“Ereditare il futuro. Dilemmi sul patrimonio culturale” di Lorenzo Casini
- 03 Luglio 2018

“Ereditare il futuro. Dilemmi sul patrimonio culturale” di Lorenzo Casini

Recensione a: Lorenzo Casini, Ereditare il futuro. Dilemmi sul patrimonio culturale, il Mulino, Bologna 2016, pp. 228, 20 euro (scheda libro)

Scritto da Marco Brunetti

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Sono ben note le aspre discussioni che hanno accompagnato sin dagli inizi le riforme del già Ministro del MiBACT Dario Franceschini. Eppure, al di là dei ricorsi legali e delle polemiche talvolta sterili, questi ultimi quattro anni hanno senz’altro avuto un chiaro merito: quello di aver acceso i riflettori su di un ambito che da tempo era relegato agli ultimi argomenti di discussione politica. Eppure, dalla lettura del volume emerge chiaramente come, ben prima dell’acceso dibattito, i presupposti delle attuazioni ministeriali erano stati formulati ed espressi già negli anni precedenti (talvolta anche decenni).

Una delle principali argomentazioni che infatti si trova nel libro – e che, peraltro, viene ben documentata – è la seguente: le riforme degli ultimi quattro anni non hanno “inventato” niente di nuovo ma, al contrario, hanno recepito e attuato la lunga serie di stimoli e riflessioni che le alte professionalità del settore avevano offerto tramite studi, commissioni e riforme, talvolta brutalmente interrotte.

Chi parla, lo fa senz’altro a ragion veduta perché vi ha agito in prima fila: si tratta di Lorenzo Casini, professore ordinario di diritto amministrativo all’IMT di Lucca e consigliere giuridico del già Ministro Franceschini. Tuttavia, lungi dall’essere una palinodia alle pungenti critiche ormai sopite, la trattazione del volume non vuole solo mettere in luce gli aspetti positivi della riforma, ma anche, e soprattutto, i punti d’ombra che si celano nelle maglie di un sistema complesso e stratificato. Al di là infatti di quale possa essere il punto di vista del lettore sull’argomento, senz’altro dal volume traspare una grande onestà intellettuale nel discutere, senza mai cedere all’acredine, i punti più complessi della riforma, riportando spesso in nota le osservazioni di chi non ha sempre condiviso le attuazioni ministeriali.

 

La tripartizione adottata da Lorenzo Casini

Ereditare il futuro è diviso in tre macroaree di indagine. La prima parte è focalizzata sulla storia dei provvedimenti legislativi (a partire dagli anni Settanta) e sulla storia del Ministero (pp. 23-102). La discussione delle principali norme ed evoluzioni ministeriali permette al lettore di comprendere il sottile orizzonte in cui un Ministero, piuttosto giovane, ha cercato di destreggiarsi tra problematiche nazionali e soprattutto sovranazionali.

La seconda parte è incentrata su quattro difficili questioni relative alla gestione dei beni culturali (pp. 105-153): 1. il rapporto tra pubblico e privato; 2. la circolazione dei beni culturali (più precisamente il prestito); 3. il significato delle mostre museali per il concetto di valorizzazione; 4. le modalità d’azione nel restaurare un paesaggio.

Questi quattro “dilemmi” vengono scelti per due motivi principali: il primo è di natura giuridica dal momento che per tutti e quattro i dilemmi non esistevano norme e procedure chiare prima delle riforme del 2014-2016; il secondo motivo è che tutti e quattro hanno profonde connessioni con il concetto giuridico di valorizzazione. Infatti, come è possibile valorizzare un patrimonio culturale se manca una visione del ruolo del privato nella collaborazione con il pubblico? Come è possibile valorizzare un bene culturale se non esiste una flessibilità e non si attribuisce un ruolo (anche economico) al prestito extranazionale? E, da ultimo, come è possibile valorizzare un patrimonio paesaggistico senza alterarne – ma nemmeno ingessarne – la fruizione?

La terza parte illustra invece le soluzioni che, in merito a tali problematiche, il Ministero ha avviato a partire dal 2014 (pp. 157-218). Sicuramente quest’ultima parte risulta la più interessante per chi volesse conoscere più nel concreto le ultime evoluzioni ministeriali, ancora non proprio note ai più. Di certo però, la lettura di solo quest’ultima parte – senza le due precedenti – risulterebbe decontestualizzata, soprattutto riguardo ai motivi che hanno spinto il Ministero a una nuova visione della sua stessa organizzazione interna.

 

La storia di un Ministero e di una nuova materia giuridica

Dalla lettura della prima parte si comprende il motivo profondo del ritardo con cui l’Italia si è mossa nell’ambito della gestione dei beni culturali. Il fatto è senz’altro ancora più grave se si pensa che l’Italia è il paese che ha il maggior numero di siti riconosciuti dall’UNESCO (58 siti – contro i 51 della Cina). Di certo, tra i principali motivi che hanno determinato un tale ritardo, alcuni sono riconoscibili anche a uno sguardo più inesperto: la nascita del Ministero dei Beni Culturali è per esempio avvenuta solo nel 1974 e, solo a partire dal 2004, si è redatto un Codice dei Beni Culturali.

Tuttavia l’autore vuole considerare quelle faglie del sistema che hanno impedito una visione più lungimirante del sistema amministrativo applicato ai beni culturali. Vengono perciò ricordate le riflessioni maturate dalle commissioni Franceschini (1964), Papaldo (1968, 1971), Cassese (1985) che avevano già rintracciato tali debolezze, non sempre però ovviate dal legislatore. Per fare alcuni esempi più specifici: solo nel 1963 i beni archivistici vengono inclusi nelle “cose di interesse storico, artistico e naturale”; solo alla metà degli anni Settanta si sviluppa il concetto di “valorizzazione”, oltre a quello di tutela (peraltro quasi per effetto indiretto delle due convenzioni UNESCO, 1970 e 1972); solo nella metà degli anni Ottanta si comprende la portata economica sul sistema finanziario dei beni culturali; solo nel ’98 si accolgono le disposizioni europee del 1992 in materia di circolazione dei beni culturali; e solo nel ’99 si ha un Testo Unico sui beni culturali (dove, peraltro, mancano alcuni concetti base come tutela, gestione, valorizzazione); tutto ciò in aggiunta al fatto che, tra ’98 e 2009, il Ministero ha subito ben quattro profonde trasformazioni di organizzazione (pp. 23-43).

In tutta questa graduale ma fiacca evoluzione giuridica, Lorenzo Casini sottolinea il problema più profondo: quello di non aver ancora maturato una visione di insieme, ma di aver proceduto passo per passo quasi tamponando le ferite. Come giustamente si sottolinea, il diritto dei beni culturali non può essere inteso come una semplice raccolta di norme, ma deve avere una visione di insieme. L’assenza di una tale capacità predittiva ha determinato un problema fondamentale: il Codice dei Beni Culturali non rispecchia sempre le funzioni degli enti ministeriali. In poche parole, si sono prima creati gli enti ministeriali e poi si sono attribuite le funzioni (es. tutela, valorizzazione) e non il contrario, come ci si aspetterebbe. Per esempio, prima della riforma, alla Soprintendenza spettavano le funzioni sia di tutela sia di fruizione perché i Musei erano considerati degli uffici della Soprintendenza. A un solo ente spettavano perciò funzioni che erano talvolta in contrasto: «aumentare l’accesso a un sito culturale determina problemi di protezione; limitare la circolazione può ridurre la fruizione; decontestualizzare un bene può preservarlo meglio e persino valorizzarlo» (p. 56). Se prima perciò la Soprintendenza di Firenze-Pistoia-Prato aveva un ruolo preponderante nella gestione degli Uffizi, ora i due contesti sono giuridicamente scissi perché hanno funzioni diverse (agli Uffizi compete la valorizzazione del patrimonio, alla Soprintendenza la tutela dello stesso). Ne deriva una situazione più chiara nelle competenze e quindi responsabilità che vengono assegnate.

Solo grazie alle ultime riforme del Ministro Franceschini, si è perciò cercato di superare un limite così ostacolante. Naturalmente l’autore affronta alcuni problemi non del tutto superati dalle più recenti riforme: per esempio il tema degli “istituti e dei luoghi della cultura” (p. 58). Il Codice dei Beni Culturali definisce quali competenze spettano allo Stato, quali alle regioni e quali agli enti locali. Tuttavia, il Codice si riferisce sempre ai “beni” e mai agli “istituti” (es. archivi, musei, biblioteche). Ne deriva giuridicamente una situazione ambigua: che ruolo hanno giuridicamente questi istituti rispetto al bene che posseggono? Sono dei semplici contenitori o possono assumersi delle responsabilità o delle competenze di gestione? Ad alcune di queste domande hanno provato a rispondere alcuni decreti ministeriali, ma rimane ancora un vuoto giuridico all’interno del Codice e una visione unitaria che metta insieme beni e istituti.

Sempre nella prima parte, si trova una lunga sezione sulle questioni internazionali (pp. 61-96). Vengono presentate al lettore le nuove sfide che la globalizzazione ha sottoposto al sistema dei beni culturali nazionale. Si discute perciò dell’incremento del commercio illecito, del funzionamento degli enti sovranazionali che si occupano del patrimonio culturale globale (es. UNESCO – ICOM) e delle politiche che favoriscono le restituzioni dei beni culturali dopo traffici illeciti. Di grande utilità è senz’altro la sezione dedicata alla descrizione delle modalità di azione degli enti sovranazionali (es. UNESCO) e di altri enti associativi (come il cd. “Bizot group”). L’autore non si limita semplicemente a sintetizzare il modus operandi di tali istituti – già di per sé molto utile per il lettore, vista la complessità del tema – ma ne tocca talvolta anche i punti deboli (specialmente quando il sistema democratico sembra cedere a favore dei membri più influenti o del carattere privato dell’ente: p. 85, p. 91).

A conclusione della prima parte – quasi a chiudere positivamente sulla lentezza riformista del sistema italiano – viene offerto un breve capitolo sulle ultime riforme riguardo al rapporto tra pubblico e privato, con particolare riferimento al cosiddetto “mecenatismo dell’artbonus” (pp. 97-102). L’artbonus avvia infatti un sistema integrato tra bene pubblico, privato e fruitori. Più concretamente, la valorizzazione del bene viene supportata da libere donazioni in denaro che i privati erogano, per poi detrarle fiscalmente.

 

I quattro “dilemmi” del patrimonio culturale

Come anticipato, la seconda parte s’incentra su quattro tipologie di problematiche (“dilemmi”) che riguardano il sistema dei beni culturali (soprattutto italiano).

Il primo riguarda il rapporto tra pubblico e privato applicato al concetto di valorizzazione: quando e in che misura è concesso al privato di supportare un bene culturale di proprietà pubblica? Fino a che punto invece il pubblico può supportare la valorizzazione di un bene culturale di proprietà privata? Il dilemma viene focalizzato dall’autore su due punti: quello della proprietà e quello dell’iniziativa (chi si fa promotore dell’attività di valorizzazione). La conclusione dell’autore è che, sulla base di queste due variabili, si potrebbero trovare soluzioni normative al rapporto pubblico-privato. Il Codice deve essere perciò rivisto e colmato in alcuni punti (si pensi, per esempio, al vuoto normativo riguardo all’iniziativa pubblica su un bene culturale privato: p. 115). Anche in questo senso le novità ministeriali, tra cui l’artbonus, hanno tentato di dare nuove risposte in assenza di direzioni normative.

Il secondo dilemma riguarda il complesso problema della circolazione dei beni culturali, in particolare il prestito dei beni culturali a istituzioni straniere (pp. 123-132). Anche qui i vincoli normativi sono molto serrati e limitano i vantaggi che potrebbero derivare da un prestito extranazionale (per esempio: 1. la conoscenza del bene all’estero; 2. l’eventuale compenso erogato dall’ente ospitante; 3. gli eventuali impegni di restauro dell’ente ospitante durante il periodo del prestito). Anche in questo caso, non vengono fornite dall’autore soluzioni inderogabili, quanto piuttosto delle possibili alternative (es. il cd. “passaporto” per le opere d’arte, limiti temporali più flessibili in base alle stime di valore e di domanda).

Il terzo dilemma riguarda un problema superato dalle più recenti riforme del Ministero, ossia l’organizzazione delle mostre (pp. 133-140). Fino a pochi anni fa (stando alla legge del 14 gennaio 1993, n. 4: cd. legge Ronchey), le mostre museali – vero polmone della valorizzazione del patrimonio culturale – erano spesso affidate ai concessionari esterni dei “servizi aggiuntivi”. Secondo la legge Ronchey, dal momento che il sistema pubblico non può gestire da solo la mole di costi richiesta dalla gestione museale, può affidare attraverso gare di appalto alcuni servizi del museo, come la biglietteria. Questo comporta naturalmente che ai concessionari sia riservata una parte del ricavo dei biglietti. Tuttavia, insieme al servizio di biglietteria, vi sono diversi concessionari anche per altri servizi come il bookshop, la caffetteria, il servizio di audioguide e i cataloghi. In questo modo, i vari concessionari presenti nei diversi musei italiani (per esempio Civita Cultura, Electa, CoopCulture) avevano tutto l’interesse nel gestire anche il servizio dell’organizzazione delle mostre (visto il conseguente aumento degli ingressi e dei ricavi). In questo modo le mostre erano più un servizio aggiuntivo del museo, piuttosto che il suo motore di sviluppo (p. 134-135). Solo con le più recenti riforme, i Musei, resi ormai responsabili (ed economicamente più autonomi) della propria valorizzazione, possono gestire in modo più diretto le proprie mostre, senza dipendere da concessionari esterni.

Nell’ultimo punto si vuole affrontare una domanda precisa: come è possibile valorizzare un patrimonio paesaggistico senza alterarne – ma nemmeno ingessarne – la fruizione (pp. 141-153)? In particolare, Lorenzo Casini si interroga su che cosa significhi intervenire nella valorizzazione del paesaggio, ossia in uno spazio che è il luogo d’incontro tra cultura e natura. Per l’autore non si tratta solo di recuperare un aspetto deturpato o di mantenere inalterato quello presente, ma anche di creare nuovi valori legati a una maggiore fruizione (per esempio la realizzazione di itinerari ciclabili e passeggiate). Ma anche su questo piano la legislazione nazionale sembra ancora poco esplicita, a differenza invece di quanto accade nella legislazione regionale (che però disciplina il paesaggio e non i beni paesaggistici).

 

Le riforme ministeriali dal 2014

Nell’ultima parte del libro, vengono infine discusse le soluzioni che si sono date negli ultimi anni, tramite le più recenti riforme ministeriali (pp. 157-218). In particolare, viene analizzata la nuova struttura del Ministero, riformulata secondo funzioni e non secondo gli enti/uffici preesistenti (es. la tutela viene assegnata alle Soprintendenze e la valorizzazione ai Musei). Viene poi discusso il tema della nuova formulazione giuridica dei musei: i musei non sono più considerati degli uffici delle Soprintendenze, ma sono svincolati da esse, dipendendo direttamente dalla Direzione Nazionale. Vengono perciò illustrati i tre principali tipi di musei: i Musei-Ufficio (che dipendono dai Poli Museali Regionali); i 20 Musei ad autonomia speciale; e i Museo-Fondazione. Si affrontano infine i due temi non sempre al centro delle più recenti discussioni: la situazione degli archivi (pp. 193-202) e il Grande Progetto Pompei (pp. 203-218).

Nel caso degli archivi viene discussa la difficile situazione prima della riforma (sia in termini di gestione sia di risorse umane) e poi quanto si è venuto a creare attraverso le 11 soprintendenze, i 95 archivi di stato, le 3 soprintendenze-archivi di stato e i 6 archivi di stato dirigenziali. In questo modo, come per la situazione dei 20 Musei “autonomi”, si è preso atto che alcuni archivi richiedano una differente struttura di organizzazione interna, vista la loro peculiarità e complessità. La situazione degli archivi e delle biblioteche rimane uno dei punti più difficili da riformare, ma ulteriori traguardi sono stati raggiunti anche recentemente: si pensi alla legge 124/2017 che concede la libera riproduzione di beni archivistici e librari da parte di privati, dotati di mezzi autonomi.

Da ultimo Lorenzo Casini analizza la genesi e lo sviluppo del Grande Progetto Pompei per mostrare una buona gestione realizzata tramite la collaborazione con enti sovranazionali (UNESCO) e enti locali (Soprintendenza e Amministrazioni locali). La riflessione non espressa dall’autore, ma facilmente intuibile, è quella che alcuni siti – come Roma o Pompei – vista la loro rilevanza culturale, diventino un crocevia di sperimentazioni gestionali: virtuose e, soprattutto, inclusive.

La ricca disamina che il volume propone lo rende senz’altro uno dei più aggiornati e stimolanti contributi che recentemente si trovino sul mercato. Particolarmente apprezzabili risultano gli abbondanti riferimenti bibliografici che si trovano in nota e che offrono uno spiraglio di approfondimento al lettore più curioso. L’indagine, critica e meticolosa, si salda a un’onestà intellettuale che permette al lettore non solo di conoscere l’evoluzione storica delle più recenti scelte politiche, ma anche di venire a conoscenza delle rispettive opposizioni. Il lettore trova così uno strumento di analisi e studio che, seppur lasci aperti importati dilemmi, suggerisce anche proposte risolutive per un futuro da ereditare.

Scritto da
Marco Brunetti

Laureato in Filologia Classica nel 2014 e Archeologia nel 2015 presso l'Università di Bologna, è dottorando presso l'IMT di Lucca in Gestione e Analisi dei Beni Culturali. Oltre a pubblicazioni scientifiche e alla partecipazione in conferenze internazionali, ha lavorato alla pubblicazione di schede di catalogo per mostre museali e ha collaborato con il British Museum di Londra nel Dipartimento di Disegni e Stampe.

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