Scritto da Andrea Baldazzini
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Metropoli è esplosione, espansione orizzontale e verticale, moltiplicazione, ripetizione di spazialità identiche, ma allo stesso tempo è anche emersione improvvisa di fratture, contraddizioni, disuguaglianze, è mescolamento dei contrari e sovrapposizione delle scale spaziali, metropoli è locale e globale insieme, è comunità e territorio inesplorato. Come ha mostrato molto bene Saskia Sassen in uno dei suoi studi più famosi, Le città globali, parallelamente a questo processo di dispersione dei confini urbani vi è la creazione di nuovi centri, nuovi punti di riferimento ben riconoscibili, le metropoli appunto, a partire dalle quali si intrecciano enormi reti dove scorrono i flussi portanti di ciascuna realtà urbana, e dove i fattori che definiscono i tratti peculiari dello spazio di vita delle persone possiedono in gran parte un carattere totalmente virtuale, perennemente dislocato e dislocante. Le metropoli insomma sono spazi-rete che si reggono sulla ripetizione costante di processi di deterritorializzazione e riterritorializzazione: «parlare di rete chiama infatti in causa una nuova geografia della distanza e della prossimità, e quindi della centralità e della marginalità, sia tra le città, gli snodi della rete, sia all’interno delle città stesse»3. Non bisogna però mai dimenticare che uno spazio così costituito, se per un verso significa affermazione di una strutturazione unica, generale e compatta della geografia urbana globalizzata, dall’altra, proprio perché è una rete, implica la presenza di buchi, lacerazioni, faglie che rompono con una rappresentazione piatta, omogenea e regolare della vita e dell’agire pubblico.
Le dinamiche e le tempistiche della rete, all’interno della quale sono state risucchiate anche città di medie e piccole dimensioni, spingono poi le singole realtà urbane ad evolversi ulteriormente, diventando quelli che oggi vengono chiamati puri territori urbani (si pensi a come le città, anche di medie dimensioni, tendano continuamente a fuoriuscire dai propri confini geografici tradizionali, ad espandersi e dislocarsi) i quali non possiedono alcuna netta delimitazione, ma sono in perenne evoluzione ed aprono a scenari totalmente eterogenei. Come scrive Cacciari: «Il territorio post-metropolitano è una geografia di eventi, una messa in pratica di connessioni, che attraversano paesaggi ibridi. Il limite del suo spazio non è dato che dal confine coi è giunta la rete delle comunicazioni […] ma è evidente che si tratta di un confine sui generis: esso esiste soltanto per essere superato. Esso è in perenne crisi».4
Il cambiamento formale della spazialità urbana appena descritta, porta inevitabilmente con sé anche un cambiamento sostanziale per quanto riguarda i modi e i luoghi che la politica deve mettere in campo per muoversi, gestire e migliorare questi nuovi territori urbani. Governare una Città infinita5 richiede forzatamente strategie realmente innovative e radicalmente differenti rispetto a quelle utilizzate fino a pochi decenni fa, quando il territorio appariva come una grande superficie rigorosamente suddivisa in aree di competenza con precise risorse, bisogni e rischi. Per dirla con Neil Brenner, quello che la politica si trova davanti è prima di tutto uno spazio caratterizzato da una continua dinamica di rescaling. L’urbano cioè non è più solo «la sovrapposizione lineare di scale» (scala del quartiere, della città, della regione, del paese ecc.), «si tratta di rendere conto dell’intreccio di fenomeni a scala diversa che investono un dato territorio e, allo stesso tempo, della molteplicità di territori attraversati sincronicamente da tale intreccio»6. Passare dalla questione dell’urbano a quella dell’urbanizzazione implica così il mettere al centro le dinamiche che definiscono i differenti territori, materiali e virtuali.
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