Scritto da Michelangelo Morelli
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«Noi italiani dobbiamo toglierci di dosso questo complesso di inferiorità che ci avevano insegnato, che gli italiani sono bravi letterati, bravi poeti, bravi cantanti, bravi suonatori di chitarra, brava gente, ma non hanno le capacità della grande organizzazione industriale. Ricordatevi, amici di altri Paesi: sono cose che hanno fatto credere a noi e che ora insegnano anche a voi. Tutto ciò è falso e noi ne siamo un esempio. Dovete avere fiducia in voi stessi, nelle vostre possibilità, nel vostro domani; dovete formarvelo da soli questo domani».
Il senso di orgoglio e di riscatto che traspaiono da questa frase, di un’identità che si afferma attraverso l’emancipazione da un passato di povertà – proprio e altrui -, l’idea che questa condizione di povertà non sia un destino ma possa essere mutata attraverso il lavoro e l’ingegno: queste convinzioni attraversarono l’intera esistenza di Enrico Mattei, simbolo della rinascita postbellica italiana e protagonista della cultura industriale repubblicana.
Antifascista bianco, abilissimo comunicatore, capitano d’impresa dalle doti di prima grandezza, si dimostrò in grado di intuire straordinarie potenzialità di un settore che nell’opinione prevalente era destinato ad un rapida fine. Mattei riuscì a dotare l’Italia di un’azienda forte, che sotto la sua energica guida venne messa nelle condizioni di trattare alla pari con i grandi del mondo, costruendo al contempo rapporti inediti con gli stati emergenti del terzo mondo, della cui indipendenza fu sempre strenuo difensore.
Enrico Mattei nacque il 29 aprile 1906 ad Acqualagna, in provincia di Pesaro-Urbino, da Angela Galvani e Antonio Mattei, sottufficiale dei Carabinieri originario di Civitella Roveto (L’Aquila). Conseguita la licenza elementare a Casalbordino, dove alloggiò presso la nonna materna Ester, Mattei entrò nella Regia Scuola Tecnica di Vasto e poi in quella Superiore dell’Aquila per ottenere il diploma, conseguendo però risultati scolastici deludenti. Data la scarsa propensione agli studi il padre Antonio lo fece assumere in qualità di apprendista in una fabbrica di letti metallici a Matelica (Macerata), dove la famiglia si era trasferita nel 1919: qui Enrico entrò per la prima volta in contatto con il settore dei prodotti chimici.
L’impiego presto si rivelò duro e mal stipendiato, portando così Mattei a farsi assumere come fattorino presso la conceria Fiore, la più importante fabbrica di Matelica. Qui instaurò un forte rapporto di amicizia con gli operai, da cui apprese i segreti delle operazioni chimiche della conceria, scalando rapidamente posizioni all’interno della fabbrica fino a diventare direttore tecnico nel 1926. L’anno seguente Mattei fu costretto a lasciare per sei mesi Matelica per prestare servizio militare nei Granatieri di Sardegna; al suo ritorno, date le difficoltà economiche in cui versava la conceria, decise di lasciare Matelica alla volta di Milano, dove si trasferì nel 1929.
Le conoscenze acquisite a Matelica negli anni in conceria, soprattutto riguardo alle innovazioni che in quel periodo avevano investito l’industria, fornirono a Mattei, assieme alle referenze del precedente datore di lavoro, un ottimo curriculum. Egli esordì a Milano dapprima come venditore per la Max Mayer, ditta di colori a smalto e solventi per conceria, ottenendo dopo un anno la rappresentanza italiana per la Löwenthal, un’impresa tedesca di prodotti e servizi per la medesima industria.
Parallelamente al lavoro di rappresentante, Mattei portò avanti il progetto di avviare una propria impresa, servendosi dell’esperienza maturata a Matelica e durante il soggiorno milanese. Assieme al fratello Umberto, giunto nel capoluogo lombardo nel 1930, Mattei inaugurò nell’estate dell’anno successivo una sua prima fabbrica con solo due operai, un macchinario usato e un piccolo laboratorio di emulsioni. Il tentativo di creare in Italia un nuovo mercato per quei prodotti tedeschi introvabili nel Paese ma di facile produzione riscosse un grande successo, e abbandonato il lavoro presso la Lowenthal Mattei fondò nel 1935 l’Industria chimica lombarda grassi e saponi, produttrice di vernici per concerie e composti sulfonati.
Sposatosi a Vienna nel 1936 con la ballerina Margherita Paulas, Mattei in quell’anno si trasferì assieme alla moglie e alla famiglia in un palazzetto nobiliare a Milano. Nello stesso stabile viveva Marcello Boldrini, professore universitario di statistica e in passato vicino di casa a Matelica dello stesso Mattei, che introdusse quest’ultimo negli ambienti del cattolicesimo progressista lombardo. Questi furono per Mattei anni di profonda maturazione politica e intellettuale, sapientemente guidata dal conterraneo Boldrini e stimolata da personalità come Amintore Fanfani, Giorgio La Pira e Giuseppe Dossetti, protagonisti della Resistenza democratico-cristiana e del rinascimento politico-culturale che di lì a poco avrebbe infuso nuova linfa a un’Italia prostrata dalla guerra.
Nel corso del 1943 Mattei, pur di non collaborare allo sforzo bellico tedesco, fermò quasi del tutto l’attività della propria impresa, simulando comunque la prosecuzione del lavoro per evitare la deportazione degli operai. Dopo l’armistizio tentò di organizzare a Matelica una rete di resistenza, raccogliendo armi, vettovaglie e medicine che, con grande difficoltà, vennero nascoste a casa sua. Suscitata l’attenzione delle SS per le sue attività clandestine, Mattei nel 1944 fece rientro a Milano, dove venne nominato membro del Comitato di Liberazione per l’Alta Italia e successivamente inquadrato nel comando militare del CLN in quota democristiana col nome di battaglia “Monti”, incaricato della raccolta e consegna alle formazioni partigiane di armi, viveri, denaro e documenti.
Il 26 ottobre 1944 la polizia repubblichina fece irruzione nell’ufficio milanese in cui si riunivano i rappresentanti democristiani, arrestando tra gli altri anche Mattei. Detenuto a Como per più di un mese, questi riuscì a fuggire il 3 dicembre dopo aver causato un’interruzione di energia elettrica nel carcere, riparando in Svizzera. Tornato a Milano, poco dopo Mattei venne nominato vicecapo di stato maggiore addetto all’intendenza, distinguendosi per l’incessante opera di reclutamento di volontari (più di quarantamila al 25 aprile 1945) e per l’organizzazione delle Brigate del Popolo, formazioni partigiane di orientamento cattolico. L’abile attività di intermediazione tra le rappresentanze politiche del CLN valse a Mattei l’onore di sfilare il 5 maggio 1945 a Milano in testa al corteo della Liberazione accanto agli altri capi della resistenza, tra cui Ferruccio Parri e Luigi Longo.
Appena tre giorni dopo la Liberazione, il 28 aprile 1945, Mattei venne nominato da Cesare Merzagora, presidente della commissione centrale economica del CLNAI, commissario straordinario per la liquidazione dell’Azienda Generale Italiana Petroli (AGIP). Quest’ultima, fondata nel 1926 da parte del governo fascista (nonostante i vertici non fossero funzionari pubblici), aveva condotto per tutti gli anni Trenta, di concerto con l’americana Western Geophysical, campagne di ricerca sismica nella Valle Padana, riscontrando la presenza di formazioni geologiche potenzialmente petrolifere. Negli ultimi anni di guerra i lavori proseguirono sotto l’egida del nuovo centro direttivo di Milano, guidato da Carlo Zanmatti che durante la conduzione di perforazioni a Caviaga, vicino Lodi, scoprì un nuovo giacimento di metano, immediatamente richiuso per timore che cadesse nelle mani dei tedeschi.
Al momento della nomina di Mattei molto probabilmente Zanmatti comunicò a questi i risultati sulle perforazioni nel lodigiano, ottimisti quanto incerti, confermati allo stesso Mattei nel luglio 1945 dal servizio studi di Lodi, convinto che la scoperta di Caviaga non fosse un caso isolato e che quindi fosse della massima urgenza riprendere l’esplorazione. La decisione di Mattei di scavalcare la volontà del CDA fresco di nomina dell’AGIP e ordinare nuove trivellazioni da un lato rivelava le intuizioni riguardo alle potenzialità dell’azienda che era chiamato a liquidare, dall’altro scatenò polemiche e contrasti tra chi riteneva necessario mantenere in mano italiana la possibilità di beneficiare di eventuali sviluppi fruttiferi nel settore degli idrocarburi, e chi vedeva nelle società statali le vestigia del precedente regime o temeva una reazione da parte degli Alleati.
Riguardo a quest’ultimo punto i sospetti di Mattei sulle insistenze per la liquidazione dell’AGIP furono confermati dalla generosa offerta, di 250 milioni, proveniente dagli Stati Uniti per l’acquisizione delle strutture dell’azienda, nonché dall’improvviso aumento di tecnici stranieri nel lodigiano e dal contestuale rilascio di permessi per esplorazioni e ricerche. Le relazioni di Zanmatti e dei geologi spinsero Mattei a rintuzzare ogni velleità liquidatoria e le pressanti richieste di Giovanni Gronchi, Ministro dell’Industria dal 1944 al 1946, di una relazione sullo stato dell’azienda, fortemente voluta dal Ministro del Tesoro Marcello Soleri. Alla fine la situazione di incertezza si risolse nell’ottobre 1945, quando Mattei, cooptato nel consiglio d’amministrazione, venne nominato vicepresidente con l’incarico di continuare l’esplorazione mineraria.
Nel maggio 1946 Mattei, in seguito ad alcune illazioni riguardanti sue presunte simpatie social-comuniste diffuse dagli Stati Uniti e accolte dal governo, si dimise da vicepresidente, rimanendo comunque nel consiglio d’amministrazione in qualità di consigliere. Ma il 20 giugno di quell’anno, un mese dopo la sua elezione a deputato per la DC nella I Legislatura, Mattei fu nominato nuovamente vicepresidente, mentre la presidenza venne ricoperta da Marcello Boldrini. Le nuove nomine non placarono i contrasti, che anzi si acuirono: agli intenti quasi unanimemente liquidatori e privatizzatori della politica si unirono le minacce di alcune aziende, come l’Ente Nazionale Metano, intimorite dalle perdite di profitti che un’AGIP rivitalizzata avrebbe potuto infligger loro. A tutto questo faceva da cornice l’azione degli Stati Uniti, che attraverso il Comitato italiano petroli, creato alla fine della guerra, e la collusione con le imprese italiane e straniere, miravano a eliminare Mattei e monopolizzare il mercato petrolifero del Paese.
Nonostante questo la nuova AGIP di Mattei riuscì a ribaltare completamente i pronostici negativi sul suo conto: la scoperta nel 1948 a Ripalta nel cremasco di un giacimento di gas naturale fu solo il primo di una serie di numerosi successi susseguitisi nella piana del Po fino al 1953. L’ovvia conseguenza di queste scoperte, e cioè la necessità di organizzare l’approvvigionamento di metano in grandi quantità e approntare quindi le relative infrastrutture, impose all’azienda e ai suoi vertici di escogitare strategie innovative quanto spregiudicate, necessarie per aggirare gli ostacoli tecnico-giuridici e le resistenze dei vari attori istituzionali.
A tal proposito il cosiddetto “metodo Mattei” è la cifra esemplare di questa spregiudicatezza. Lo scopo di questa strategia era di mettere di fronte al fatto compiuto l’amministrazione pubblica, minimizzando così le difficoltà e i contraccolpi inevitabilmente generati da un modo di procedere più ortodosso ma maggiormente farraginoso. Ad esempio per la realizzazione di metanodotti, che avrebbero richiesto una trafila infinita di autorizzazioni e permessi per scavi e servitù di passaggio, la nuova dirigenza si serviva delle “pattuglie volanti”. Queste, composte da centinaia di uomini armati di pala e piccone, avanzavano nottetempo fino ai margini della città: ufficialmente la loro presenza era giustificata dalla necessità di scavare una piccola traccia per verificare l’idoneità del terreno, ma nella realtà dei fatti venivano scavate le trincee, posati i tubi e terminati i cantieri prima che qualcuno se ne accorgesse. In tal modo un gran numero di sindaci si ritrovarono da un giorno all’altro con nuove installazioni entro i confini delle loro giurisdizioni, mentre altri, scoperto a metà opera il cantiere abusivo, furono costretti ad avallare il tutto pur di non ritrovarsi con il comune sventrato e bloccato.
Alla chiusura del Comitato italiano petroli l’AGIP rimase l’unica azienda a occuparsi per conto dello Stato della raffinazione/distribuzione del petrolio e delle attività di ricerca mineraria. A ostacolare il pieno sfruttamento da parte dell’azienda della propria attività di esplorazione vi era però il sistema di concessioni vigente al tempo, che accordava di fatto una preferenza ad aziende private straniere (l’AGIP, essendo considerata privata, non poteva giovarsi della proprietà pubblica) nell’assegnare il diritto di estrazione e vendita del prodotto. Il piano di Mattei era quindi quello di unire le attività di ricerca con quelle di distribuzione del prodotto, ottenendo parallelamente dallo Stato una corsia preferenziale rispetto ai privati.
Per forzare la mano delle istituzioni, ancora reticenti all’idea di concentrare tanto potere nelle mani di una sola azienda, Mattei giocò l’ultimo asso nella manica. Nella notte del 19 marzo 1949 infatti, durante i lavori di estrazione del metano a Cortemaggiore presso Piacenza, venne rinvenuto un petrolio molto “leggero” e di grande qualità. La scoperta di un giacimento petrolifero (benché di modestissime dimensioni, appena 100 tonnellate giornaliere) in un Paese come l’Italia, da sempre privo di fonti d’energia e quindi costantemente in ritardo rispetto agli altri paesi, destò al tempo grande attenzione. Mattei fu abilissimo nel volgere a suo vantaggio l’enorme eco mediatica e l’ondata di orgoglio nazionale scaturita dalla scoperta, barattando con l’allora governo De Gasperi la grande iniezione di fiducia di cui quest’ultimo aveva beneficiato con quello che sarebbe diventata di lì a poco l’Ente Nazionale Idrocarburi (ENI).
Con la legge 135 del 10 febbraio 1953 l’Agip venne posta sotto la proprietà del neonato Ente Nazionale Idrocarburi, pubblico ma autonomo rispetto alla pubblica amministrazione, finanziato dalle rendite metanifere e responsabile della gestione di tutte le attività petrolifere e petrolchimiche dello Stato. La questione del finanziamento dell’ente si intrecciava con il tema delle risorse destinate al mondo politico, che egli distribuiva copiosamente. Lo stesso patron dell’ENI affermò di utilizzare i partiti come dei taxi, “pagando la corsa” per i servizi resi all’ente, inclusa probabilmente anche la stessa approvazione in Parlamento del progetto ENI, quasi a “misura di Mattei”.
L’immagine di un Mattei disposto a tutto emergeva anche dal carattere quasi sacro che attribuiva al proprio ruolo di capo di una società pubblica, la cui missione passava attraverso una capillare opera di autolegittimazione agli occhi dell’opinione pubblica e degli attori internazionali. Attraverso Il Giorno, quotidiano alle dipendenze ENI fondato nel 1956, proprie agenzie di stampa e una struttura “diplomatica” diffusa a livello mondiale, con compiti anche informativi e di intelligence, Mattei riuscì nel duplice intento di garantirsi il sostegno di un intero Paese e di accreditarsi come soggetto autorevole nel campo energetico, monopolizzato allora dal cartello delle “Sette Sorelle”, che tramite l’esclusiva sulla raffinazione del petrolio impedivano de facto lo sviluppo di industrie nazionali in quel campo.
La scelta di gettarsi nella competizione petrolifera internazionale fu dettata da due ordini di fattori. In primo luogo, nonostante i giacimenti petroliferi scoperti nel Paese in quegli anni, il fabbisogno italiano, in quel periodo stimolato dalla crescita del settore automobilistico e dallo sviluppo della rete stradale, era di gran lunga superiore a quello che le risorse autoctone potevano offrire. Se da un lato l’integrazione in altri settori, come ad esempio l’acquisto del Pignone di Firenze nel 1954, poteva sopperire a questa mancanza e procurare nuovi fondi, l’accesso alle risorse petrolifere continentali era ostacolato dagli alti prezzi imposti dalle compagnie statunitensi operanti in Europa Occidentale, indispettite dal recente attivismo minerario dell’Italia.
Il luogo scelto da Mattei per aprire la sua nuova competizione petrolifera internazionale fu l’lran, reduce da un colpo di stato, favorito dai servizi segreti americani e britannici, avvenuto nel 1953 contro il primo ministro Mohammad Mossadeq, il quale aveva nazionalizzato la compagnia Anglo-Iranian Oil Company. Le concessioni ottenute dall’ENI, per quanto il loro sfruttamento fosse di magro valore e persino antieconomico, avevano comunque un alto valore simbolico. Queste rappresentavano infatti una prima importante infiltrazione nel tessuto economico mediorientale, tradizionalmente dominato dai cartelli petroliferi occidentali. A spingere verso questa inedita contaminazione contribuì da un lato lo spirito terzomondista di Mattei, che fece dell’idea dell’esistenza di una comunanza di “destini oppressi” tra l’Italia vessata e le ex colonie un poderoso cavallo di Troia economico; dall’altro fu lo stesso Reza Pahlavi, consapevole della necessità dell’appoggio statunitense ma irriducibilmente nazionalista, a vedere in Mattei un aiuto per favorire l’aggregazione dei popoli musulmani. L’accordo del marzo 1957 con la National Iranian Company venne poi reso effettivo con la costituzione di una società mista italo-iraniana (SIRIP) nel settembre di quell’anno.
Le aperture terzomondiste di Mattei, volte a riconoscere i paesi africani e del Medioriente come stati veri e propri e non semplici colonie, furono spesso accolte con imbarazzo dagli esponenti della Democrazia Cristiana, preoccupati delle possibili reazioni dell’alleato statunitense. Venne comunque costruita una dottrina politico-ideologica, il cosiddetto “neoatlantismo”, nella quale poteva essere inquadrata questa autonoma politica italiana. Nonostante questo, l’ostilità degli Stati Uniti e dei big del petrolio verso l’Italia crebbe ininterrottamente per tutti gli anni Cinquanta, raggiungendo il punto critico quando Mattei riuscì in un’impresa ritenuta impossibile: portare sul mercato mondiale, e in particolar modo su quello europeo, il greggio sovietico.
L’azzardo di Mattei era in un certo senso coerente con un corollario del neoatlantismo, che portava l’Italia ad assumere il ruolo di “intermediario internazionale non richiesto”. Questo spinse l’ENI ad impegnarsi in scenari molto delicati quali la Libia, il Marocco e anche l’Algeria, allora impegnata in un sofferto distacco dalla Francia. Dall’altro lato questa strategia rispondeva alla “politica del grande compratore”, volta a compensare la deficienza produttiva italiana in campo petrolifero con il ruolo di spregiudicato acquirente e un impegno in tal senso nello scenario internazionale. Questa strategia diede i propri frutti in occasione dell’accordo con l’Unione Sovietica, benedetto in seguito dal placet americano: in cambio di una fornitura di greggio a lungo termine, pari al 16% del fabbisogno italiano, l’ENI si impegnava a trasferire all’URSS un’ingente quantità di prodotti industriali, giovando enormemente a diverse imprese meccaniche facenti parte del gruppo ENI come il Nuovo Pignone e la SNAM.
A dispetto dei ricorrenti attriti tra Mattei e le Sette Sorelle, queste cercarono attivamente di includere l’ENI in una politica comune. Le dichiarazioni di Mattei riguardo ai rapporti dell’Algeria, con le quali subordinò l’apertura di trattative al raggiungimento dell’indipendenza del paese, misero in seria difficoltà il cartello, costretto a scegliere se schierarsi con gli indipendentisti algerini o con la Francia. Le posizioni di Mattei risultarono senz’altro sgradite a quest’ultima, e forse non è un caso se l’Organisation Armée Secrete, organismo armato francese clandestino, fece pervenire a Mattei una missiva in cui prometteva ritorsioni in caso di appoggio alla causa indipendentista. Un primo attentato fu sventato l’8 gennaio 1962, quando il pilota dell’aereo personale di Mattei scoprì quasi per caso un giravite fissato con del nastro adesivo a una delle pareti interne del motore. La sera del 27 ottobre di quell’anno l’aereo su cui Mattei stava tornando a Milano da Catania precipitò per causa ancora oggi ignote nelle campagne di Bascapè, in provincia di Pavia, uccidendo sul colpo tutti i suoi occupanti.
La tragica morte di Mattei è per certi versi la conclusione e la cifra di una vita illustre, vissuta costantemente sul filo di un azzardo, ispirato però da condizioni profonde. Una vita spesa con religiosa devozione e consacrata ad una missione che come una bussola ha illuminato il suo coraggioso cammino. Il colosso che contribuì a costruire in quei convulsi anni di ricostruzione fu ciò che lo spinse tra le braccia di quello che una sentenza del 2005 ha sancito essere un attentato, ma che allo stesso modo lo ha consacrato giustamente nelle pagine della storia dell’Italia repubblicana, della quale fu un protagonista di primaria grandezza.