Scritto da Emanuela Gitto
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Il vento di cambiamento che ha iniziato a soffiare in Algeria con l’Hirak ha soffiato anche al di fuori dei confini nazionali, coinvolgendo gli algerini espatriati in tutto il mondo. Da Parigi a New York, da Bruxelles a Toronto, l’Hirak ha assunto una dimensione globale attraverso le parole e le azioni degli emigrati. Già a partire da febbraio 2019, mese in cui hanno preso il via le rivolte popolari, le comunità della diaspora sulla riva nord del Mediterraneo hanno infatti attivamente contribuito alle manifestazioni. La portata della mobilitazione in Europa e in America è stata tale da delineare degli elementi del tutto innovativi rispetto alle manifestazioni tenutesi in Algeri, sia rispetto al repertorio d’azione utilizzato, sia per le rivendicazioni specifiche legate alla propria storia migratoria nei relativi paesi di residenza.
In questo articolo, proveremo a delineare gli elementi principali di questa mobilitazione diasporica, indagando il suo ruolo rispetto al cambiamento in Algeria e il suo contributo rispettivamente al processo di transizione democratica nel paese. Per motivi editoriali, ci si soffermerà sul caso specifico della mobilitazione in Europa, pur chiarendo tuttavia la rilevanza che ha assunto il movimento anche in altre parti del globo, con punti di specificità altrettanto interessanti e degni di attenzione.
Migrazione e mobilitazione
Anche se l’aspetto della partecipazione di cittadini algerini al di là dei confini nazionali non è un fenomeno sociale del tutto nuovo, le sue radici sono da intravedersi anche nella trasformazione dei rapporti identitari delineati sulla base dell’esperienza migratoria. Un contesto, questo, ad oggi in continua evoluzione, che ha rappresentato già in passato terreno fertile per lo sviluppo di forme diasporiche di partecipazione politica.
Storicamente, la migrazione verso l’Europa ed in particolar modo verso l’ex madrepatria ha visto flussi migratori molto significativi già dai primi anni del XX secolo, quando la manodopera operaia e contadina era molto richiesta sul territorio francese. A partire della Grande Guerra e nel periodo tra le due Guerre Mondiali, i numeri della presenza algerina in Francia aumenteranno in maniera considerevole, determinando inevitabilmente i rapporti tra i due Paesi negli anni successivi.
Il sociologo algerino Abdelmalek Sayad nella sua opera La doppia assenza[1] raccontava di come l’emigrazione per contadini ed operai algerini in Francia rappresentasse un evento alienante, sia per la comunità di origine che per gli stessi emigranti, in una perenne posizione di estranei nella comunità di arrivo. Questo senso di alienazione avrebbe dato luogo appunto ad una effettiva “doppia assenza” del soggetto in condizione di emigrato/immigrato. Non più considerato membro della comunità di origine, ma nemmeno pieno cittadino nella comunità di arrivo. In modo molto interessante, nella sua opera ritroviamo una lettura poliedrica della migrazione. L’algerino immigrato in Francia non era solo tale in virtù della sua identità di “colonizzato” in madrepatria, ma era anche da definirsi “emigrato”, per quelle dinamiche speculari ma che si sarebbero formate all’interno della propria comunità di origine. In questo senso egli definisce questa duplice identità come “doppia assenza”, per descrivere il senso di disorientamento che osservava negli emigrati/immigrati, costretti ad un eterno limbo.
Eppure, è necessario ricordare che proprio in seno a questo “limbo” dell’esperienza migratoria si creeranno le condizioni propizie per lo sviluppo del nazionalismo algerino e, di conseguenza, del processo di Indipendenza. Nel 1926, proprio a Parigi, nasce l’Étoile nord-africaine, il partito nazionalista algerino fondato da Messali Hadj. Messo al bando il 26 gennaio 1937, verrà rifondato con il nome di Parti du Peuple Algérien, a sua volta messo al bando nel 1939[2]. Durante un congresso clandestino di quest’ultimo, verrà istituzionalizzato nel 1946 il Mouvement pour le triomphe des libertés démocratiques (MTLD), la cui rivendicazione principale era quella di chiedere l’indipendenza e l’elezione di un’assemblea a suffragio universale. Qualche anno dopo, l’1 novembre del 1954 avrà inizio l’insurrezione armata anti-francese, a guida del Front de Libération Nationale (FLN).
Certo, il contesto attuale è differente sotto diversi punti di vista rispetto alla lettura di Sayad. Quel tipo di migrazione profondamente radicata ha fatto sì che generazioni di algerini si siano succedute sul territorio europeo. Famiglie e giovani che si sono inizialmente spostate per motivi di studio o lavoro, si sono stabilite poi definitivamente sul territorio europeo – principalmente, ma non solo in Francia – pur mantenendo un costante rapporto con la terra d’origine. Se guardiamo ad oggi, il flusso migratorio che dall’Algeria va in direzione nord si rinnova costantemente, principalmente composto da studenti che proseguono i propri studi universitari all’estero.
A questo tipo di migrazione, si aggiunge anche quella irregolare, tristemente nota e molto più presente sulla stampa nazionale algerina. Quello degli harraga, parola entrata nel vocabolario di uso comune anche in Francia e che significa letteralmente “coloro che bruciano (i propri documenti)”, è un tema caldo nel dibattito nazionale algerino, considerato l’emblema dell’assenza dello Stato nella realizzazione di politiche per l’integrazione delle giovani generazioni nel mercato del lavoro. L’altissimo tasso di disoccupazione e la carenza di risposte istituzionali a bisogni concreti della popolazione più giovane restano tra le cause alla radice delle manifestazioni dell’Hirak.
In che modo il repertorio d’azione dell’Hirak si è sviluppato sulla riva nord del Mediterraneo?
Sulla base degli elementi sopra delineati, non stupisce che la componente algerina all’estero abbia attivamente preso parte a manifestazione anti-regime. Al desiderio di partecipare anche da fuori al cambiamento nel proprio paese, si è accostata una più generale denuncia dello stato di immobilismo del sistema, all’interno del quale temi come la disoccupazione o la mancanza di diversificazione economica costringono molti a partire.
Come già menzionato, la mobilitazione delle comunità algerine in Europa è caratterizzata da elementi di specificità rispetto a quelli delle manifestazioni in Algeria. Gli algerini della diaspora hanno abitato le principali piazze europee – e non solo – ogni domenica dal 22 febbraio 2019, fino a quando le misure di lockdown ne hanno obbligato la sospensione. Parigi, Bruxelles, Marsiglia, ma anche Ginevra, Londra, Vienna e in misura minore Milano e Berlino sono state al centro dei riflettori anche da Algeri, con una dialettica che ha visto i manifestanti dell’Hirak accogliere con gratitudine la vicinanza dei fratelli distanti e dall’altra il governo utilizzare la retorica della main étrangère (“mano straniera”) per screditare il coinvolgimento degli esuli.
Per una mobilitazione vissuta a distanza già prima del Covid-19, l’avvento dell’emergenza sanitaria non ha rappresentato certo un ostacolo insormontabile. Ed infatti, l’ondata protestataria, trasferitasi online anche in Algeria a partire da marzo 2020, ha continuato a coinvolgere in queste modalità anche gli algerini fuori dai confini nazionali. In un certo senso, una nuova definizione del concetto di “prossimità” si è posta in essere attraverso questo tipo di mobilitazione, nella misura in cui il virtuale è stato a pieno titolo legittimato come spazio reale per le contingenze storiche attuali. Per alcuni algerini in Europa, distanti dalle principali piazze europee della manifestazione, anche assistere alle marce trasmesse in diretta Facebook da Algeri o da altre città del paese significava partecipare all’Hirak e sentirsi partecipi delle rivendicazioni e delle lotte condotte nel paese natale.
L’Hirak ha rappresentato anche il momento propizio per un “nuovo Rinascimento” delle comunità algerine europee; un nuovo senso di partecipazione è stato ridefinito attraverso la nascita di collettivi, associazioni, gruppi informali di cittadini che fisicamente o virtualmente hanno fatto rete, con la volontà di far conoscere e diffondere le rivendicazioni dell’Hirak algerino.
Alle richieste di uno Stato di diritto, della liberazione dei detenuti d’opinione, insieme al cambio radicale di regime, i gruppi in Europa si sono posti come obiettivo quello di sensibilizzare l’opinione pubblica, nel tentativo di produrre pressione sugli stati di residenza attuale, con la richiesta di limitare le relazioni come forma di denuncia nei confronti della repressione operata nei confronti dell’Hirak.
Le reazioni sono state timide, anche per limiti oggettivi legati alla difficoltà di creare una rete compatta tra le diverse comunità algerine nei vari paesi europei, marcate da diversi elementi legati alla presenza sul territorio e ai numeri della mobilitazione.
Tra le iniziative da parte della diaspora, degna di nota è la partecipazione di una rappresentanza di algerini dall’estero al gruppo del Pacte pour l’Alternative Démocratique (PAD), formato dalle principali forze politiche democratiche algerine. Il PAD, fondato già a giugno 2019, si era riunito a gennaio 2020, ad insediamento del Presidente della Repubblica Abdelmajid Tebboune già avvenuto, con l’obiettivo di trovare un accordo sulla natura della transizione e sul processo costituente da intraprendere. Tuttavia, l’esperienza di questa formazione interpartitica sembra essersi arenata, anche a causa della situazione pandemica attuale. L’apporto della diaspora al PAD si è tradotto principalmente nella richiesta di sostegno alle comunità all’estero, non solo sotto la forma di sviluppo degli investimenti diretti in Algeria, ma anche e soprattutto sul piano della piena inclusione nel processo democratico nazionale.
La partecipazione all’Hirak anche nei principali paesi europei dove le comunità algerine sono presenti in maniera numericamente importante ha reso di fatto l’Hirak un movimento “diffuso”, capace di uscire dai confini nazionali. Il tentativo di queste comunità di influenzare le scelte dei governi nazionali di riferimento verso le politiche economiche e commerciali adottate nei confronti dell’Algeria resta ancora limitata. Di difficile realizzazione, anche l’obiettivo iniziale di porre l’attenzione dell’opinione pubblica europea rispetto sugli avvenimenti algerini degli ultimi due anni. Le ragioni potrebbero essere intraviste nel numero limitato delle manifestazioni in paesi dove la presenza algerina non è particolarmente accentuata, ma anche ad un coordinamento non del tutto sufficiente tra i diversi gruppi presenti in Europa.
La sfida principale del momento resta quella di tenere alta l’attenzione su rivendicazioni messe “in sordina” per le misure restrittive legate al contenimento della pandemia. La continua presenza su varie piattaforme e l’attenzione costante verso gli sviluppi sociali e politici in Algeria rappresentano buone basi per una piena ripresa delle attività.
A questo link “Hirak, Algeria. Due anni dopo” un bilancio, a cura di Emanuela Gitto, delle manifestazioni dell’Hirak nel secondo anniversario del loro inizio e dell’impatto del Covid-19 sul processo di transizione nazionale innescato.
[1] A. Sayad, La double absence. Des illusions de l’émigré aux souffrances de l’immigré, Le Seuil, Parigi 1999. Edizione italiana: La doppia assenza. Dalle illusioni dell’emigrato alle sofferenze dell’immigrato, Raffaello Cortina Editore, Milano 2002, traduzione di D. Borca e R. Kirchmayr.
[2] Musée national de l’histoire de l’immigration, L’immigration algérienne en France. De la fin du XIXè siècle à 1962