Pur trovandosi al crocevia di una serie di difficili sfide sul piano interno, che mettono costantemente in discussione la classe dirigente marocchina, in politica estera il Marocco vede oggi una costante ascesa, che ha per protagonista soprattutto la monarchia di Muhammad VI. Tradizionalmente collocato in uno spazio regionale ostile, il Marocco ha infatti iniziato nell’ultima parte del regno di Hassan II un processo di apertura diplomatica, che ha subito un notevole impulso con l’ascesa al trono del nuovo re nel 1999 e gli ha permesso di assumere una posizione via via più importante all’interno dei molti contesti di cui viene a collocarsi.
La politica estera marocchina si sta oggi infatti sviluppando lungo una serie di direttrici diverse, talvolta quasi in contrasto fra loro, rese possibili dalla collocazione del Marocco all’incrocio fra l’Europa, il Maghreb e l’Africa subsahariana, a cui va aggiunto il peso sempre maggiore che sta acquisendo all’interno del mondo arabo in generale.
Uno degli orientamenti prevalenti della politica estera marocchina è attualmente rivolto non a caso proprio verso lo spazio arabo-musulmano, in cui Rabat ha cercato di assumere un ruolo di mediatore fra i vari attori e di paciere nei conflitti. Nel 2011 al Marocco, assieme alla Giordania, è stato anche proposto di entrare a far parte del Consiglio di Cooperazione del Golfo, una proposta che è stata poi ritirata anche perché ritenuta in contrasto con l’investimento economico e politico che il Marocco prova da tempo a fare nell’Unione del Maghreb Arabo.
Nonostante questa scelta tuttavia i rapporti intra-Maghreb restano decisamente più complessi rispetto a quelli sempre più floridi con i paesi del Medio Oriente. Un partner con cui il Marocco sta cercando di stringere rapporti più stretti è senza dubbio l’Arabia Saudita, le cui relazioni si stanno sviluppando soprattutto attraverso i legami personali fra Muhammad VI e il principe saudita Muhammad Bin Salman, che, seppur in contesti completamente diversi, stanno cercando di compiere una parallela opera di svecchiamento e rafforzamento della monarchia.
Il rapporto fra il principe saudita e il monarca marocchino è però andato avanti negli ultimi anni fra notevoli alti e bassi, soprattutto per il tentativo di Mohammed VI di stringere i rapporti con Riyad, mantenendo al contempo buoni rapporti con i molti nemici che l’Arabia Saudita si sta facendo. Un esempio in questo senso è rappresentato dal ruolo che il Marocco ha cercato di assumere nella crisi diplomatica fra Qatar e Arabia Saudita, in cui Rabat ha cercato di porsi come agente neutrale e di svolgere un ruolo di mediatore senza tuttavia ottenere grandi risultati.
Molto scalpore aveva provocato inoltre una foto, postata sul profilo Twitter del primo ministro libanese, Saad Hariri, che ritraeva assieme ad Hariri proprio Bin Salman e Muhammad VI e che era servita a calmare le acque dopo che proprio l’Arabia Saudita era stata accusata di aver spinto Hariri alle dimissioni, poi ritirate poco dopo lo scoppiare del caso. La foto in questione, per quanto non seguita da atti ufficiali, ha contribuito a rafforzare molto la posizione del re marocchino, ma ha contemporaneamente riaperto la questione dal coinvolgimento dell’aviazione marocchina a fianco dell’esercito saudita in Yemen, un conflitto da cui anche forze interne al governo hanno spinto per il ritiro.
I rapporti del Marocco con i partner africani
Se con gli Stati del Golfo i rapporti sembrano in forte crescita, un diverso ritmo si nota invece nel tentativo di sbloccare i rapporti con i partner nordafricani, come dimostra il caso dell’Egitto, con cui il re sta cercando di mantenere buone relazioni, nonostante gli attriti fra Al-Sisi e il governo marocchino, dove gli islamisti moderati costituiscono la maggioranza e non risparmiano critiche al generale egiziano per l’allontanamento di Morsi.
Per quanto riguarda il conflitto libico Rabat aveva cercato anche in questo caso di assumere un ruolo di mediatore, tanto che nel 2015 gli accordi che avevano dato vita al governo di unità nazionale erano stati firmati proprio in Marocco, a Skhirat. Complice anche il fallimento di questa iniziativa, che ha finito per contribuire solo a complicare ulteriormente il conflitto, la posizione del Marocco in Libia si è tuttavia lentamente defilata, diventando sempre più marginale.
La vera spina nel fianco per la politica estera marocchina resta però l’Algeria, con cui Muhammad VI ha tentato recentemente di avviare un dialogo per fissare alcuni obiettivi di ampio respiro, come la riapertura delle frontiere fra i due paesi, chiuse dal 1994, e la creazione di un meccanismo politico di concertazione fra i due Stati.
La dichiarazione è arrivata tuttavia in occasione dell’anniversario della Marcia Verde, l’evento che spinse gli spagnoli ad abbandonare l’ex colonia del Sahara Occidentale e portò alla spartizione della regione fra Marocco e Mauritania, e in quella stessa occasione, il re ha ribadito la “marocchinità” del Sahara Occidentale, prendendo una chiara posizione alla vigilia dell’incontro tenutosi a dicembre a Ginevra per riaprire il processo di negoziazione fermo dal 2012.
L’Algeria, che ospita sul suo territorio numerosi campi profughi saharawi e le basi del Fronte Polisario, il movimento indipendentista del Sahara Occidentale, non ha rilasciato nessuna risposta ufficiale fino agli incontri di Ginevra, al termine dei quali proprio il delegato algerino si è detto cautamente ottimista circa uno sbloccarsi dello status quo, nonostante Rabat abbia ribadito che non accetterà niente di diverso da un’autonomia della regione sotto la sovranità marocchina. L’incontro, a cui hanno partecipato anche rappresentanti del Fronte Polisario e della Mauritania, ha avuto il grande merito di riaprire le trattative, ma non ha però ancora portato a nessun effettivo risultato e si aspetta per quello il secondo atto da tenersi per l’inizio del 2019.
Il Marocco porta avanti da anni una politica economica espansionista verso la regione del Sahara Occidentale che punta a guadagnarne il pieno controllo tramite l’immigrazione dal nord e una pesante spinta allo sviluppo industriale, due obiettivi perseguiti attraverso incentivi come il regime di imposte zero che vige sulla regione. Dall’altro lato il Fronte Polisario, che controlla ormai circa il 20% del territorio e ha abbandonato già dal 1991 la lotta armata, a partire dagli anni Novanta ha invece perso progressivamente il proprio sostegno internazionale e, dopo il reingresso di Rabat nell’Unione Africana, è diventato adesso sempre più dipendente da Algeri.
Negli ultimi anni tuttavia il Fronte Polisario ha cercato comunque di reagire attraverso una nuova metodologia offensiva, che si è concentrata sul piano giuridico e giudiziario, contestando ad esempio l’accordo di pesca con l’UE, di cui ha ottenuto una controversa non applicazione al Sahara Occidentale grazie ad una sentenza della Corte di Giustizia dell’UE.
I risultati di questa strategia, indirizzata a contrastare l’espansionismo di Rabat sul piano economico e a danneggiarne gli sforzi di politica estera, sembrano però essere comunque limitati e le forze indipendentiste del Sahara Occidentale stanno perdendo rapidamente il supporto internazionale. Oltre all’Algeria pochi sono gli Stati ancora sostenitori della Repubblica Araba Saharawi, che negli ultimi anni ha perso più della metà dei riconoscimenti internazionali, eppure il sostegno alla causa del Fronte Polisario è ancora utilizzato come pretesto diplomatico da Rabat per congelare i rapporti con l’Iran e con Hezbollah.
Un’altra vittoria politica di Rabat in questo contesto è stata anche la riammissione del Marocco all’interno dell’Unione Africana, trent’anni dopo la sua uscita anche a causa della questione del Sahara Occidentale. Il ritorno nella principale organizzazione internazionale africana è specchio però anche dei successi sempre maggiori che il Marocco sta conseguendo proprio nei rapporti con i partner africani, in particolare subsahariani, come dimostra il procedere del tentativo, tutt’altro che privo di ostacoli, di entrare a far parte dell’ECOWAS (Economic Community of West African States).
Nel frattempo Rabat è diventato anche il secondo investitore interno nel continente dopo il Sudafrica e sembra intenzionato a non arrestare questo allargamento. Una situazione di questo tipo è ben visibile nelle mosse dell’azienda di telecomunicazione marocchina Maroc Telecom, che ha rilevato le sue corrispondenti in cinque Stati africani ed è ancora in crescita, ma soprattutto nell’espansione della BMCE (Banque Marocaine du Commerce Extérieur), che ha acquistato la quota di maggioranza di Bank of Africa, attiva in 16 paesi del continente.
Il Marocco nel grande gioco globale
Il crescente ruolo sul continente del Marocco va però letto in relazione anche ai suoi rapporti con le principali potenze mondiali. Con gli Stati Uniti Rabat intrattiene infatti ottime relazioni, che, pur non espandendosi in campo economico, sono comunque in costante crescita sul piano politico e militare. Nonostante un accordo di libero scambio infatti, il cuore delle relazioni con Washington risiede nel ruolo del Marocco come alleato non-NATO privilegiato, che lo qualifica come uno dei maggiori partner per la lotta al terrorismo in Africa e permette l’accesso a finanziamenti per l’acquisto di materiale militare.
Sugli stessi presupposti si collocano anche i rapporti russo-marocchini, rafforzatisi a partire dal terzo mandato presidenziale di Putin, che si è schierato apertamente al fianco di Rabat nella questione del Sahara Occidentale. Anche in questo caso, pur essendo stati stipulati una serie di accordi economici che fanno sì che la Russia sia il nono esportatore in Marocco, il punto centrale dell’intesa è costituito soprattutto dagli accordi militari e in materia di cooperazione.
Per quanto riguarda invece l’Unione Europea il Marocco ha puntato su una strategia molto diversa, ricercando alleanze strategiche con alcuni Stati membri, fra cui soprattutto la Francia, che permettessero un accesso al mercato europeo. A questo proposito, accanto ad un comunque fondamentale accordo di cooperazione in materia di sicurezza, il Marocco ha stipulato con l’UE un proficuo accordo di pesca e uno di libero scambio, la cui importanza è testimoniata dal fatto che circa il 70% degli investimenti esteri diretti in Marocco provengono da paesi dell’UE.
Una questione complessa nei rapporti euro-marocchini riguarda però il ruolo di Rabat nella strategia europea di controllo dell’immigrazione. Se in un primo momento, complice anche l’apertura di nuove rotte migratorie, il Marocco aveva fatto da tampone per i flussi verso l’Europa, dopo la riapertura della rotta del Mediterraneo occidentale e i tentativi sempre più frequenti di superare i muri che circondano le enclavi spagnole di Ceuta e Melilla, i tentativi marocchini di contenere l’immigrazione si sono fatti sempre più complessi.
A preoccupare non è però solo la situazione dei migranti in transito, ma anche dei molti che negli anni si sono stabiliti in Marocco e che risentono della stretta repressiva favorita da congiunture interne e spinte europee. Numerose ONG, fra cui la stessa Amnesty International, hanno denunciato una situazione sempre più repressiva per i migranti e i richiedenti asilo, verso i quali sono state registrate anche violazioni rilevanti di diritti umani, e casi in cui molti migranti, anche regolarizzatisi grazie alla sanatoria del 2013, vengono lo stesso forzatamente espulsi nei paesi vicini.
Oltre alle problematiche crescenti relative al controllo dell’immigrazione, le relazioni euro-marocchine sono insidiate però anche sul piano economico dalla spinta dell’espansionismo cinese in Africa settentrionale, che vede nel Marocco un tassello fondamentale. Gli investimenti di Pechino stanno infatti crescendo in numero e importanza, tanto che le aziende cinesi hanno assunto un ruolo centrale in una delle principali infrastrutture in costruzione nel paese, il nuovo porto di Tangeri, che dovrebbe aprire il mercato marocchino a merci provenienti da tutto il mondo.
Allo stesso tempo anche il Marocco sta cercando di espandersi maggiormente verso l’Asia con una serie di accordi che hanno riguardato soprattutto gli Stati membri dell’ASEAN, al punto che nel 2016 il Marocco e l’Egitto sono diventati i primi Stati arabi a far parte del Trattato di Amicizia e Cooperazione in Asia Sudorientale.
L’ultimo tassello da considerare nella politica estera marocchina riguarda infine Israele, con cui Rabat ufficialmente non intrattiene alcuna relazione diplomatica. Una serie di inchieste giornalistiche ha però evidenziato come, nonostante le dichiarazioni del governo marocchino, le relazioni israelo-marocchine, seppur ancora marginali, siano in forte crescita tanto da poter considerare il Marocco uno dei principali partner arabi di Israele, senza contare il notevole rapporto storico garantito dal gran numero di ebrei di origine marocchina presenti in Israele che ancora mantengono i rapporti con il paese di emigrazione.
L’ambiguo rapporto con Tel Aviv è in questo caso esemplificativo dell’atteggiamento di politica estera del Marocco, che unisce considerazioni di tipo strettamente pragmatico ad altre di stampo ideologico, incentrate soprattutto sulla necessaria unità del mondo arabo e del Maghreb. Nonostante questa dialettica tuttavia l’atteggiamento di Rabat sembra essere caratterizzato soprattutto da una strategia opportunista, che si evidenzia nei numerosi tentativi di riabilitarsi a livello internazionale proponendosi come nuova potenza affidabile sul continente africano e nel mondo arabo.
Questa posizione risente tuttavia dell’ambiguità su cui si basa e, nonostante le preziose relazioni intrattenute e in crescita con tutte le principali potenze internazionali, il Marocco sembra pagare il fio soprattutto con gli Stati più vicini, complice la difficile situazione in Medio Oriente e il conflitto yemenita, ma soprattutto i rapporti ancora conflittuali con l’Algeria e la questione tutt’altro che chiusa del Sahara Occidentale, nonostante l’apertura emersa dall’incontro di Ginevra.
In definitiva nella politica estera marocchina emerge un duplice aspetto, che vede da un lato Rabat crescere sempre di più come potenza economica e registrare alcune importanti vittorie diplomatiche, ma dall’altro lascia emergere una debolezza di fondo, che risiede tanto nelle molte questioni irrisolte quanto nella fragilità di una strategia incentrata perlopiù sulla sola figura del re Muhammad VI.
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