Scritto da Gio Maria Tessarolo
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Con la scomparsa di Paolo Cristofolini il 20 maggio scorso, il mondo della cultura italiana ha perso innanzitutto e soprattutto un grande storico della filosofia: categoria, quest’ultima, da non dare per scontata. Nel panorama accademico internazionale, infatti, la storia della filosofia non è un ambito di facile classificazione: divisi fra un approccio prevalentemente storico ed uno quasi esclusivamente teorico, gli studi del settore sono oggi sempre più caratterizzati da una netta “divisione del lavoro”, per cui chi possiede un interesse concettuale per il pensiero degli autori spesso e volentieri ne trascura l’aspetto testuale-contestuale e viceversa. Se in molti ambiti l’estraneità del mondo accademico italiano alle “mode” internazionali (soprattutto anglofone) rappresenta una debolezza, in questo caso si può senza dubbio sostenere che un certo tipo di tradizione, la stessa che nel nostro Paese vede ancora le cattedre di storia e filosofia come indissolubili nei licei, abbia funto da strumento di conservazione di una ricchezza. Di questa tradizione Cristofolini è stato interprete elegante e rigoroso, e non è forse un caso che il suo primo colloquio alla Scuola Normale (l’elaborato che i “normalisti” devono produrre ogni anno come esame d’ammissione a quello successivo) fosse stato dedicato proprio a Giovanni Gentile, che di tale unione indissolubile è stato uno dei principali fautori.
Quello con la Scuola Normale è stato senza dubbio il rapporto determinante per la vita accademica di Cristofolini, che alla Scuola è arrivato come giovane studente nel 1956 e dove ha poi insegnato per venticinque anni (dal 1982 al pensionamento nel 2007). Alla base del metodo e della prospettiva da lui adottata si situa perciò il contesto pisano, dove figure come Luporini, Badaloni (i suoi maestri) e Garin (che lo chiama ad insegnare alla Scuola) avevano già da tempo gettato le basi di una tradizione che è poi proseguita negli anni, proponendo il modello di studioso cui la categoria italiana di storico della filosofia ancora fa riferimento e che fuori dall’Italia (e, ma solo per certi versi, dalla Francia) è ormai quasi del tutto assente. Questo modello potrebbe essere riassunto nella convinzione di fondo che la storia della filosofia sia un ambito peculiare, in cui sono richieste una serie di competenze molto diverse: da un lato quelle storico-filologiche che fanno della ricostruzione e della contestualizzazione dei testi il punto di partenza di qualsiasi studio serio, dall’altro quelle più propriamente filosofiche, che non si limitano ad un asettico stabilire “cosa ha detto l’autore” ma vedono in una sua discussione ed interpretazione teorica il punto d’arrivo del lavoro. Si tratta naturalmente di prospettive molto diverse fra loro, la cui adozione è resa sempre più difficile dalla progressiva “settorializzazione” dell’accademia: è proprio per questo che il lascito di figure come Paolo Cristofolini, fra gli ultimi di una generazione che si sta ormai esaurendo (basti pensare alla recente scomparsa di Claudio Cesa, Tullio Gregory e Remo Bodei), è oggi particolarmente prezioso.
Le linee di ricerca della sua sessantennale carriera si potrebbero riassumere in tre direttrici di fondo: quella principale è stata senza dubbio lo studio del razionalismo seicentesco, a partire dal cartesianesimo e dalla sua fortuna ma con particole attenzione soprattutto negli ultimi anni per la figura di Spinoza, cui si aggiungono un intenso lavoro da un lato su Vico e dall’altro sul pensiero eretico e clandestino fra Cinquecento e Seicento.
In tutti questi ambiti Cristofolini ha dato un contributo ancora oggi fondamentale innanzitutto dal punto di vista testuale: dopo aver infatti tradotto e curato nella prima parte della sua carriera opere di Aristotele, Cartesio e Vico, si è dedicato negli ultimi decenni alla realizzazione di quelle che sono ancora oggi le vere e proprie edizioni critiche di riferimento di alcuni dei classici della filosofia moderna. Sue, infatti, sono le edizioni e traduzioni di alcune delle principali opere spinoziane, come l’Etica[1] e il Trattato politico[2], ma anche quella della Scienza nuova del 1730[3], di cui era particolarmente orgoglioso di possedere un esemplare con annotazioni autografe di Vico stesso. È di fondamentale importanza sottolineare la complessità e la delicatezza di lavori di questo tipo: realizzare un’edizione critica è un’impresa lunga ed estremamente faticosa in qualsiasi ambito, tanto dal punto di vista intellettuale quanto logistico. Farlo poi per quanto riguarda per esempio uno dei testi notoriamente più ardui dell’intera storia del pensiero occidentale come l’Etica, la cui vicenda editoriale è per giunta tutt’altro che facile (basti pensare alla scoperta solo recente dell’unico manoscritto disponibile ad opera di Leen Spruit e Pina Totaro), richiede che a quella filologica si accompagni un livello straordinario di competenza teorica.
A questo imponente lavoro testuale si è sempre affiancata una produzione critica di livello altrettanto alto nel campo dell’interpretazione del pensiero dei “suoi” autori, che fin dalla tesi di laurea, dedicata al problema della memoria intellettuale in Cartesio e in parte pubblicata come articolo, si è rivolta al chiarimento di alcuni dei loro nodi più complessi. Un piccolo gioiello in questo senso rimane il suo La scienza intuitiva di Spinoza, pubblicato per la prima volta nel 1987 e poi rivisto nel 2009[4], tuttora punto di riferimento imprescindibile nella comprensione di uno dei temi più sfuggenti del grande filosofo olandese: questo e gli altri numerosi studi che gli ha dedicato inseriscono Cristofolini a pieno titolo nel gruppo di brillanti “spinozisti” che l’Italia ha avuto la fortuna di avere nel secondo Novecento (basti pensare a Emilia Giancotti e Filippo Mignini), e insieme ai quali aveva fondato l’Associazione italiana degli Amici di Spinoza, di cui era stato anche presidente. In tutti i suoi scritti storiografici, che oltre a Spinoza e Vico si sono rivolti ad autori anche molto diversi quali Jacopo Aconcio, Henry More e Pierre Cuppé, alla precisione teorica si coniugavano ironia, garbo e chiarezza: a venire in primo piano era sempre l’esigenza di capire questi grandi pensatori, di interrogarsi davvero su cosa le loro idee fossero state e su cosa esse possano significare per noi oggi. Anche in questo caso, la categoria di comprensione non è affatto da dare per scontata: leggere oggi alcuni dei suoi saggi può risultare per certi versi straniante, se li si considera alla luce di parte della produzione storiografica recente, specialmente di quella piuttosto stravagante che ha interessato il “suo” Spinoza dal punto di vista politico, facendone negli ultimi anni l’emblema (ma forse sarebbe meglio dire il feticcio) di posizioni che con quelle spinoziane ben poco hanno a che vedere. I testi di Cristofolini, infatti, mettevano sempre al centro il pensiero dell’autore in questione con l’obiettivo di capirlo nel vero senso del termine, ossia di tradurre idee e concetti lontani in termini che servissero alla loro chiarificazione per il lettore moderno: una “attualizzazione” che non ha nulla dell’utilizzo strumentale o semplicistico, né tantomeno della contemplazione sterile, ma che punta al contrario a ragionare sull’eredità teorica dei “grandi” a partire da un confronto serio e ponderato anche e soprattutto con i loro aspetti più oscuri, ambigui o poco familiari[5].
Un ruolo di primo piano era svolto in questo senso dalle parole: tratto comune del metodo storico-filosofico italiano, infatti, è sempre stato quello di interrogarsi a fondo sui termini, sulla loro accezione e sulla loro traduzione. Non è sorprendente che, per il fatto di aver lavorato a lungo sull’edizione di testi, Cristofolini vedesse sempre un nesso strettissimo fra parole e concetti, e che abbia perciò dedicato numerosi studi a disamine spesso molto minuziose di come intendere e trattare determinati termini-chiave. L’immagine di storia della filosofia che ne emerge è pertanto innanzitutto quella di una storia di testi: testi da conservare, tradurre, riproporre e commentare, testi su cui riflettere e discutere, ma in ogni caso testi, che dello storico della filosofia sono tanto l’obiettivo quanto lo strumento, e da cui non si può mai prescindere.
Non sono stato allievo di Paolo Cristofolini. Ho avuto però l’occasione di intrattenere con lui alcune piacevolissime conversazioni nella casa, immersa nel verde e nei libri nel cuore di Pisa, dove tra le altre cose negli ultimi anni si è dedicato con grande passione alla rivista internazionale Historia Philosophica (di cui a partire dal 2003 è stato fondatore e direttore), ennesima testimonianza di come la storia della filosofia fosse sempre il fulcro dei suoi interessi. Ero rimasto particolarmente sorpreso dal racconto di un suo giovanile incontro con Sartre, cui ricordava di aver stretto la mano e da cui si era sentito rispondere un secco «Très content!». Allo stesso modo, quando me ne ero andato quel giorno, mi aveva stretto calorosamente la mano e aveva aggiunto, con un mezzo sorriso: «Très content!». Sono quell’ironia e quella gioia semplice che soprattutto ricordo: la gioia semplice e armoniosa (ma nient’affatto ascetica!) dell’amor dei intellectualis, quella del “suo” Spinoza.
[1] Baruch Spinoza, Etica (seconda edizione riveduta e aggiornata), a cura di Paolo Cristofolini, ETS, Pisa, 2014.
[2] Baruch Spinoza, Trattato politico, a cura di Paolo Cristofolini, ETS, Pisa, 2011.
[3] Giambattista Vico, La Scienza Nuova 1730, edizione critica, con la collaborazione di Manuela Sanna, A. Guida, Napoli, 2004.
[4] Paolo Cristofolini, La scienza intuitiva di Spinoza (nuova edizione interamente riveduta), ETS, Pisa, 2009.
[5] Particolarmente efficace in questo senso il suo L’uomo libero. L’eresia spinoziana alle radici dell’Europa moderna, ETS, Pisa, 2007.
Crediti immagini: Centro archivistico della Scuola Normale Superiore.
Si ringrazia la Scuola Normale Superiore per l’autorizzazione all’utilizzo delle immagini.