Recensione a: Luca Beverina, Futuro materiale. Elettronica da mangiare, plastica biodegradabile, l’energia dove meno te l’aspetti, il Mulino, Bologna 2020, pp. 176, euro 12 (scheda libro)
Scritto da Giuseppe Palazzo
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Nell’epoca dell’immateriale, delle piattaforme e degli algoritmi, in cui il supporto fisico viene sostituito da streaming e app[1], ci si potrebbe dimenticare della centralità che i materiali continuano ad avere. Lo stesso abbattimento delle distanze conseguito con Internet è reso possibile da infrastrutture che materialmente valicano montagne, solcano oceani e che possono svolgere il loro compito grazie alle proprietà concrete dei loro componenti. Nel dibattito pubblico si è iniziato a parlare negli ultimi anni dei metalli rari necessari per le nuove tecnologie[2], nonché del valore strategico dei cavi sottomarini[3]. Tutti esempi che ci ricordano quanto il digitale sia anche fisico.
Il futuro, per quanto digitale, sarà quindi sempre materiale. Futuro che, tra gli obiettivi legati alla sostenibilità e le innovazioni della Scienza dei Materiali, riserva tante sorprese, come spiega Luca Beverina, docente di Chimica organica presso l’Università di Milano-Bicocca. Il suo libro, Futuro materiale, edito da il Mulino, arricchisce la celebre collana Farsi un’idea della casa editrice con i principali sviluppi, storici e recenti (anche italiani), conseguiti nel campo dei materiali, dalle finestre elettrocromiche all’elettronica digeribile, dalla stampa e cottura 3D del cibo ai tessuti fotovoltaici.
Nelle prime pagine Beverina distingue il concetto di “materia” da quello di “materiale”. Il materiale deriva dalla materia attraverso un processo di trasformazione, che può essere naturale, come quello che porta alla formazione dei diamanti, o artificiale. In base al tipo di trasformazione, reversibile o irreversibile, un materiale può essere riciclato o meno. Data la finitezza del nostro pianeta, ogni nuova tecnologia, ogni nuovo prodotto, per quanto siano strumenti di avanzamento della nostra società, costituiscono anche, a volte più a volte meno, un’ipoteca sul futuro. «Il futuro materiale dovrà essere consapevole che nessuna generazione potrà mai ritenersi la sola padrona di quella meravigliosa sfera blu» (p. 14).
Dopo questa necessaria premessa il libro tratta lo sviluppo e le proprietà dei materiali più importanti per la nostra vita quotidiana e per il nostro avvenire partendo dai cinque sensi: vista, olfatto, tatto, udito e gusto. Tutto ciò che è materiale altro non è che quanto possiamo percepire attraverso i sensi. Partendo da esperienze sensoriali quotidiane, dall’odore di certi sacchetti di plastica alla ditate sullo smartphone, l’autore espone le virtù della plastica compostabile, i prodigi dell’ossido di indio-stagno e la rivoluzione dell’acciaio inossidabile. In questa sede ci limitiamo alle principali considerazioni sui materiali in termini di sostenibilità, lasciando le grandi e piccole prospettive future, alcune davvero eccezionali, alla lettura del libro.
Materiali e sostenibilità
Parlando di materiali e sostenibilità nella nostra vita quotidiana, il primo materiale che viene in mente è la plastica, soprattutto grazie all’impegno dichiarato dall’Unione Europea per l’abolizione di quella monouso. Oltre alla necessità di ridurre l’utilizzo delle bottiglie di plastica, per lo più inutili (nei Paesi “sviluppati”, vista la sicurezza del sistema idrico), nonché fonte di un’immensa quantità di rifiuti e spreco di acqua[4], occorre saper usare più saggiamente i sacchetti.
I sacchetti di plastica non sono un “male” in sé stessi, ma il loro essere molto economici ci ha portati a considerarli un bene usa e getta, spesso riutilizzati solo una volta per buttare l’immondizia, quindi senza nemmeno riciclarli. «Questa è la conseguenza di un modello di società in cui l’unico valore riconosciuto degli oggetti è quello economico» (p. 34). Essendo difficile cambiare il nostro comportamento, le norme stanno portando alla diffusione di sacchetti di bioplastica, biodegradabili e compostabili.
Per bioplastica si intendono i polimeri ottenuti da una biomassa, una fonte rinnovabile. Un esempio è il Lanital, plastica sviluppata attorno al 1937 da Antonio Ferretti a partire dalla caseina, una proteina del latte. Per biodegradabile si intende invece la capacità del materiale di degradarsi completamente in tempi ragionevolmente brevi. Se un materiale è compostabile non solo degrada velocemente ma si trasforma in fertilizzante naturale se miscelato col rifiuto organico e se esposto a microrganismi. In breve, questo tipo di sacchetti, in Italia fatti per lo più di Mater-Bi, un derivato dell’amido, hanno un impatto ridotto sull’ambiente e possono essere riciclati con l’organico. I difetti di questi sacchetti ecosostenibili sono trascurabili e consistono nell’odore sgradevole che emettono, a causa della biodegradazione, e nella loro fragilità rispetto ai sacchetti in plastica “tradizionali”.
Un utilizzo saggio degli oggetti non solo è più ecosostenibile ma previene anche lo spreco e l’esaurimento di materiali importanti, non presenti sulla Terra in quantità infinite. Alla lista delle materie rare sono stati aggiunti di recente l’indio e il litio. Non sono affatto rari come elementi, ma non sono equamente distribuiti sulla crosta terrestre e si stima che nei prossimi cento anni saranno entrambi a rischio di scarsa reperibilità, insieme a zinco, argento, palladio, elio e fosforo. La preoccupazione è legata all’importante utilizzo che se ne fa.
Alla base del touch screen, ad esempio, vi è l’ossido di indio-stagno (ITO), materiale unico che coniuga la trasparenza ottica degli ossidi, come il vetro, con la conduzione della corrente, tipica dei metalli. Mentre gli ossidi di solito non conducono, i metalli non sono trasparenti. L’ITO possiede le giuste caratteristiche sia degli ossidi sia dei metalli, potendo così essere utilizzato nei touch screen, nei quali il tocco e la pressione generano il contatto tra strati di materiali conduttivi. Questo contatto è ciò che ci permette di usare le dita sui nostri dispositivi mobili. Non a caso PC e televisori assorbono metà della produzione mondiale di indio. I principali produttori sono distanziati tra loro per quantità prodotte: Cina (290 tonnellate nel 2016), Corea del Sud (195 t), Giappone (70 t) e Canada (65 t). Data la preponderanza dei produttori esteri e il sempre maggior utilizzo dell’elemento da parte degli stessi produttori, diventati loro stessi esportatori di tecnologie, l’Unione Europea ha dichiarato l’indio “materiale strategico” e investe in progetti per trovare un sostituto e/o riciclarlo.
Il litio è invece al centro della grande innovazione conseguita negli ultimi vent’anni nel campo delle batterie, indispensabili per l’immagazzinamento dell’energia elettrica prodotta dalle fonti rinnovabili. Il litio permette di abbinare elevato immagazzinamento della carica da un lato e leggerezza e compattezza della batteria dall’altro, ad un prezzo in costante calo. Senza questa tecnologia non avremmo i dispositivi portatili. Per l’auto elettrica occorrono ulteriori innovazioni in quanto i costi restano alti e l’autonomia non risponde ancora alle nostre esigenze, ma il mercato è in costante aumento. La International Energy Agency (IEA) rileva una crescita annua delle vetture elettriche nel mondo di più del 50% dal 2010 al 2018, con un +40% nel 2019 e un mercato nel 2020 stimato essere più resiliente alla pandemia rispetto a quello delle altre auto[5]. Non a caso il mercato globale delle batterie ricaricabili al litio ha raggiunto i 30 miliardi nel 2017 e si stima ammonterà a 100 miliardi annui entro il 2025. Come per l’indio si inizia a ragionare già su potenziali sostituti più abbondanti in natura, come il sodio.
Il libro ci ricorda che anche il cibo è materiale, e la sostenibilità deve essere conseguita anche a tavola. Ormai è risaputo che la maggior parte del metano rilasciato in atmosfera a livello annuale deriva dagli animali d’allevamento. Gli insetti contengono proteine analoghe a quelle della carne ma, nel produrle, usano molta meno acqua e rilasciano molto meno gas serra. La popolazione mondiale continua a crescere ed è solo questione di tempo prima che gli insetti facciano parte delle diete ovunque.
Promesse e sfide materiali
Un materiale che ha suscitato grande interesse negli ultimi dieci anni è il grafene. Derivante dalla grafite, a base quindi di carbonio, è leggero, più resistente della fibra di carbonio, e, soprattutto, ottimo conduttore di corrente e calore. È inoltre molto manipolabile, grazie alla solubilità in acqua dell’ossido di grafene, e trasparente. Tutte queste caratteristiche lo rendono un possibile sostituto dell’ITO nel mondo dei touchscreen. Infine il carbonio, diversamente dall’indio, è abbondante, e rende il grafene un’innovazione più sostenibile. La versatilità e la flessibilità sono accompagnate, tuttavia, da una struttura instabile, facilmente modificata dal contatto con altri materiali, e che tende a stabilizzarsi autonomamente nel tempo, ricostituendo l’originaria grafite e perdendo le sue proprietà. Nonostante tutto ciò, resta un materiale molto promettente, quindi gli studi continuano, tenendo sempre conto che «l’innovazione richiede anche, se non prevalentemente, la capacità di farsi carico del rischio che meno di una nuova scoperta su dieci porti effettivamente a un salto significativo nello sviluppo tecnologico della società» (p. 157).
Se da una parte c’è grande fermento attorno al grafene, dall’altra non mancano le sfide ancora molto difficili. Un altro materiale comunissimo, dopo la plastica, è l’acciaio. Nel mondo della plastica sono giunte le bioplastiche compostabili, nel mondo dell’acciaio ancora non si rilevano solide prospettive di maggior sostenibilità. L’acciaio è una lega tra ferro e carbonio che fa parte della vita dell’umanità almeno dal 1800 a.C. La storia delle tecniche per realizzarlo, una vera e propria arte, è una delle più avvincenti del libro, dall’incredibile abilità dei fabbri di katane fino alla scoperta, quasi casuale, dell’acciaio inossidabile da parte di Harry Brearley nel 1913. Aggiungendo il cromo alla lega si scoprì che questo si ossida prima del ferro creando una patina protettiva esterna, trasparente e insapore, proteggendo l’acciaio dall’arrugginimento.
La lavorazione, per le caratteristiche del carbonio e del cromo, implica la produzione di anidride carbonica, monossido di carbonio e scarti a base di cromo, come i sali di cromo esavalente, tutte fonti di inquinamento e tossicità. La decarbonizzazione di un processo del genere pare essere, per la sua stessa natura, impossibile. Il solo approccio allo studio è l’utilizzo del Carbon Capture Utilisation and Storage (CCUS), ovvero la “cattura” delle emissioni di CO2, in modo da impedirne il rilascio in atmosfera, il loro utilizzo e/o stoccaggio nel sottosuolo, in strati geologici poco permeabili ai gas. Tuttavia restano da valutare le conseguenze sui territori e l’effettiva applicazione su larga scala, per non parlare dei costi.
La IEA considera il CCUS indispensabile per conseguire gli obiettivi di decarbonizzazione ed esprime ottimismo per i miglioramenti tecnologici, per la creazione di hub per il trasporto e lo stoccaggio di CO2, con conseguenti economie di scala, e per il crescente interesse per il riutilizzo dell’anidride carbonica. È infatti utilizzata per produrre carburanti sintetici per l’aviazione e nella petrolchimica, oltre che nella enhanced oil recovery, ovvero l’estrazione del petrolio tramite immissione in profondità di acqua e, appunto, CO2. Nonostante il Covid-19, sia il settore pubblico che quello privato hanno annunciato importanti investimenti nel corso del 2020[6]. La centralità dell’acciaio è al momento non superabile, pertanto è particolarmente importante proseguire con ricerca e sviluppo e applicare le regole del riciclo, riducendone così la produzione. Il ciclo dei metalli deve diventare il più possibile chiuso.
Nelle ultime pagine l’autore descrive la Scienza dei Materiali, una disciplina che ne tocca diverse altre, dalla Fisica all’Ingegneria, dalla Chimica alla Matematica. «L’esistenza di un futuro materiale o di un qualunque materiale del futuro passa attraverso un continuo colloquio tra discipline storicamente distanti, mirato allo sviluppo di quelle trasversalità e transettorialità che sempre più la nostra società richiede per poter fronteggiare le sfide di una crescita sostenibile» (p. 160).
Probabilmente Beverina allude alle discipline prettamente scientifiche, ma è opinione espressa da numerosi autori, esperti in diversi ambiti, che lo stesso ragionamento debba includere anche le scienze sociali in un dialogo che travalichi i confini tra i mondi tecnici e umanistici. Il futuro materiale, intendendolo come il modo in cui viviamo, utilizziamo e abbiamo cura della materia, deve poter dialogare con la futura politica e la futura economia. Il mondo è più complesso di quanto si possa comprendere adottando una sola prospettiva, il confronto è imprescindibile, anche affinché ogni disciplina viva se stessa come parte di un unico sistema insieme alle altre e possa svolgere il suo ruolo con consapevolezza. Farsi un’idea, come suggerito da il Mulino, è un ottimo inizio.
[1] Si consiglia la lettura di Il ritorno delle cose di Angelo Miotto e Massimo Acanfora, edito da Altreconomia.
[2] Si vedano in particolare gli articoli di Alberto Prina Cerai su «pandorarivista.it» e su «Formiche.net».
[3] Alessandro Aresu, Le potenze del capitalismo politico. Stati Uniti e Cina, La nave di Teseo, 2020, pp. 115-123 – recensito su Pandora Rivista n.1/2020 da Lorenzo Mesini. Dello stesso autore Gli imperi dei cavi sottomarini, «Limes» n.7/2019, pp. 61-73.
[4] Edoardo Borgomeo, Oro blu. Storie di acqua e cambiamento climatico, Editori Laterza, 2020, pp. 61-65, recensito su «pandorarivista.it».
[5] International Energy Agency, Global EV Outlook 2020 – Entering the decade of the electric drive?, giugno 2020.
[6] International Energy Agency, Energy Technologies Perspectives 2020 – Special Report on Carbon Capture Utilisation and Storage, settembre 2020.