Recensione a: Tommaso Detti e Giovanni Gozzini, L’età del disordine. Storia del mondo attuale 1968-2017, Laterza, Roma-Bari 2018, pp. 228, 20 euro (scheda libro)
Scritto da Luca Picotti
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«Dopo una breve ed effimera stagione di entusiasmi, la globalizzazione è divenuta per molti l’incubo dei nostri tempi. Robot che sostituiscono operai, stabilimenti che si trasferiscono in Serbia o in Cina, crisi finanziarie a ripetizione, ondate di immigrati che affluiscono alle frontiere, attentati terroristici. Il mondo si è messo in movimento a una velocità che non riusciamo a comprendere e si moltiplicano le reazioni di “agorafobia”: di fuga in beni-rifugio che ripudiano la realtà, quali le piccole patrie nazionaliste o gli integralismi religiosi».
La fotografia del presente che gli storici Tommaso Detti e Giovanni Gozzini offrono al lettore come incipit della loro ultima opera, L’età del disordine. Storia del mondo attuale 1968-2017 (Laterza 2018), descrive con lucidità la crisi non solo economica ma anche, e soprattutto, socio-culturale degli ultimi anni. La mancanza di coordinate per orientarsi nel grande disordine globale ha generato un senso di smarrimento che presto si è trasformato in paura: come scrive Zygmunt Bauman, nella staffetta della storia l’epidemia globale di nostalgia ha raccolto il testimone della precedente epidemia della smania per il progresso. Il futuro non si presenta più come fonte di speranza, ma di angoscia.
Gli autori con questo ambizioso volume indagano gli ultimi cinquant’anni di storia nel tentativo di trovare un ordine, una spiegazione razionale del perché siamo arrivati a questo punto. In particolare, i due storici si focalizzano sul quinquennio 1968-1973, epicentro dei maggiori stravolgimenti economici e culturali senza i quali risulta impossibile comprendere il presente.
Gli stravolgimenti economici e culturali
Dal punto di vista economico, il 1973 è l’anno che mette fine all’età dell’oro post-bellica – un periodo di crescita caratterizzato dall’egemonia statunitense, dal gold standard e dal sistema di Bretton Woods – e al modello di sviluppo keyenesiano. Il prezzo del petrolio quadruplica e le economie occidentali si contraggono sotto il peso della stagflazione (stagnazione+inflazione). Fra il 1973 e il 1976 il «decollo del prezzo del petrolio riversò ogni anno dai paesi ricchi a quelli esportatori circa 70 miliardi di “petrodollari”»(p.5), che solo in minima parte furono spesi sui mercati interni: il resto andò a gonfiare il settore finanziario.
Dal 1973 al 2004 la media di denaro scambiato ogni giorno sul mercato dei cambi valutari crebbe da 15 a 1900 miliardi di dollari e gli investimenti esteri (nel periodo 1982-2012) da 57 a 1361 miliardi. La finanza, sottolineano gli autori, non è da demonizzare aprioristicamente, dato il suo ruolo fondamentale che consiste nel convogliare i risparmi dove servono, aiutando famiglie e imprese. La modalità con cui si sviluppò il settore finanziario dagli anni Settanta/Ottanta finì però per gonfiare in modo autoreferenziale il mercato dei derivati: «il prestito interbancario prevalse su quello produttivo di denaro a imprese e famiglie»(p.8).
Con gli anni Ottanta iniziano ad aumentare le disuguaglianze all’interno dei paesi occidentali – tra le cause anche la fine del keynesismo e l’emergere del paradigma neoliberale, con la conseguente svolta fiscale della trickledown economics – mentre il baricentro economico comincia a spostarsi dall’Atlantico al Pacifico, soprattutto a seguito della modernizzazione avviata in Cina da Deng Xiaoping. «La storia del commercio internazionale della seconda metà del XX secolo è la storia di due mondi e due epoche. La prima, che grosso modo è durata fino al 1980, vede una drastica divergenza politica tra i paesi ricchi e il resto del mondo, con i primi che adottano politiche commerciali sempre più liberiste e il secondo che si muove in direzione opposta. La seconda è invece un’epoca di convergenza politica, che vede un numero crescente di paesi in via di sviluppo scegliere, talvolta costretti dalle circostanze, di smantellare le barriere protezionistiche e incamminarsi sulla via del libero commercio. Questo mutamento è cominciato negli anni Ottanta e si è accelerato nel decennio successivo»(p.20).
Soprattutto dopo la crisi del 2008, abbattutasi con pesantezza sulle economie occidentali, il processo di convergenza con i paesi asiatici è parso un destino ineluttabile della globalizzazione; le disuguaglianze tra i paesi del mondo sono diminuite, ma all’interno delle nazioni avanzate i ceti medi si sono impoveriti, a causa delle concorrenza a basso costo, delle delocalizzazioni e della rivoluzione tecnologica.
Nel frattempo, l’ipertrofico sviluppo industriale, ormai esteso ad ogni angolo del pianeta, ha posto all’interno del dibattito pubblico il tema fondamentale dell’ambiente e dei limiti allo sfruttamento della terra. L‘Earth Day, che nel 1970 era stato festeggiato da circa 20 milioni di americani, nel 1990 mobilitò circa 200 milioni di persone in 140 paesi.
Gli autori, dopo aver analizzato le principali trasformazioni economiche, si focalizzano – con l’ausilio di numerosi dati statistici – su aspetti socio-culturali quali l’andamento demografico, le migrazioni e i costumi.
Gli abitanti della Terra, intorno ai 750 milioni nel 1750, sono arrivati a 7,5 miliardi nel 2017. La transizione demografica, disomogenea nelle varie aree del pianeta, si risolve nel passaggio da un sistema caratterizzato da alta natalità, alta mortalità e breve durata della vita ad uno di segno opposto: lunga durata della vita e bassa natalità, si pensi al calo delle nascite nei paesi avanzati accompagnato dall’innalzamento dell’età media. Un altro fenomeno evidenziato dagli storici è quello dell’urbanizzazione: ai primi del Novecento solo 8 centri urbani superavano i 2 milioni di abitanti[1], mentre nel 2015 quasi tutti i 30 maggiori agglomerati urbani superavano i 10 milioni di abitanti e 24 di questi si trovavano nei paesi in via di sviluppo.
Per quanto concerne l’immigrazione, gli autori offrono una prospettiva storica volta a dimostrare la normalità del fenomeno nel corso dei secoli. Tra i cambiamenti più recenti, sottolineano come l’Europa in primo luogo ma anche l’Asia siano diventate terra di immigrazione, mentre l’America del Nord e l’America latina abbiano subito un calo rispetto al periodo fra Otto e Novecento.
Il quinquennio indicato da Detti e Gozzini come epicentro dei maggiori stravolgimenti socio-culturali è fondamentale per comprendere il mutamento antropologico e la diversa concezione della società emersa dopo il ‘68: attraverso i media il mondo appare nella sua totalità, al locale subentra il globale e le immagini provenienti da ogni angolo del pianeta diventano motivo di scontro e polarizzazione politica. La baby boom generation, inoltre, mette in discussione la società tradizionalista dell’epoca, combattendo per una maggiore scolarizzazione accessibile a tutti, per i diritti delle donne, contro l’autorità pubblica – da qui anche lo sviluppo di Internet – e per la rivoluzione sessuale e dei costumi (aumentano i divorzi, si va meno in Chiesa etc.): per fare un esempio, negli Stati Uniti tra il 1969 e il 1973 «la percentuale di coloro che nei sondaggi d’opinione disapprovano i rapporti sessuali prematrimoniali scese dal 68 al 48%»(p.84).
Il potere mondiale
Negli ultimi capitoli gli autori affrontano i maggiori terremoti geopolitici che dagli anni Settanta hanno ridefinito l’ordine – o il disordine – mondiale. Innanzitutto, come afferma Gilles Kepel, politologo e orientalista francese citato nel libro, il 1973 non è solo l’anno della crisi economica dei paesi occidentali, ma è anche la vittoria dei paesi esportatori del Golfo Persico e del credo sunnita. «A parere di Keppel, dunque, ebbe inizio allora “un’era islamista” che conobbe una “folgorante espansione negli anni Ottanta”»(p.104), per poi calare nel decennio successivo, lasciando però in eredità le teorie integraliste di Hassan al-Banna, Sayyid Qutb e Abu al-A’la Mawdudi e una tensione politico-religiosa giunta fino ai giorni nostri.
Il maggior avvenimento all’interno dello scacchiere mondiale fu il lento declino dell’Urss, indebolita dalla sconfitta subita in Afghanistan, dalle rivolte nazionaliste dei paesi dell’est Europa e soprattutto inerme dinanzi al fattore umano e alla globalizzazione culturale che portarono ad una pacifica autodissoluzione dell’utopia comunista: «L’uomo che cancellò il comunismo – ha scritto un generale sovietico, Dmitri Volkogonov – era uno che al comunismo credeva».[2]
«Con la fine della Guerra Fredda non solo si moltiplicò il numero degli Stati […] ma crebbe anche il loro attivismo, non più condizionato dagli equilibri bipolari e volto a perseguire con spregiudicata autonomia obiettivi meramente regionali e nazionalisti. Alla globalizzazione economica si accompagnava una frammentazione politica»(p.130). Gli autori analizzano il processo di integrazione europea, la disgregazione del Medio Oriente, il passaggio della Russia dal comunismo al libero mercato, i neo-nazionalismi e gli integralismi religiosi, con un excursus volto ad evidenziare il grande disordine geopolitico degli ultimi trent’anni.
Detti e Gozzini, riprendendo i dati dell’economista Branko Milanovic – che abbiamo intervistato e di cui abbiamo recensito l’ultimo libro – evidenziano infine gli aspetti negativi della globalizzazione, come l’aumento delle disuguaglianze interne nei paesi avanzati, ma anche quelli positivi – che lo Zeitgeist nazionalista vorrebbe nascondere – quali la riduzione delle disuguaglianze tra i paesi del mondo: secondo le stime della Banca mondiale «dal 1980 in poi i poveri di tutto il mondo sono calati da quasi due miliardi a 900 milioni»(p.172).
Il volume di Tommaso Detti e Giovanni Gozzini, molto ambizioso nello scopo, cerca di mettere ordine nella storia degli ultimi cinquant’anni per aiutare il lettore a comprendere il presente. La globalizzazione, affermano i due storici, non è un complotto, ma l’insieme dei movimenti internazionali di merci, persone, capitali e informazioni: è tanto velleitario pensare di annullarla quanto necessario provare a controllarla.
Il volume, data la sua brevità, ripercorre con estrema sintesi i principali mutamenti socio-economici e geopolitici, lasciando numerosi spunti di riflessione e stimoli per approfondire le questioni più delicate, dalla privatizzazione dell’esistente esplosa con il 68′ alla transizione verso l’economia dell’offerta e il paradigma dominante neoliberista, passando infine per le trasformazioni nel campo della politica industriale e nel mondo del lavoro.
Il lavoro dei due storici è un buon punto di partenza per orientarsi nel grande disordine globale, una bozza da cui partire per approfondire e comprendere il nostro tempo.
[1] Berlino, Chicago, Londra, New York, Parigi, San Pietroburgo, Tokyo e Vienna.
[2] La citazione è riportata a pagina 119.