Recensione a: Paolo Prodi, Il sacramento del potere. Il giuramento politico nella storia costituzionale dell’Occidente, il Mulino, Bologna 2017, pp. 608, 20 euro (scheda libro)
Scritto da Andrea Raffaele Aquino
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Il sacramento del potere dello storico Paolo Prodi, pubblicato per la prima volta nel 1992, si configura come un tentativo di indagine del rapporto tra il cristianesimo e il processo costituzionale dell’Occidente, mediante la presa in esame dell’istituto del giuramento.
Il saggio, che sarebbe limitato definire come una mera storia del giuramento, utilizza un approccio multidisciplinare, rimanendo prevalentemente un’opera di carattere storico-costituzionale, ma non disdegnando la menzione di contributi provenienti dalla filosofia, dall’antropologia, dalla teologia e, naturalmente, dalla giurisprudenza.
Il lavoro di Prodi, che rappresenta il primo tentativo organico di analisi del giuramento all’interno della storia occidentale e che rimane ancora oggi un contributo attuale e prezioso, offre esplicitamente al lettore numerosi spunti di ricerca, interstizi creatisi dalla constatazione, espressa dall’autore, di non poter approfondire in toto questioni che si discostassero più o meno sensibilmente dall’argomento principale dell’opera: il giuramento politico.
Il giuramento viene definito da Paolo Prodi, da un punto di vista antropologico, come “invocazione della divinità come testimone e garanzia della verità/veracità di un’affermazione-dichiarazione o dell’impegno/promessa di compiere una certa azione o di mantenere un certo comportamento in futuro, invocazione con la quale il singolo accende un rapporto con il gruppo a cui appartiene, ponendo in gioco la propria vita corporale e spirituale in base a comuni credenze che attingono alla sfera della meta-politica”[1], ma lo stesso autore chiarisce più volte la necessità di considerare l’istituto del giuramento in Occidente come realtà dinamica e in continua evoluzione, soprattutto dall’avvento del cristianesimo in avanti, in virtù di una costante dialettica sull’argomento interna all’istituzione ecclesiale e allo stesso tempo diretta verso i poteri temporali.
Data la definizione sopracitata, appare immediatamente evidente come il controllo (e il monopolio) del giuramento rappresenti un potente elemento di stabilità per qualsiasi potere, motivo per cui, prendendo momentaneamente la Grecia classica come esempio, il “con-giurato” (sinomote) viene reputato pericoloso indipendentemente dai programmi eversivi che medita, giacché lo stesso atto di minaccia verso il monopolio del giuramento esercitato dalla polis risulta essere eversivo.
È interessante osservare la varietà dell’istituto in epoca pre-cristiana: da un antico Egitto teocratico, che contemplava un giuramento eseguito nel nome del faraone-divinità, fino alla fondamentale menzione del giuramento giudaico, prestato dallo stesso Jahvè per la stipulazione del patto col proprio popolo, a differenza delle divinità delle altre culture antiche confinanti, come quelle della già citata civiltà greca classica, chiamate unicamente a testimoniare o a punire il trasgressore. Il cristianesimo fa il proprio ingresso nella storia nel momento in cui il giuramento della civiltà romano-ellenistica comincia a svuotarsi del proprio significato sacrale[2] (sacramentum). A proposito dell’argomento, Gesù Cristo, nel discorso della montagna, contenuto nel Vangelo di Matteo[3], impone un divieto piuttosto netto, che rimarrà il problema contro cui dovrà combattere l’autorità religiosa (in contrasto con i gruppi più radicali) per legittimare il proprio uso del giuramento, da Agostino in avanti. Fino al III secolo, la comunità dei cristiani si opporrà nettamente al giuramento, ma, nella prassi, continuerà a prestarlo per svariate ragioni concernenti la stabilità sociale e civile.
Comincia a svilupparsi quel dualismo tra politica e religione, che produrrà la distinzione tra un giuramento di fedeltà e/o per la salute dell’imperatore, accettato dai cristiani ed un giuramento per genium Caesaris, da rifiutare per non violare il primo comandamento. Dopo una prima fase di incertezza dottrinale, attraverso l’opera di Agostino[4], Girolamo[5] e Ambrogio[6], il sacramentum diviene uno strumento cristiano, immagine imperfetta del giuramento del Dio veterotestamentario, utilizzabile in alcune situazioni, interpretando le parole di Gesù Cristo come un invito alla moderazione, piuttosto che un rigido divieto. Nel giro di pochi secoli, la Chiesa assurgerà a custode del giuramento, giungendo a sancirne l’eventuale nullità in casi specifici, come riporta Isidoro di Siviglia: “tolerabilius est enim non implere sacramentum quam permanere in stupri flagitio”[7], e successivamente provando a renderlo “sacramentum iuris”[8], vero e proprio sacramento (in un momento storico nel quale non si era ancora chiarito il loro esatto numero) del potere, attraverso cui si genera il diritto. Come afferma Prodi: “La teologia e la prassi della Chiesa d’Occidente hanno accettato il giuramento romano, ma lo hanno nello stesso tempo desacralizzato introducendo il giudizio di merito sui suoi contenuti e lo hanno sottratto al potere politico rivendicando la sua realtà sacramentale”[9], soprattutto durante l’età post-carolingia, caratterizzata dall’assenza di un forte potere temporale in grado di appropriarsi del sacramento-giuramento, e dalla necessità di pace, che solo la Chiesa, mediante il controllo del giuramento (il cui abuso, secondo Agobardo di Lione[10], aveva determinato il collasso dell’impero carolingio) poteva assicurare.
A questo punto il ragionamento di Paolo Prodi si fa più complicato da seguire per la necessità di uno sguardo panottico su molte questioni inevitabilmente intersecate tra di loro, ma lo stesso autore, con uno stile alle volte didattico, riesce a prendere per mano il lettore nel susseguirsi delle pagine, aiutandolo a non perdere il bandolo della matassa.
Nel corso del Medioevo il giuramento rimane istituto controllato dalla Chiesa, ma muta profondamente i propri caratteri. Da sacramentum diviene res sacra, “sottratto ad ogni automatismo derivante da un rapporto diretto con Dio, ma sottoposto al potere di giurisdizione della Chiesa”[11] e, di conseguenza, si produce un dualismo tra forum ecclesiae e forum coscientiae, tra crimine e peccato. In relazione a ciò, sul piano politico, Gregorio VII e i suoi successori cercarono di scindere completamente potere temporale e spirituale, sancendo la superiorità di quest’ultimo, mediante il “Dictatus Papae” (1075) e l’istituto, tra gli altri, del patronato sancti Petri, attraverso il quale venivano creati nuovo diritto e nuovi Stati in cambio del giuramento di obbedienza al pontefice[12].
Il giuramento, non più sacramento, si trasforma in contratto e i due poli protagonisti della lotta per le investiture, ovvero per l’egemonia nella gestione della cristianità (intesa come) unita, affrontano un dibattito interno sulla natura del proprio potere, che condurrà alla promulgazione della “Bolla d’Oro” di Carlo IV (1356) e al Concilio di Costanza (1414-1418), all’interno del quale venne formulata, e bocciata, la rivoluzionaria proposta di sottomettere il papa ad un giuramento. In questo quadro emergono, ormai svincolati dall’autorità papale, gli Stati nazionali, con le proprie Chiese nazionali, ma la natura del giuramento è ormai mutata e la politica è ormai definitivamente de-sacralizzata.
Nella seconda parte del saggio, Paolo Prodi indaga il processo di costruzione dell’assolutismo monarchico ponendo al centro della propria riflessione ancora una volta il giuramento, non più creatore di diritto, bensì strumento di rafforzamento dei poteri esistenti. Per un suddito d’età moderna prestare giuramento al monarca significa unicamente confermare ciò che è stato affermato con la nascita (il “giuramento naturale”). La cristianità, ormai divisa, prende vie differenti: il cattolicesimo non accetta il iuramentum religionis, particolare forma di giuramento politico e religioso allo stesso tempo, che, invece, alcune correnti riformate (il calvinismo, ma anche la Chiesa d’Inghilterra sotto Giacomo I Stuart, che Prodi tratta molto approfonditamente) adottano. Sintetizzando: “Il giuramento […] si rivela una cartina di tornasole abbastanza efficace per misurare il cammino compiuto, nel frastuono delle polemiche sul diritto di resistenza e il tirannicidio, e sulle origini del contrattualismo e della democrazia”[13].
Il nodo cruciale della questione, per arrivare alla contemporaneità, viene espresso da Baruch Spinoza nel “Tractatus politicus”[14]: la proposta di trasformazione dal rapporto a tre del vecchio giuramento (singolo-patria-Dio) a un rapporto a due (singolo-patria), che diverrà realtà dalla rivoluzione francese in avanti, anche se non si ebbe il coraggio, fatti salvi alcuni sporadici casi, di cancellare il nome di Dio, come proponeva Spinoza. Prodi, infine, getta uno sguardo lucidissimo sul presente e sulla pericolosità del rapporto giuramento-potere totalitario, senza uno spazio religioso a fare da contrappeso. Proprio questo spazio, usurpato dalla politica, ha permesso a quest’ultima di ri-sacralizzarsi, colpendo il principio cristiano della doppia appartenenza, elemento costitutivo della civiltà occidentale e potenziale àncora di salvezza contro ogni totalitarismo.[15]
Il pensiero che Prodi espresse nel 1992 risulta essere sempre più attuale per la civiltà occidentale, motivo per il quale l’opera merita una rilettura attenta. Oggi non c’è più posto per il giuramento, praticato in rare circostanze, ma percepito come un relitto ambiguo di un mondo scomparso, con un significato e una ritualità difficili da comprendere.
Il lavoro di Prodi, negli anni, è stato oggetto di apprezzamenti e lodi da parte di molte personalità del mondo accademico, che ne hanno approfondito aspetti diversi. Massimo Cacciari, con cui Prodi scrisse il suo ultimo saggio “Occidente senza utopie”, si è soffermato sulla problematicità del rapporto religione-coscienza-potere ne Il sacramento del potere tornando al problema “weberiano” relativo ai caratteri peculiari e unici dell’Occidente, in termini politici, ma anche economici.[16] Michele Nicoletti, invece, ha analizzato il saggio di Prodi in relazione al pensiero di Carl Schmitt, uno dei filosofi più apprezzati dallo storico emiliano, evidenziandone la continuità di vedute in alcuni ambiti[17]. Il critico Gerhard Dilcher, nella sua recensione del testo, ne ha apprezzato particolarmente la “profonda dimensione storica e la grande quantità di riferimenti concreti”[18], mentre Alain Boureau l’ha definito “uno dei più grandi libri di storia politica del nostro tempo”[19].
Quello di Prodi, in conclusione, è il classico saggio che, ancora oggi, a distanza di quasi trent’anni dalla sua prima edizione, ogni storico dovrebbe tenere a portata di mano, oltre che per le importanti teorie proposte, anche, come ha sottolineato Carlo Galli, per la vasta documentazione che esso riporta, la quale denota un’attenzione meticolosa dell’autore verso il dettaglio, specie se riguardante la filosofia del diritto.
[1] “Il sacramento del potere”, Paolo Prodi, Bologna, II edizione, 2017, p.22
[2] Interessante leggere Seneca, p.510, ad Elvia “de consolatione” 10,7; cit. in Prodi, 2017
[3] Matteo, 5, 33-37
[4] Augustinus, in particolare “Epistulae”: n.157, III, pp.478-488 e n.125, III, p.6; cit. in Prodi 2017
[5] Hieronymus, in particolare “In Jeremiam prophetam” (I, 4), col. 706; cit. in Prodi, 2017
[6] Ambrosius, in particolare “Expositio”, pp.99-100; cit. in Prodi, 2017
[7] Isidorus, Opera (Sententiarum libri II, 31), col.634; cit. in Prodi, 2017
[8] Pascasius Radbertus, “De corpore”, cap III, pp.23-24; cit. in Prodi, 2017
[9] Prodi, 2017, p.104
[10] Agobardus (“De divisione imperii ad Ludovicum”), pp.247-250; cit. in Prodi, 2017
[11] Prodi, 2017, p.161
[12] Si veda a tal proposito Flori, “La guerra santa”, Bologna, 2003, cap. VI
[13] Prodi, 2017, p. 403
[14] Baruch Spinoza, “Tractatus politicus” (c.8), p. 346, cit. in Prodi, 2017
[15] Si veda a tal proposito Pasolini: “Il folle slogan dei jeans Jesus”, in “Scritti Corsari”, 1975
[16] Massimo Cacciari: “Ricordando Paolo Prodi. Un’indagine serrata sulle origini del nostro presente”, ne “La Repubblica”, 19/12/2016
[17] Michele Nicoletti: “Il sacramento del potere. Una storia del giuramento politico”, ne “Il Margine”, n.2/1993, pp. 16-20
[18] Gerhard Dilcher recensione a “Il sacramento del potere”, ne “L’Indice”, 1992, n.6
[19] Alain Boureau: “Paolo Prodi, Il sacramento del potere. Il giuramento politico nella storia costituzionale dell’Occidente” in “Annales”, 1995, 50-3, pp. 599-602