Recensione a: Sergio Splendore, Giornalismo ibrido. Come cambia la cultura giornalistica italiana, Carocci, Roma 2017, pp. 144, 14 euro (scheda libro)
Scritto da Luca Picotti
5 minuti di lettura
La parola chiave del libro di Sergio Splendore, docente di Communication research e Sociologia della comunicazione all’Università degli Studi di Milano, è cambiamento. L’Autore analizza lo stato di salute del giornalismo, prestando particolare attenzione al «cambiamento dell’ecologia dei media, cioè degli strumenti di comunicazione che tutti noi abbiamo a disposizione per produrre e ricevere informazioni». Il volume, breve ma denso di informazioni, si interroga sull’identità professionale del giornalista, sempre più incerta, e sui continui mutamenti che la professione sta vivendo negli ultimi anni. L’importanza del giornalismo in una democrazia, sottolinea Splendore, implica la necessità di comprendere e studiare le forme e i modi attraverso cui questo cambia, si trasforma e si rigenera. «Questo sforzo appare essere ancor più necessario in questo preciso momento storico in cui il giornalismo, nella sua sempre più poliforme frammentarietà, vede erosa la sua autorità nel determinare, definire, modellare e interpretare il mondo circostante» (p.14).
Attraverso le testimonianze dei giornalisti stessi e con lucido metodo accademico, l’Autore ripercorre in queste pagine le grandi trasformazioni che hanno reso il giornalismo “ibrido”. «Negli studi sul giornalismo la parola cambiamento è probabilmente quella più utilizzata a partire dal 2000» (p.25). Splendore indica i tre oggetti di riflessione e ricerca che più hanno impegnato i journalism studies negli ultimi anni: la nascita delle redazioni online, la partecipazione del lettore alla produzione e distribuzione di contenuti informativi e, infine, l’emergere di forme di giornalismo orientate quantitativamente – in altri termini, l’impatto nel campo del giornalismo dei dati, degli algoritmi e delle pratiche di search engine optimization (SEO)[1].
Lo svilupparsi del giornalismo online è stato il cambiamento forse più rivoluzionario, sicuramente il più traumatico. Splendore identifica uno spartiacque tra l’emergere del nuovo mondo e il tramontare del vecchio nelle parole di Rupert Murdoch, il più grande magnate degli old media, in occasione della conferenza dell’American Society of Newspaper Editors del 2005: «Non sono qui nelle vesti di un esperto che ha delle risposte, ma come qualcuno in cerca di risposte rispetto a un medium emergente che non parla la mia lingua nativa. Come tanti in questa stanza, io sono un immigrato digitale […] Noi non potremo mai diventare dei nativi digitali, ma potremmo imparare la loro cultura e il loro modo di pensare».[2] Nonostante le prime edizioni online dei giornali siano apparse agli inizi degli anni Novanta, il processo di assimilazione di questo nuovo linguaggio giornalistico è stato lento, spesso ostacolato da uno snobismo sprezzante nei confronti delle news online. Le profonde trasformazioni impresse dal digital journalism – accrescimento del flusso di informazioni, l’istantaneità, il diverso modo di raccogliere le fonti – hanno destrutturato la tradizionale concezione del giornalismo e, anche, del giornalista, imponendo un ripensamento della professione.
Il ruolo dei lettori è un altro fattore fondamentale nell’analisi relativa all’ibridizzazione del giornalismo. L’emergere dei blog e del giornalismo partecipativo hanno contribuito ad un avvicinamento tra cittadini e giornalisti, ma è il social network ad averne rivoluzionato di più il rapporto e le rispettive autonomie, favorendo un miglioramento dei flussi comunicativi e una maggiore interazione. Ad esempio, molti giornalisti usano i social media per mostrare la loro personalità, oppure per comprendere il proprio pubblico – che diventa il proprio consumatore –, in un intreccio di influenze reciproche che rende il confine tra il giornalista e il cittadino meno nitido. Infine, rilevante per il dibattito sull’identità del giornalismo è la crescente influenza dei dati, con il conseguente svilupparsi di nuove forme di giornalismo, che comprendono il reporting, l’analisi statistica, l’informatica, le visualizzazioni e i cosiddetti programmer-journalists.
Splendore, passando sinteticamente in rassegna alcuni tratti essenziali del giornalismo italiano – prevalenza dell’opinione, commistione con politica, elitismo, retroscena – sottolinea la lentezza di questo nell’adottare le nuove tecnologie. La realtà italiana, nonostante abbia dovuto adeguarsi all’irreversibilità dell’innovazione digitale, è rimasta tendenzialmente più chiusa rispetto alle altre realtà, modificando solo in maniera minima i propri assetti.
Quali sono i confini della professione giornalistica? Negli anni la rintracciabilità di detti confini si è fatta pian piano meno agevole. Un esempio fra gli altri è la commistione tra informazione e pubblicità, commistione che è «ormai un inevitabile ed esplicito strumento di sopravvivenza […] Si pensi al cosiddetto native advertising, la pubblicità inserita nel flusso dell’informazione» (p.47).
Splendore, riprendendo gli studi di Thomas F. Gieryn, sociologo americano famoso per avere sviluppato il concetto di boundary-work, evidenzia tre possibili esiti nel lavoro sui confini della professione: l’espulsione, ovvero l’allontanamento di coloro che tentano di legittimarsi come possessori di un’autorità epistemica, l’espansione, ovvero l’allargamento dei confini del campo e infine la protezione dell’autonomia, «intesa come l’inclusione di nuovi attori ma alle condizioni esistenti nel campo» (p.51). Un esempio di esclusione, nel giornalismo italiano, è rappresentata dalla presenza dell’Ordine dei giornalisti con la sua forza legittimante (e delegittimante), mentre un esempio di inclusione lo si può rinvenire nell’accettazione degli usi giornalistici dei social media e, talvolta, dei contributi dei lettori.
Splendore, per analizzare i confini della professione, si affida alle parole dei giornalisti stessi e alla loro percezione dei processi di ibridazione. Un risultato inequivocabile è dato dalla centralità nei discorsi dei giornalisti di Google: «La produzione delle notizie e il giudizio stesso su di esse appaiono indissolubilmente vincolati ai possibili risultati di posizionamento ottenuti attraverso il motore di ricerca» (p.54). Google, insomma, è entrata a fare parte della struttura sociale della professione.
Un altro aspetto fondamentale all’interno dei cambiamenti in atto nel mondo del giornalismo è la concezione di ciò che è la notizia ed il legame che intercorre tra questa e il giornalista. Le parole di Splendore inquadrano con chiarezza la questione: «se saper scrivere un chiaro articolo di cronaca o un pezzo di contestualizzazione delle questioni politiche rappresentava la base di partenza per chi ambiva a entrare in una redazione prima della rivoluzione digitale, oggi può essere utile saper tradurre la notizia in un post accattivante, essere in grado di scrivere titoli, corredare l’articolo di link, scegliere le giuste parole chiave per migliorare l’indicizzazione nei motori di ricerca» (p.70).
Infine, l’Autore dedica gli ultimi capitoli del libro alle ideologie e ai valori professionali dei giornalisti, nonché al loro rapporto con le fonti. Lo scandalo Lewinsky del 1998[3], nato da una notizia messa in circolazione dal blog Drudge Report, è utile per comprendere l’importanza della tempestività nella circolazione delle notizie e le sue ricadute sui valori professionali: il giornalista del blog non si curò molto delle norme professionali o della veridicità della notizia e la pubblicò subito. Per i media tradizionali fu un invito a prestare più attenzione alla tempestività e a nuovi brand capaci di competere nell’ipertrofico mondo dell’informazione; a costo, però, di indebolire l’ethos professionale. Questo tema si collega al rapporto tra il giornalista e la sua fonte, rapporto reso più fragile dall’inflazione di notizie e dalla frammentarietà dei flussi di comunicazione. Ad oggi, i giornalisti prediligono ancora le fonti istituzionali (governi, amministrazioni etc.); seguono poi le fonti alternative, che possono coinvolgere le piccole associazioni o i social media, sempre più numerose grazie a Internet e alle tecnologie e sempre più difficili da selezionare. Splendore riporta un estratto che spiega appieno la difficoltà nel costruire una notizia ai giorni nostri:
«La giornata tipo. Allora. Metti che c’è uno scontro in Parlamento. La notizia potrebbe arrivarci da chi, dai cronisti della testata, che stanno là e ti chiamano. Che succede, ti dicono in due parole, e già su quello tu cominci ad aprire un articolo e se arrivi prima delle agenzie ben venga! Poi arriva l’agenzia e c’è un deskista, se la cosa è grossa, in due minuti l’articolo è online. Utilizzi la chiamata del cronista, usi la notizia di agenzia, ma a quel punto sui social c’è già tutto, hanno twittato dall’aula e in redazione ci sono persone che guardano soltanto quello e danno conto di quello (legacy, website, caporedattore, 2015)»[4]
Come abbiamo visto, il mondo del giornalismo è cambiato radicalmente. Il libro di Splendore ripercorre le principali trasformazioni della professione, dall’avvento dei social media all’utilizzo dei dati. Dalla lettura del volume emergono le difficoltà che hanno accompagnato l’innovazione ma anche la capacità con la quale il giornalismo si è ridefinito e ripensato in questi anni. Nonostante la crisi dell’editoria, il giornalismo, sembra affermare Splendore con queste preziose pagine, continua a sopravvivere, anche se con vesti nuove e approcci inediti.
[1] Le strategie per raggiungere una maggiore visibilità attraverso i motori di ricerca.
[2] La citazione è riportata a pagina 30.
[3] Lo scandalo che coinvolse l’allora presidente degli Stati Uniti d’America Bill Clinton.
[4] La citazione è riportata a pagina 107.