Scritto da Domenico Cerabona Ferrari
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Avrete sicuramente visto “Gangs of New York” il film del 2002 di Martin Scorsese con Leonardo Di Caprio ed un monumentale Daniel Day-Lewis.
Racconta di una New York di metà ‘800 violenta e poverissima. In particolare racconta una parte della Grande Mela e precisamente i “Five Points”, una zona della parte Sud dell’Isola di Manhattan. Per quanto sia romanzata, la sceneggiatura del film racconta degli episodi sostanzialmente verosimili: in quegli anni, da quelle parti, New York era più o meno così.
Ora, a due passi da Five Points c’è la City Hall, il municipio, e poco lontano da quella zona, andando a Sud verso la punta di Manhattan c’è il cosiddetto Distretto Finanziario e cioè Wall Street: gli isolati con la maggiore concentrazione di ricchezza del mondo.
Se invece andate leggermente ad Ovest troverete Tribeca, una volta un quartiere spoglio e malfamato e ora una delle zone più “in” e care di tutta Manhattan, con tanto di porto per gli yacht di extra lusso. Volete invece andare ad Est? Beh lì troverete l’unica parte di Manhattan ancora “povera”, almeno all’apparenza: troverete Chinatown la quale ha ormai del tutto “fagocitato” Little Italy che resiste con un paio di vie con qualche ristorante/trappola per turisti. Ma non vi fate ingannare: la comunità cinese sembra umile ma è una delle più ricche della città e quindi non vi trovate in un ghetto, ma in una comunità chiusa fatta di scritte solo in cinese e locali dove gli “stranieri” non sono molto graditi.
In generale tutto quello che è il downtown di Manhattan è stato trasformato nel corso degli ultimi cento anni, da un luogo malfamato, sede di pericolosi scali portuali, fabbriche puzzolenti e rumorose ferrovie, in una serie di quartieri di super lusso, loft di artisti e gallerie d’arte, locali di lusso, banche d’affari e palestre aperte 24 ore su 24.
È il fenomeno della rigenerazione urbana o, come preferiscono dire gli americani: la gentrification. Si tratta di un fenomeno che a New York non si è fermato a Manhattan anzi: ha attraversato l’East River e ormai da anni sta interessando il quartiere di Brooklyn, anch’esso una volta di scarso interesse per i turisti in quanto quartiere dormitorio e ora trasformato nel quartiere “hipster” del momento.
Certo, da un certo punto di vista la gentrification è un fenomeno meramente positivo: zone pericolose, disagiate e povere si trasformano in centri culturali e frequentabili da tutta la cittadinanza, cosa c’è di male in questo?
Ecco, il “male” della gentrification, per quanto in maniera paradossale, ci è stato raccontato da un’altra fiction, questa volta per il piccolo schermo: Shameless US, una serie TV prodotta dal canale “Showtime” e che vede come protagonista il premio oscar William H. Macy. Nella quinta stagione di questa imperdibile serie TV, la gentrification ci viene raccontata dal punto di vista degli abitanti di un quartiere povero e malfamato che “deve” essere riqualificato. Non ci troviamo più a New York questa volta ma a Chicago, la città di Barack Obama.
Shameless ci racconta la gentrification attraverso gli occhi degli abitanti del South Side di Chicago, un quartiere realmente povero e malfamato, con enormi problemi di criminalità pur trattandosi di una zona dalla quale è possibile raggiungere il pieno centro di una delle città più ricche del mondo con una mezz’ora di metropolitana. Ed è qui, fate attenzione, “il punto” di cui ci parla Shameless.
Come detto la gentrification pare un fenomeno meraviglioso ma Frank – il protagonista di Shameless – la vede in maniera diversa: “Un tempo i poveri potevano permettersi un appartamento decente a pochi passi dal centro. E poi improvvisamente tutto e spostato di quaranta isolati. E poi di ottanta: dove ci porterà tutto questo?” e ancora “Gli agenti immobiliari iniziano a comprare case e lotti di terreno a prezzi ben al di sopra di quelli del mercato e in pochi mesi il quartiere si riempie di gente altolocata e noi poveri veniamo cacciati. In men che non si dica i barboni verranno cacciati dai parchi e noi non potremmo più permetterci di vivere nel nostro quartiere”.
Per quanto questa narrazione sia apodittica, non si discosta molto dalla realtà. Questo fenomeno è piuttosto limitato in Italia, ne vediamo gli effetti in maniera evidente solo in città come Roma o Milano, dove i prezzi delle case nel “centro” – per quanto ormai molto largamente inteso – hanno raggiunto livelli insostenibili per il ceto medio, ma per il resto la dimensione relativamente limitata della media delle città italiane lo rende un fenomeno marginale.
Negli Stati Uniti invece è un fenomeno ormai inarrestabile: i ceti medio bassi sono ormai stati espulsi dalle grandi città a causa dell’esplosione dei costi delle abitazioni e degli affitti. Nelle grandi città come appunto New York, Chicago, Los Angeles ormai non esiste nessun quartiere “a buon mercato” nei pressi del centro. Con la rigenerazione di tutte le zone “appetibili” rese aree residenziali o sedi di uffici di alto livello, l’unica alternativa per la working class e il ceto medio è allontanarsi sempre di più dal cuore pulsante della città.
Basta farsi un giro sulla metropolitana di New York, di Chicago o – per fare un esempio al di qua dell’Atlantico – di Londra per notare quanti lavoratori sono costretti a farsi anche sino ad oltre un’ora per raggiungere casa loro dal posto di lavoro in centro.
Questo aumento spropositato di affitti e mutui si porta dietro un altro fenomeno, quello generato da nuove applicazioni come AirBnB: dietro il suo manto di startup, sharing economy e novità, AirBnB risponde infatti solo alla necessità di moltissimi giovani di racimolare un po’ di soldi per vivere in una casa che altrimenti non si potrebbero permettere.
Ormai in città come New York e Chicago, AirBnB costituisce una importante fonte di reddito per molti cittadini che, per potersi permettere di vivere in “centro” sono in qualche modo costretti ad ospitare degli estranei in casa propria.
Insomma, credo che si possa dire che si scrive “gentrification” ma quasi sempre si può leggere tranquillamente come “speculazione”, perché in realtà lo scopo di questi interventi di rigenerazione urbana non hanno come obiettivo quello di rendere migliori le condizioni di vita degli abitanti di un quartieri, ma piuttosto quello di guadagnare tantissimi soldi dalla rigenerazione stessa, proprio a discapito degli abitanti “storici” di quel quartiere che presto non potranno più permettersi di viverci.
La cosa che da un punto di vista sociale e politico lascia un po’ con l’amaro in bocca è che le istituzioni troppo spesso non fanno nulla per scoraggiare o limitare questi fenomeni, ma anzi spesso si muovono come un braccio operativo di queste speculazioni edilizie, non ponendosi – quasi mai – il problema di quali sconvolgimenti sociali provocheranno.
Insomma, come molti fenomeni promettenti dell’era della globalizzazione, anche la gentrification ha subito la mortifera – dal mio punto di vista – egemonia culturale neoliberale.