Recensione a: Eugenio Nunziata (a cura di), Governare la trasformazione digitale. Strategia e azione per gestire il cambiamento, Prefazione di Federico Butera, LUISS University Press, Roma 2020, pp. 200, 26 euro (scheda libro)
Scritto da Silvia Cegalin
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Lo scenario socioculturale attuale è il terreno fertile per l’affermarsi di quella che, in Third Industrial Revolution, l’economista visionario Jeremy Rifkin ha definito come la rivoluzione industriale del ventunesimo secolo. Una terza rivoluzione[1] che si fonda su nuove tipologie di mercati e diversi rapporti economici che coinvolgono il settore industriale e delle telecomunicazioni, individuando in una diffusa e integrata digitalizzazione tecnologica la base per rilanciare lo sviluppo sociale, culturale ed economico a livello globale. Cambiamenti che, non da ultimo, investono anche le nostre vite private, innescando modelli esistenziali rinnovati e sempre più connessi con l’automazione e la sfera tecnologica.
In questo momento storico contrassegnato da metamorfosi in cui l’innovazione gioca un ruolo principale, appare dunque evidente l’assoluta necessità di avviare una riflessione sulle Disruption tecnologies e su un loro inevitabile coinvolgimento attivo all’interno delle imprese. Imprese che, per rimanere competitive in un mercato in cui i sistemi di informatizzazione ed evoluzione digitale rientrano in qualità di fattori formanti, si vedono spinte a modificare profondamente i loro assetti organizzativi e le loro strategie non più inquadrabili nei desueti riferimenti tradizionali. E, in tale contesto di rigenerazione, sono specialmente le aziende che devono farsi promotrici dell’avvio di dinamiche trasformative accogliendo le sollecitazioni esterne derivanti, in particolar modo, dal campo digitale, per allontanarsi da una autoreferenzialità riferita a schemi âge che potrebbero bloccare la loro possibilità di crescita.
Un processo di digital transformation che dovrebbe attuarsi oltre la soglia della contemplazione e della valutazione, per realizzarsi in una progettazione concreta supportata dall’incontro tra sinergie interamente votate allo sviluppo. La governance IT va perciò ridefinita in base a nuovi parametri, divenendo essa stessa promotrice dell’espansione organizzativa e digitale delle aziende. Ed è seguendo le logiche indirizzate ad un cambiamento che interpelli in maniera forte il settore digitale che il volume Governare la trasformazione digitale. Strategia e azione per gestire il cambiamento, a cura di Eugenio Nunziata ed edito da LUISS University Press, si pone come guida teorica e pratica al centro di questa riflessione.
Il testo è suddiviso in capitoli e paragrafi opera di più voci, in cui studiosi, docenti universitari, esperti IT, manager e senior advisor espongono contenuti e riflessioni utili per avviare un dibattito inerente l’adozione di strategie efficaci per inserire il comparto tecnologico all’interno di una programmazione aziendale più inclusiva, per renderlo soggetto costruttore di dinamiche imprenditoriali in cui il suo ruolo, da una posizione marginale, diviene essenziale. Ogni contributo affronta la questione da prospettive teoriche diverse, talvolta anche attraverso uno sguardo personale che interpella esperienze vissute in prima persona in riferimento al ruolo manageriale assunto. Tuttavia, tutte le letture costruiscono il loro discorso sulla base di tre principi imprenditoriali chiave ricorrenti, senza i quali la trasformazione digitale non può verificarsi: il cambiamento/trasformazione, la visione e la partecipazione.
Il primo concetto fondante, ripetuto spesso nei vari contributi, è appunto quello di cambiamento/trasformazione. A parlarne sono soprattutto Alaimo e Giustiniano, che nel capitolo Il pendolo del digitale tra innovazione e continuità, attraverso le nozioni di resilienza[2] ed ecosistemi, enunciano le coordinate utili per dirigere il pensiero aziendale verso una ristrutturazione interna e una revisione strutturale delle organizzazioni, che da strutture tipicamente a silos (separate) devono farsi modelli agili e riconfigurabili secondo le funzioni e le pratiche che intervengono in campo.
Un open view approach che, come già detto, non può non chiamare in causa il concetto di ecosistemi digitali, ossia modelli alternativi improntati su una metodologia aperta e condivisa, favorevoli per poter realizzare forme collaborative multi-attoriali caratterizzate da complementarietà e da legami multilaterali. Alaimo e Giustiniano ricordano che a questo livello è importante valutare, tramite una simbiosi di gruppo, i paradigmi interni di gestione, competizione e pianificazione e le attività e risorse esterne, in modo da permettere all’impresa di compiere una trasformazione che tenga conto di un approccio e di una visione d’insieme. Metodo che dev’essere orientato al superamento dei cosiddetti path-dependency[3] che rischiano di condizionare le scelte e frenare il corso dell’innovazione; perché il cambiamento avvenga è opportuno, di conseguenza, attuare la doppia prospettiva presente nella resilienza manageriale in cui bisogna: «reagire per sopravvivere e adattarsi immaginando e sforzandosi di costruire un nuovo futuro»[4]. E le tecnologie possono, e devono, rivelarsi strumenti efficaci per giungere a quella trasformazione tanto auspicata.
La seconda parola chiave proposta dagli autori, in primis dello stesso Nunziata nel capitolo Strategia ed empowerment organizzativo, è visione. Oltre all’attuazione di un qualsiasi piano strategico, è necessario avviare un percorso di visioning: non esiste evoluzione digitale se è assente una visione aziendale complessiva in grado di descrivere gli obiettivi desiderabili improntati su una conoscenza approfondita della propria cultura fondante. Cultura che esprime i propri valori coinvolgendo in modo univoco le strutture, l’organizzazione, i processi decisionali e i sistemi di controllo e coordinamento, perché senza un approccio strategico coerente e aderente alla propria cultura, il tanto ricercato cambiamento strutturale dell’azienda rischia di non verificarsi oppure di fallire. Sapere “chi si è”, quali principi rappresentativi si incarnano e conoscere in quale direzione orientare le proprie scelte è il primo step per realizzare la metamorfosi aziendale essenziale per ritornare ad essere competitor all’interno di un sistema digitalizzato. Per cambiare bisogna conoscere la propria cultura di riferimento e far intervenire una ristrutturazione aziendale radicale, il turnaround[5].
Questa tematica, che inevitabilmente va a legarsi con tutti gli altri contenuti precedentemente enunciati, è ben espressa nel capitolo tre, Digital turnaround, a firma del senior advisor Gian Luigi Arena. Dopo aver deciso quale “visione” assumere, per affrontare un cambio di direzione che sia efficace, Arena spiega come risulti fondamentale far intervenire in campo due quesiti: “cosa fare?” e “come farlo?”, preferibilmente attuabili secondo la metodologia del diamante digitale[6], che grazie alla struttura organizzata delle varie aree di intervento riesce a rispondere alle esigenze trasformative. Inoltre, per rendere la direzione IT parte integrante dei poteri decisionali – e non soltanto esecutore inerte all’interno di un’organizzazione in cui il suo ruolo è marginale – ci sono due possibili strade percorribili: esternalizzare la direzione del digitale o investire in un rinnovamento della struttura, una programmazione che deve rispecchiarsi anche attraverso strategie in cui il concetto di turnaround riesce a realizzarsi completamente.
Ora i punti esplicati in precedenza – trasformazione e visione – possono compiersi con successo soltanto se entra in gioco la terza nozione messa in campo dagli autori del libro: l’elemento partecipativo. Non esiste infatti società che nel suo processo trasformativo possa escludere il coinvolgimento del suo personale. Ogni comparto e ogni dipendente devono essere inclusi e resi partecipi di tutte le fasi (siano queste di pianificazione, comunicazione delle strategie o coordinamento) perché non c’è attuazione di un qualsiasi piano organizzativo che possa evolversi senza il contributo di tutti gli attori chiamati ad agire.
Per questo, un capitolo è proprio dedicato alla dimensione emotiva del cambiamento, perché come enunciato da Antonio Daood, in molti casi si è appurato che: «l’emotività sia stata determinante per impegnare la squadra, al punto da portare le persone ad assumersi responsabilità di scelte delicate su nuove iniziative progettuali, anche al di sopra del proprio ruolo»[7]. La crescita aziendale risulta quindi connessa a una buona dose di consapevolezza e attitudine positiva utile per evitare il radicarsi di un’autoreferenzialità connotata da rigidità di pensiero e di schemi, che altrimenti impedirebbero il rilancio. Una emotional capability che tramite emozioni positive e regolate nel tempo si faccia guida per supportare in toto la conversione in favore del digitale, trasformazione che senza un coinvolgimento della sfera percettiva ed emotiva delle persone rischierebbe di rimanere bloccata. In merito, l’intervento di Daood risulta molto importante perché fa comprendere come per acquisire un approccio in cui la tecnologia diviene parte attiva nei vari processi decisionali, bisogna considerare – e mai trascurare – il fattore umano, analizzando le paure, i blocchi mentali e i dubbi dei dipendenti. Risolvendo tramite un percorso di confronto e raccolta feedback le varie resistenze, fino a far diventare ogni attore un agente promotore di nuove proposte e spinte orientate verso il futuro.
Le tre parole chiave appena analizzate percorrono tutto il libro, riconfermando la loro essenzialità nelle dinamiche rinnovatrici e in una analisi in grado di dare al lettore una visione generale e dettagliata inerente scenari, sfide, problematiche e azioni che le imprese si trovano ad affrontare all’interno di un contesto che richiede un cambio di rotta.
Dopo una prima parte denotata da un approccio analitico e teorico, il quinto e ultimo capitolo Narrare il cambiamento attraverso lo storytelling a cura di Daood e Nunziata, grazie alla suddivisione in ventidue multi-interventi, guida il lettore a capire come le nozioni analizzate in precedenza si manifestino concretamente nella dimensione pratica e come debbano essere, e siano state, applicate alla realtà. Lo storytelling oltre che essere un valido metodo per leggere e conoscere le storie di successi e insuccessi, fa anche parte di quei meccanismi organizzativi necessari per innestare l’idea di cambiamento, divenendo: «strumento strategico attraverso il quale i manager possono costruire narrazioni storiche per raggiungere particolari obiettivi e attirare l’attenzione di un determinato pubblico, consentendo alle imprese di trasformare la propria storia in un vero e proprio asset»[8].
In questa ultima sezione compaiono molti teaching case a firma di team manager, responsabili d’ufficio, professionisti interni e partner di società quali: Inail, Accenture, IBM, Microsoft, Consip, HASPI, DXC, in cui le esperienze lavorative raccontate in prima persona appaiono cruciali per comprendere come ha funzionato l’innesco di una nuova e valida procedura organizzativa in strutture imprenditoriali esistenti, facendo del supporto narrativo un mezzo cardine per far assimilare al lettore le funzionalità che servono per attivare il processo trasformativo. L’elemento peculiare di insegnamento presente all’interno di questo quinto capitolo è dato da un insieme di narrazioni non incentrate esclusivamente sui successi raggiunti, ma orientate anche verso l’esposizione di insuccessi e fallimenti, intesi come fattori primari per interpretare al meglio le decisioni e le azioni che si sono rivelate insoddisfacenti e che in una prospettiva di rilancio vanno scartate.
A fronte di queste considerazioni, Governare la trasformazione digitale si presenta come un testo che, inserendosi appieno in una contemporaneità in evoluzione, riesce a rispondere agli interrogativi posti dal cambiamento e a fornire alcuni strumenti per affrontare in maniera consapevole le sfide necessarie per poter inglobare il digitale all’interno del sistema direttivo imprenditoriale.
[1] Se Rifkin parla di una terza rivoluzione industriale, secondo l’ingegnere ed economista Klaus Schwab è invece più indicato parlare di quarta rivoluzione industriale, caratterizzata dai cyber physical systems che si confermano in una commistione sempre più forte tra le nuove tecnologie e la sfera fisica, digitale e biologica. (Per una maggiore analisi del tema si consiglia: K. Schwab, The Fourth Industrial Revolution, Penguin Books, Londra 2017).
[2] La resilienza è la capacità di un sistema di adattarsi al cambiamento, una competenza presente in ogni individuo o organizzazione, che permette di reagire a situazioni avverse, riuscendo in questa capacità di adattamento a giungere, o ritornare, ad uno stato di equilibrio. In ambito manageriale la resilienza può essere intesa come la capacità intrinseca di un sistema di modificare il proprio funzionamento in seguito ad un cambiamento in modo da poter continuare le operazioni necessarie sia in condizioni previste che in condizioni impreviste. L. Giustiniano, S.R Clegg, M.P, Cunha, & A. Rego, Elgar introduction to Theories of Organizational Resilience, Edward Elgar Publishing, Cheltenham 2018.
[3] Per path-dependency (dipendenza dal percorso) si intendono piccoli eventi passati non più rilevanti, veri e propri limiti che possono avere conseguenze significative in tempi successivi, condizionando in maniera evidente le scelte e gli scenari futuri (per una maggiore disamina del termine si rimanda a W. Brian Arthur, The Nature of Technology: What It Is and How It Evolves, Free Press, New York 2009).
[4] Eugenio Nunziata (a cura di), Governare la trasformazione digitale. Strategia e azione per gestire il cambiamento, LUISS University Press, Roma 2020, p. 24.
[5] Per turnaround si intende, l’insieme di attività strategiche per risanare un’azienda in crisi. Una ristrutturazione che avviene in due fasi: la prima determina le cause che hanno portato alla crisi della società, la seconda punta ad una precisa strategia di recupero della redditività aziendale. (L. Guatri, Turnaround. Declino, crisi e ritorno al valore, Egea, Milano 1995).
[6] Modello di IT Strategy proposto da A.T. Kearney Italia, Inc.
[7] Eugenio Nunziata (a cura di), Governare la trasformazione digitale. Strategia e azione per gestire il cambiamento, LUISS University Press, Roma 2020, p. 71.
[8] Eugenio Nunziata (a cura di), Governare la trasformazione digitale. Strategia e azione per gestire il cambiamento, LUISS University Press, Roma 2020, p. 70.