Europarlamento Balneare. Problemi della legislatura europea
- 14 Giugno 2015

Europarlamento Balneare. Problemi della legislatura europea

Scritto da Nicolò Carboni

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Un anno fa, quando Jean Claude Juncker si presentò davanti al Parlamento Europeo per chiedere un voto di fiducia sulla sua Commissione fece due promesse: la messa in campo di un piano d’investimenti da 315 miliardi di euro e una gestione più razionale del processo legislativo. Sul primo punto abbiamo già scritto (per la cronaca, dopo quasi nove mesi il regolamento operativo del piano non è ancora stato approvato) il secondo, invece, offre alcuni interessanti spunti di riflessione.

Durante i due mandati di Barroso i negoziati fra Parlamento, Commissione e Consiglio non si sono distinti per efficacia: le proposte dell’esecutivo comunitario spesso subivano un vero e proprio Vietnam parlamentare che costringeva deputati e funzionari a estenuanti battaglie interne per definire una posizione comune, il tutto in vista degli ancor più frustranti negoziati con i rappresentanti degli Stati Membri. I risultati erano spesso testi monstre, che cercavano di impacchettare approcci a tratti quasi antitetici e, per forza di cose, molto poco incisivi una volta applicati nel “mondo reale”. Tra refit, pacchetti omnibus e recast, l’era Barroso ha rappresentato l’apice di quell’europatologia burocratica che non vedevamo l’ora di superare. Juncker ha dunque dato mandato al suo primo vicepresidente (l’olandese socialista Frans Timmermans) di lavorare affinché le tre istituzioni trovassero, nel rispetto dei trattati, un approccio di lavoro meno dispersivo.

La Commissione Europea ha chiamato questo progetto “Better Regulation” e prevede una drastica riduzione dei testi legislativi che, almeno in teoria, dovranno essere più sintetici, semplici e, soprattutto, avranno l’obiettivo di passare pressoché indenni lo scrutinio di Parlamento e Consiglio.

Agli Stati Membri non cambia molto, anzi, una minore produzione normativa da parte della Commissione permette alle varie rappresentanze nazionali di concentrare meglio il lavoro e i vari ministri competenti possono lavorare a più livelli per fare in modo che questo o quell’interesse nazionale sia tutelato.

Per il Parlamento Europeo, invece, le cose sono un po’ più complesse: l’assemblea di Strasburgo non ha potere d’iniziativa e, per legiferare, deve attendere l’input della Commissione. Questo significa che meno testi significano meno lavoro, meno informazioni, meno politica e meno importanza. Come se non bastasse molte delle partite più delicate – quella greca, ma pure quella sui migranti – si giocano su tavoli dove il Parlamento non viene neppure invitato a sedersi. Martin Schulz partecipa come ospite alle riunioni del Consiglio Europeo e ha ottenuto l’aggiunta della sua firma al documento dei cinque presidenti che dovrebbe rappresentare la prima base per una vera unione politica europea ma stiamo parlando di piccoli riconoscimenti formali. La Commissione Europea mira a non essere più un mero segretariato delle decisioni prese altrove (di norma a Berlino) ma per rafforzare il suo ruolo ha deciso di affidarsi a un rapporto diretto fra Juncker/Timmermans con i vari capi di stato e di governo piuttosto che all’ormai logoro metodo comunitario. Una cena fra Hollande, Angela Merkel, Tsipras e Juncker è molto più decisiva di qualunque sessione del Parlamento Europeo.

Da mesi ormai l’assemblea si limita a votare risoluzioni, documenti programmatici e rapporti d’iniziativa, tutti testi privi del minimo valore legislativo utili solo per segnalare punti politici che la Commissione può, se lo desidera, prendere in conto o meno. Paradossalmente la “Better Regulation” sta avendo l’effetto di centralizzare ancora di più il potere decisionale vero, escludendo quasi del tutto l’unica istituzione europea eletta direttamente dai cittadini.

Al momento il rischio di avere 751 deputati frustrati che bussano alla sua porta non sembra preoccupare troppo il Presidente Juncker ma nei prossimi mesi, soprattutto qualora la situazione greca dovesse peggiorare, il Parlamento potrebbe decidere di riprendersi il ruolo che la Commissione gli ha strappato.

Sul lungo periodo solo una riforma dei trattati europei potrà ridare equilibrio a una struttura istituzionale ormai completamente sbilanciata sulla diarchia Consiglio/Commissione, nel breve termine, invece, un sussulto d’orgoglio da parte dell’eurocamera potrebbe dare qualche scossone ma, almeno per ora, non se ne vedono neppure i presupposti.


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Scritto da
Nicolò Carboni

Ha lavorato al Parlamento europeo dal 2009 al 2019, occupandosi principalmente di bilancio e finanze pubbliche. Nel corso della legislatura 2009/2014 ha lavorato per l’ufficio di presidenza della delegazione del Partito democratico al Parlamento europeo seguendo il coordinamento dei lavori d’Aula e la comunicazione politica. Attualmente è caposegreteria del Ministro per il Sud e la Coesione territoriale. Gli articoli per Pandora Rivista sono scritti a titolo personale e non impegnano l’istituzione di appartenenza.

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