Enrico Mattei e l’Ufficio studi ENI. Intervista a Giuseppe M. Sfligiotti
- 11 Giugno 2024

Enrico Mattei e l’Ufficio studi ENI. Intervista a Giuseppe M. Sfligiotti

Scritto da Valerio Galletta

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All’interno della complessa vicenda del gruppo ENI un ruolo importante è stato giocato dall’Ufficio Studi – animato da importanti figure quali Giorgio Fuà, Giorgio Ruffolo e Luigi Spaventa – che effettuava ricerche e previsioni, a livello nazionale e internazionale, sul settore dell’energia. In merito alla storia dell’Ufficio studi ENI, pubblichiamo una testimonianza di Giuseppe M. Sfligiotti, raccolta il 24 agosto 2023 come parte della tesi di Valerio Galletta dal titolo “Industria energetica e potere politico in Italia. 1953-1962”. A questo link è inoltre disponibile una testimonianza di Sabino Cassese sulla figura di Enrico Mattei.

Sfligiotti ha incominciato a lavorare in ENI nel 1958, come membro dell’unità del Consigliere Economico del Presidente dell’ENI, Enrico Mattei. All’ENI ha ricoperto varie posizioni, quali Responsabile del dipartimento Economia ed Energia; Direttore Centrale per le Strategie e la Pianificazione; Consigliere Speciale per l’Energia del Presidente dell’ENI; Vicepresidente, Amministratore Delegato e Presidente di Società del Gruppo ENI. Come esperto, in rappresentanza del Governo italiano, ha partecipato ai lavori della Commissione Internazionale che, nel 1974, ha creato l’Agenzia Internazionale dell’Energia.


Qual è stata, in breve, la sua formazione? In che anno è arrivata l’assunzione da parte dell’ENI e con quale mansione?

Giuseppe M. Sfligiotti: Mi sono laureato in Economia e commercio all’Università di Bologna nel 1956. All’inizio del 1957 sono stato assunto dalla Pirelli che ho poi lasciato per recarmi – grazie ad una borsa di Studio Stringer della Banca d’Italia – alla London School of Economics per seguire (nel 1957-58) un corso di approfondimento sull’esperienza del Regno Unito nel settore delle public corporation (le imprese pubbliche create dal governo laburista a seguito della nazionalizzazione di alcuni settori industriali e dei servizi del Regno Unito: carbone, acciaio, energia elettrica, trasporti, ecc.). Nell’ottobre del 1958 – al ritorno dall’Inghilterra – sono stato assunto dall’ENI nel Servizio (Ufficio studi) del Consigliere Economico del Presidente Enrico Mattei. Il Servizio a quel tempo era diretto dal professor Giorgio Fuà, che io avevo avuto modo di conoscere quando vinsi la borsa di studio Stringer della Banca d’Italia. Fu proprio Fuà a consigliarmi di utilizzare questa borsa di studio e di recarmi alla London School of Economics per studiare l’esperienza delle public corporation britanniche con il professor William Robson, un’autorità in questo campo. All’ENI avevo il compito di continuare ad approfondire lo studio degli aspetti giuridici, organizzativi, finanziari, dei rapporti con l’autorità politica e così via delle public corporation britanniche e di individuare quegli elementi che potessero essere utilmente introdotti nell’organizzazione dell’ENI che, come è noto, era stato creato pochi anni prima, nel 1953. Grazie a una politica ENI di sviluppo del personale molto aperta, lungimirante e generosa, nell’estate del 1960 partecipai (a Salisburgo, in Austria) ad un Salzbourg Seminar in American Studies. Il Direttore del Seminario segnalò poi il mio nome alla Harkness Foundation, una ricca e generosa Fondazione americana che, su segnalazione di qualificate persone e organizzazioni, offriva borse di studio a cittadini di alcuni Paesi europei per programmi di studio e conoscenza degli Stati Uniti. Questa Fondazione finanziò un mio programma di studio e ricerca negli Stati Uniti per oltre un anno, fra il 1961 e il 1962.

 

Cosa ha avuto modo di studiare negli Stati Uniti?

Giuseppe M. Sfligiotti: In quegli anni, l’ENI cercava di espandersi sia in Italia che in campo internazionale. Era quindi importante che si capissero sempre meglio le politiche, l’organizzazione, il funzionamento e la performance dell’industria petrolifera internazionale. All’ENI veniva data molta attenzione a questi temi, ricorrendo anche all’aiuto di valentissimi esperti internazionali di questo settore. In particolare, mi piace qui ricordare Paul H. Frankel (fondatore della Petroleum Economics Limited) che è stato per lunghi anni consulente dell’ENI. Il suo libro Essential of Petroleum (pubblicato nel 1946) è stato per noi all’ENI una specie di Bibbia su cui ci siamo formati, e i frequenti incontri e scambi di opinioni con Frankel hanno contribuito moltissimo alla nostra conoscenza dell’industria petrolifera internazionale e all’interpretazione della vivace evoluzione (tecnica e politica) cui era soggetta quest’industria. La borsa di studio Harkness si rendeva disponibile in un momento particolarmente utile e interessante per studiare, in loco, particolari aspetti dell’industria petrolifera americana e internazionale, le politiche di sviluppo, in casa e all’estero, delle grandi società petrolifere internazionali (le famose “Sette sorelle”), la loro organizzazione, specialmente per quel che riguarda il corporate planning, la loro performance (intesa come redditività), alcune particolarità del loro trattamento fiscale, ecc. Questi temi, come ho detto, in quegli anni erano di grande interesse per l’ENI. Giorgio Ruffolo, a quel tempo mio capo, chiese allora al Presidente Mattei di consentirmi l’accettazione della borsa di studio Harkness e il viaggio negli Stati Uniti per realizzare un programma che comprendeva un periodo iniziale all’Università della California a Berkeley e successivamente una serie di incontri con società petrolifere e di altri settori industriali, in particolare per capire la loro organizzazione di corporate planning e cercare poi di introdurla nel sistema ENI. Mattei approvò la proposta di Ruffolo e, nell’estate del 1961, mi recai negli Stati Uniti.

 

Qual era, alla fine degli anni Cinquanta, la legislazione fiscale degli Stati Uniti in campo petrolifero? Le compagnie americane facevano guadagni più importanti rispetto all’ENI e alle altre aziende del settore? Contabilmente, c’erano differenze?

Giuseppe M. Sfligiotti: Da una ricerca statistica che ho fatto sui profitti di un campione di società petrolifere americane, non sono emersi valori che mettessero in evidenza profitti particolarmente elevati rispetto ad altri settori industriali americani. A questo riguardo può essere comunque interessante accennare a una particolarità della legislazione fiscale americana che prevedeva – e prevede – delle condizioni particolarmente vantaggiose per le imprese petrolifere per quanto riguarda il trattamento fiscale dell’ammortamento degli investimenti dedicati alla ricerca e allo sviluppo dei giacimenti di petrolio e di gas. Un trattamento che consentiva – e consente – di considerare – a fini fiscali – come costi sostenuti nell’anno, anziché come investimenti da ammortizzare negli anni futuri, tutti i “costi immateriali” di perforazione e sviluppo (intangible drilling and development cost) dei giacimenti di petrolio e gas. Un altro notevole vantaggio fiscale era rappresentato dalla facoltà di ammortizzare gli investimenti adottando la percentage depletion allowance anziché la consueta cost depletion allowance. Con questo metodo, l’ammontare dell’ammortamento per calcolare il reddito tassabile non è rappresentato da una quota del valore di bilancio del giacimento, ma da una percentuale, per esempio il 15%, del valore della produzione dell’anno del giacimento, e questo per tutta la durata in vita del giacimento. Il vantaggio fiscale della percentage depletion allowance è evidente, in particolare per i giacimenti di idrocarburi “fortunati” (modesti investimenti a fronte di notevoli scoperte di idrocarburi): il totale degli ammortamenti detraibile par il calcolo del reddito tassabile è notevolmente superiore a quello che si avrebbe con il metodo “tradizionale” del calcolo degli ammortamenti. L’altro grande vantaggio fiscale consisteva nel considerare, nei confronti del fisco americano, come anticipo d’imposta l’ammontare delle royalty e tasse pagate ai Paesi esteri. Si trattava di un vantaggio fiscale molto rilevante e importante anche per quanto riguardava le trattative e gli accordi con i Paesi esteri nello stabilire il livello delle royalty e in generale della fiscalità. Infatti, per i Paesi produttori le royalty erano giuridicamente delle tasse, ma per le società petrolifere, all’atto pratico, consistevano in un vero e proprio costo di produzione, senza il quale non era possibile procedere con l’estrazione degli idrocarburi. Pertanto, è evidente come fosse atipico – e vantaggioso, per le compagnie americane – poter scalare quelle spese dalle imposte dovute in patria, traendone un consistente beneficio fiscale.

 

È stato possibile, al suo rientro, applicare all’ENI il sistema di corporate planning delle imprese d’oltreoceano?

Giuseppe M. Sfligiotti: Purtroppo no. Non nei tempi e nel modo che sarebbero stati possibili, utilizzando anche parte delle informazioni e della documentazione che avevo raccolto in occasione dei miei incontri con società americane. Proprio lo stesso giorno del mio ritorno dagli Stati Uniti è avvenuta la sciagura di Bascapè, con la tragica morte del Presidente Mattei. Ne è seguito un periodo di incertezze, riorganizzazioni e instabilità al vertice dell’ENI che male si conciliavano con l’introduzione di un organico sistema di corporate planning. I due principali sponsor di questo progetto non c’erano più perché anche Giorgio Ruffolo avrebbe lasciato di lì a poco l’ENI per intraprendere una brillante carriera politica come iniziatore della Programmazione nazionale e più volte Ministro della Repubblica. Ma anche con queste difficoltà e con ritardo, negli anni successivi si svilupparono una mentalità e un modus operandi favorevoli all’introduzione di un sistema di programmazione aziendale, spronato anche dall’obbligo di presentare annualmente al Ministero delle Partecipazioni Statali una Relazione programmatica.

 

Rimanendo sull’ENI, era un’azienda piccola per numero di funzionari e dirigenti come ha raccontato Mario Pirani in un’intervista rilasciata all’Archivio Storico dell’Ente?

Giuseppe M. Sfligiotti: Sì, nei primi anni di vita dell’ENI, il numero di funzionari e dirigenti dell’ENI era molto contenuto e, per giunta, non pochi di quelli che lavoravano all’ENI erano persone formalmente distaccate da altre società del Gruppo. Va ricordato, infatti, che all’ENI, creato nel 1953, era stata trasferita la proprietà di alcune importanti società create in anni precedenti: l’AGIP era stata creata del 1926; l’ANIC nel 1936; la SNAM nel 1941. Man mano che l’organizzazione dell’ENI prendeva forma e contenuti si è passati ad assunzioni dirette di personale. Io, per esempio, sono stato assunto dall’ENI nell’ottobre del 1958 e la mia lettera di assunzione porta la firma del Presidente Mattei. Cosa questa inconcepibile, visto il mio livello di semplice impiegato; penso che si possa spiegare con il ridotto numero – a quell’epoca – di dipendenti formalmente ENI (la mia matricola aveva il numero 42). In quegli anni e fino al 1962, quando la sede è stata trasferita all’Eur, gli uffici dell’ENI erano in una modesta piccola palazzina di via Tevere. Ricordo che in una stanza all’attico di questa palazzina, eravamo sistemati Sabino Cassese, Luigi Spaventa e io.

 

Che livello di controllo aveva Mattei sul personale? Stando alla testimonianza di Ettore Scola, egli spesso trovava il tempo per controllare addirittura gli slogan e le brochure per i distributori, tanto era meticoloso.

Giuseppe M. Sfligiotti: Non sono in grado di esprimere un giudizio ben fondato su questo aspetto particolare del controllo esercitato da Mattei sul personale dell’ENI, ma mi sento di condividere la testimonianza di Ettore Scola. Del resto, anche la vicenda che ho ricordato circa la mia andata negli Stati Uniti – che ha richiesto una formale approvazione di Mattei – proverebbe che controlli e decisioni specifiche di Mattei circa l’attività del personale ENI (anche di non elevato livello) non erano – in quegli anni – del tutto escluse.

 

Qual era il clima interno all’ENI? Leggendo i nomi dei giovani dipendenti dell’Ufficio studi spiccano molte figure: Ruffolo, Cassese, Spaventa e altri che hanno scritto la storia del Paese, negli anni a seguire. Un ufficio giovane e tendenzialmente “di sinistra”: come si spiega, negli anni del centrismo?

Giuseppe M. Sfligiotti: Nei primi anni dell’ENI, ha operato un Ufficio studi composto da una dozzina di persone, messo insieme da Giorgio Fuà – che era stato chiamato all’ENI da Mattei nel dicembre del 1954 – e successivamente diretto da Giorgio Ruffolo, quando Fuà lasciò formalmente l’ENI per dedicarsi all’insegnamento universitario (fra le altre cose, Fuà ha creato ad Ancona un’Università e il Centro di ricerca e formazione ISTAO – Istituto Adriano Olivetti). L’Ufficio studi dell’ENI ha svolto per l’azienda, e indirettamente per l’intera comunità italiana, un’efficace attività volta ad analizzare e capire le politiche dell’industria petrolifera ed energetica in un periodo particolarmente delicato e importate, quando la conoscenza dei multiformi aspetti (economici, politici, industriali, di politica e cooperazione internazionale, ecc.) era scarsa e poco praticata nel nostro Paese. Sia Fuà che Ruffolo erano giunti all’ENI dopo un’esperienza di lavoro in organismi internazionali. Erano, quindi, le persone adatte per creare all’ENI un gruppo di persone sensibili agli aspetti internazionali dell’industria e predisposti ad analizzare i problemi e le politiche di un settore (quello energetico petrolifero) a forte caratterizzazione internazionale. Il credo partitico di queste persone non era importante. A me, e penso anche agli altri, non è stato mai chiesto per quale partito politico votassi. Era tuttavia evidente che chi entrava all’Ufficio studi non poteva non condividere una politica di intervento dello Stato nel campo dell’economia in generale e nel settore dell’energia in particolare. L’Ufficio studi, in quegli anni, ha rappresentato un punto di riferimento in Italia per chi si voleva documentare e desiderava capire l’organizzazione, il funzionamento, i problemi e le politiche del settore dell’energia e del petrolio in particolare, a livello nazionale e mondiale. Ne sono testimonianza i numerosi studi prodotti e la partecipazione, anche a livello internazionale, a seminari, convegni e dibattiti su questi problemi. Una caratteristica dell’Ufficio studi dell’ENI era la giovane età della maggioranza dei suoi componenti e il loro modo di lavorare: grande serietà e rigore scientifico, richiesti da Fuà e Ruffolo, svolti tuttavia in un’atmosfera che si può senz’altro definire goliardica. Una testimonianza di questa strana atmosfera goliardica si trova in un volumetto titolato Eniade [sic]. Si tratta di una raccolta autoironica di vario materiale (documenti, ritagli di giornali, vignette, barzellette, sfottò vari), una specie di zibaldone su persone ed eventi dell’ENI di quell’epoca. Un aneddoto: fra di noi c’era anche Gino Giugni, padre dello Statuto dei lavoratori e poi Ministro del Lavoro e della Previdenza sociale. Giugni arrivava la mattina in via Tevere, si accostava ai mobiletti dei termosifoni, scherzava sostenendo che lì ci fossero dei microfoni per spiare ciò che facevamo – ovviamente non era vero –, diceva «Enrico Mattei: il più grande imprenditore dell’Italia e del Medioriente» e poi andava a lavorare. Ma serietà scientifica e goliardia non erano incompatibili, come dimostrano anche le successive brillanti carriere di molti componenti di questo gruppo. Di quelle di Giorgio Fuà e di Giorgio Ruffolo ho già detto, ma non sono i soli. E volendo ricordare qualche altro “giovane” dell’Ufficio studi, possiamo nominare Luigi Spaventa (Professore universitario, Ministro, Presidente della Consob); Paolo Leon (funzionario della Banca Mondiale, Professore universitario: proprio Paolo Leon era l’autore delle vignette dell’Eniade!); Sabino Cassese (Professore universitario, Ministro, Giudice costituzionale). Alcuni componenti dell’Ufficio studi che hanno deciso di restare all’ENI – Francesco Venanzi, Marcello Colitti e io – hanno successivamente ricoperto posizioni importanti nel Gruppo ENI. Dell’Ufficio studi dell’ENI dell’era matteiana sono ancora in vita tre persone: Sabino Cassese, Francesco Venanzi e io.

Scritto da
Valerio Galletta

Studente della magistrale in Scienze storiche presso l’Università “Sapienza” di Roma, dove è rappresentante degli studenti. Ha diretto per due anni un magazine online con una redazione under18 edito da alcune case editrici romane. Tra i suoi interessi ci sono la storia dei partiti, dell’economia e dell’industria, in particolare per gli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento. Ha partecipato al corso 2023 della scuola di formazione “Traiettorie. Scuola di lettura del presente”.

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