centrale nella storia politica ed economica italiana del Novecento, giocando un inedito e peculiare ruolo internazionale. In merito alla figura di Mattei, pubblichiamo una testimonianza di Sabino Cassese – Giudice emerito della Corte Costituzionale, Professore emerito della Scuola Normale Superiore di Pisa e già Ministro per la funzione pubblica – raccolta il 13 luglio 2023 come parte della tesi di Valerio Galletta dal titolo “Industria energetica e potere politico in Italia. 1953-1962”.

Cassese ha lavorato all’ENI negli anni della presidenza di Enrico Mattei e in questa intervista delinea il rapporto di Mattei con le forze politiche italiane e le dinamiche del contesto internazionale negli anni che lo videro alla guida dell’Ente Nazionale Idrocarburi. A questo link è inoltre disponibile un articolo che ripercorre la politica estera di Mattei.


Partirei chiedendole di parlare della figura di Enrico Mattei, di quale fosse il suo obiettivo e di come si muovesse per raggiungerlo. Tanto si è detto di Mattei, definito sì come un uomo politico, ma al contempo come un imprenditore che lavorava per il bene della Nazione.

Sabino Cassese: Il profilo della persona è abbastanza noto: origini modeste, nato a Matelica, credo che il padre fosse un carabiniere; viene normalmente detto “piccolo industriale”, ma forse era meno di un piccolo industriale. Poi il trasferimento a Milano, l’impegno politico, il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia, quindi la resistenza partigiana. Entra in politica e gli viene affidato l’incarico di guidare l’AGIP che era una società a partecipazione statale che esisteva, se non sbaglio, dal 1926, e sa da persone che c’erano già delle ricerche nella valle Padana per giacimenti che si trovavano a Cortemaggiore. Convince Ezio Vanoni, con cui aveva dei precedenti rapporti, ad andare a visitare la coltivazione dei giacimenti a Cortemaggiore e da qui nasce l’idea che, invece di liquidare l’AGIP, si fa qualcosa di più e cioè la costituzione dell’ENI nel 1953. Nel 1953 Mattei è parlamentare. Nello stesso anno Luigi Sturzo – al tempo senatore –, che veniva dagli Stati Uniti e che quindi era contrario alla mano pubblica, caldeggia il passaggio di una legge che crea una incompatibilità, per cui Mattei ottiene la costituzione dell’ENI, ma viene costretto a lasciare la Camera dei Deputati. Qui nasce quel breve periodo che va dal 1953 al 1962, quindi nove anni sostanzialmente, di gestione matteiana dell’ENI. Qual è la cosa interessante della politica di Mattei in quegli anni? L’idea di fondo è quella del cambiamento dei rapporti fra i Paesi produttori e i Paesi che svolgono una attività di prospezione e coltivazione dei giacimenti petroliferi, cambiamento che dà molto fastidio alle “Sette sorelle” (cinque americane, una olandese e una inglese): ciò crea quello stato di tensione che conduce poi Mattei a pensare la pubblicazione Stampa e oro nero, che è una raccolta di quello che si scrive sull’ENI con l’idea di dire «io vi dico tutto, anche le cose che mi criticano e per cui mi criticano». Dietro a questo tentativo di stabilire nuovi rapporti fra i Paesi proprietari e quelli produttori e consumatori c’è anche una certa dose, nel senso buono della parola, di retorica nazionalistica. Su Google si trova una registrazione di due o tre interviste di Mattei, come quella in cui parla del gattino. È interessante ascoltarle, anche perché sono i primi anni della televisione; perciò, si vede la nascita del nuovo mezzo di comunicazione. Il nome di Mattei è connesso anche ai rapporti di finanziamento della politica. Mattei è legato fondamentalmente a Giovanni Gronchi, Presidente della Repubblica, e alla corrente di Base della Democrazia cristiana, quindi a Giovanni Marcora, Guido Bodrato e altri; ci sono passaggi di libri che ha scritto Eugenio Scalfari che ricordano questo ruolo di finanziatore della politica che certamente svolgeva. Altra cosa importante: Mattei è dietro alla creazione di un giornale completamente diverso in termini di impostazione, il Giorno, che costituisce anch’esso un elemento di novità. Quindi, se dovessi riassumere tutto questo, direi: importante il tentativo di cambiare il rapporto con gli ex Paesi coloniali, nel quadro della politica internazionale di quegli anni – per cui stiamo parlando del periodo in cui si sviluppano le idee universalistiche del diritto, quindi l’ONU –, ciò rompe un tipo di rapporto ben consolidato. Poi l’ENI in quel momento è, in realtà, un organismo davvero piccolo, ma che si vanta di essere molto efficiente, per cui è sì parte del settore pubblico, ma è una best practice, come si direbbe oggi. Dall’altro lato c’è un’ispirazione un po’ nazionalistica in un Paese che riprende in qualche modo anche un argomento che risaliva all’epoca giolittiana e anche al fascismo, cioè quello dell’Italia “Paese povero” perché senza fonti di energia e materie prime, quindi privo di risorse naturali da poter sfruttare e costretto a riconquistare una posizione nel mondo nonostante questa carenza. Questo è un tema che risale all’epoca in cui si favoleggiava del carbone bianco, cioè delle fonti di energia idrica, che viene ripreso in periodo fascista: è del 1933 il Testo unico delle leggi sulle acque pubbliche e sugli impianti idroelettrici e questo è uno di quei fattori di continuità. Il profilo della continuità si vede bene nel libro di Guido Melis La macchina imperfetta, che parla proprio degli anni del fascismo. Non si possono capire bene questi temi se non si pongono nel loro contesto storico, per cui ricordando che si è in un periodo in cui è appena finito il fascismo: anzi, secondo la mia tesi il fascismo finisce, sostanzialmente, non con la morte di Mussolini, ma almeno dieci anni dopo, perché continuano tanti elementi anche in un regime di tipo democratico.

 

Negli anni Cinquanta la Democrazia Cristiana aveva un ampio controllo sulle assunzioni negli enti pubblici. Raramente venivano scelte persone che facevano riferimento ad altri partiti, tanto più se dell’opposizione. Tuttavia, Lei entrò all’ENI pur essendo comunista, così come Mario Pirani. Giorgio Ruffolo era socialista. Come possiamo spiegare questa maggiore libertà dell’ENI?

Sabino Cassese: Direi che ci sono diverse spiegazioni. Dal punto di vista politico, Mattei aveva le spalle abbastanza larghe per potersi permettere queste libertà e non guardava alle appartenenze politiche. Il secondo elemento è che, nonostante quello che ho detto poc’anzi, tutto sommato c’era un certo grado di policentrismo e di pluralismo in quel momento, quindi erano cose che potevano accadere. C’era ancora un controllo sulle opinioni politiche delle persone, ed è questo un motivo per cui io ritengo che il fascismo finisca sostanzialmente agli inizi degli anni Sessanta, nel ’62 se vogliamo dare una data, con la nazionalizzazione dell’industria elettrica, la scuola media e l’apertura ai socialisti. Tuttavia, non possiamo dimenticare che la classe dirigente democristiana era una classe dirigente che si era contrapposta al fascismo, per cui sapeva che c’era una incoerenza tra un ordinamento democratico e una discriminazione sulla base delle idee politiche.

 

Qual era, quindi, il rapporto fra l’ENI e in generale l’industria energetica italiana e i partiti negli anni Cinquanta? In particolare, il rapporto con la Democrazia Cristiana era dovuto più a motivi ideologici e quindi all’appartenenza di Mattei a quel partito o al fatto che fosse il partito di governo? A me viene in mente la polemica che andò avanti per anni sul Giornale d’Italia fra Mattei e Sturzo…

Sabino Cassese: La sua domanda ha due elementi. Comincio dal secondo. Io ho lavorato all’ENI ma non l’ho mai detto a Sturzo, perché avevo dei rapporti con Sturzo. Sturzo è morto nel 1959, ho avuto rapporti con lui fra il ‘56 e il ‘59 perché appena laureato vinsi la borsa di studio Sturzo per gli Stati Uniti, per cui ho frequentato Sturzo e ho scritto per la rivista che dirigeva che si chiamava Sociologia. Secondo me ci sono due elementi che spiegano tutto questo. Il primo elemento è di tipo culturale. Sturzo era negli Stati Uniti – Alcide De Gasperi cercò di ritardare il suo ritorno perché rappresentava un’altra generazione – e tornò da lì molto liberista. Ovviamente, il liberismo è il contrario dell’impresa pubblica e Mattei è l’impresa pubblica, perché caldeggia e porta avanti la creazione dell’ENI, il salvataggio dell’AGIP e il futuro grande gruppo che ne nascerà. Il secondo elemento è che Sturzo rappresenta una corrente molto minoritaria della Democrazia Cristiana in quel momento. Il centro della Democrazia Cristiana è nelle mani di altre persone. Per la loro storia personale, Mattei e Sturzo si collocano proprio ai due poli opposti all’interno della Democrazia Cristiana, quindi questo spiega come ci sia una tensione molto forte fra i due. Però tenga conto che la voce di Sturzo è molto flebile perché Sturzo a quell’epoca lì non solo è anziano, ma anche piuttosto malandato fisicamente, viveva in una stanza in un convento delle canossiane e non credo si muovesse molto da lì. Stiamo parlando di due mondi molto diversi. La cosa singolare che le voglio sottolineare è che Mattei, che peraltro aveva per la politica generale un atteggiamento antiamericano in quanto contro le Sette sorelle, era però molto aperto alle tecniche innovative gestionali che in quel momento venivano dall’America perché era in America che si erano sviluppati il taylorismo e quello che si chiamerà scientific management; quindi l’ENI, in un certo senso, era un modello di azienda moderna organizzata secondo criteri e canoni da azienda americana, anche se l’aggettivo “americano” ha solo una connotazione territoriale. Quindi erano queste le differenze, che erano politiche, ma anche culturali e di età. Per quel riguarda il primo punto, Mattei aveva rapporti con tutti i partiti politici. Ricordo perfettamente che io e altre persone che lavoravano all’ENI – io dirigevo a un certo punto l’ufficio studi legislativi – preparavamo i discorsi per la discussione sul Bilancio di previsione dello Stato per la tabella del Ministero delle Partecipazioni statali per Parlamentari di quasi tutti i partiti politici.

 

A proposito dei rapporti con l’Europa e l’estero: tante volte è stato detto che, di fatto, Mattei era il ministro degli esteri occulto. Qual era la libertà politico-economica di cui godeva l’ENI in campo internazionale?

Sabino Cassese: Bisogna tener conto del fatto che in quel momento la politica nazionale è tutta filoatlantica e quindi filoamericana, secondo me giustamente visto che gli americani ci avevano aiutato sia dal punto di vista militare che economico, e che Mattei si muoveva in una posizione che era antiamericana e antiatlantica. Le Sette sorelle in quel momento erano un po’ come le Big Tech attuali. Fronteggiarle tutte quante insieme voleva dire chiaramente contrapporsi alla politica filoamericana. Però non era l’unica voce: non a caso, da un lato c’era la sinistra democristiana e dall’altro Gronchi. Chiaramente questi non sono la parte centrale della Democrazia Cristiana. Insomma, la Democrazia Cristiana ha avuto un elemento che era una debolezza nella sua forza (e anche un elemento di forza stessa), cioè che aveva dentro di sé uno schieramento così vasto di posizioni che c’era la possibilità di essere progressista e stare nella sinistra democristiana o essere un potente conservatore e far parte sempre dello stesso partito, dal lato della destra. La Democrazia Cristiana in questo aveva una sua attrattività. Non so se conosce gli studi di T. J. Pempel sulle uncommon democracies: in queste democrazie fuori dal comune, cioè quelle in cui governa lo stesso partito per decenni, le formazioni che sono al potere presentano, in qualche modo, tutta la gamma delle scelte che posso essere fatte. Non so quanto a quell’epoca si potesse dire che ci fosse una differenza fra un comunista, un socialista e uno della sinistra democristiana.

 

Si può dire quindi che le differenze nella Democrazia Cristiana fossero meno importanti di quelle fra la Democrazia Cristiana e gli altri partiti e che quindi ci fosse una compattezza nella diversità soprattutto in risposta a qualcun altro più che di conseguenza ai punti d’unione fra le correnti?

Sabino Cassese: Sì, certo, perché poi c’erano le differenze di fondo come americani o sovietici, essere a favore del mercato o della nazionalizzazione, in Italia abbiamo fatto solo quella dell’Enel. Nelle memorie di Antonio Giolitti Lettere a Marta si può vedere bene il clima fra i comunisti e chi invece pensava fosse meglio restare vicini a Truman e alla Nato, visto che Giolitti inizia comunista e poi passa socialista.

 

Lei arrivò all’ENI nel 1958, mentre nel 1957 venne approvata la legge sugli idrocarburi. In ambito legale, politico ed economico quale fu l’impatto che ebbe nei primi tempi?

Sabino Cassese: Innanzitutto, mi sembra di essere arrivato all’ENI prima perché in realtà mi venne data una borsa di studio per lavorare per un anno con Giorgio Fuà a un libro sull’impresa pubblica, poi venni assunto. Non ricordo un grande impatto della legge. È chiaro che una legge sulla disciplina degli idrocarburi liquidi e gassosi era necessaria perché fino a quel momento c’erano solamente le norme in materia mineraria. Un conto è cercare carbone e lignite, un conto idrocarburi liquidi e gassosi; quindi, quella legge era imposta da un progresso tecnologico e cioè dall’idea che il sottosuolo potesse fornire non solo lignite, carbone e sostanze simili, ma anche petrolio, gas e altri idrocarburi liquidi e questo richiedeva una tecnologia completamente diversa. In Italia si dava per scontato che non ci fosse nulla di tutto questo. Nel giorno in cui si scopre Cortemaggiore, viene fuori Gela – tenga presente che già dal periodo fascista c’era notizia di idrocarburi in Basilicata – e quindi c’erano Lombardia, Sicilia, Basilicata dove c’era qualcosa da fare, come si faceva con una legge che riguardava la disciplina di coltivazione di una miniera? Coltivare una miniera vuol dire mandare la gente lì a scavare, coltivare un giacimento di idrocarburi è completamente diverso: non si va giù a scavare, si fa venir su il petrolio.


Nella foto: il Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi incontra Enrico Mattei – 5 ottobre 1956.

Scritto da
Valerio Galletta

Studente della magistrale in Scienze storiche presso l’Università “Sapienza” di Roma, dove è rappresentante degli studenti. Ha diretto per due anni un magazine online con una redazione under18 edito da alcune case editrici romane. Tra i suoi interessi ci sono la storia dei partiti, dell’economia e dell’industria, in particolare per gli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento. Ha partecipato al corso 2023 della scuola di formazione “Traiettorie. Scuola di lettura del presente”.

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